ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

10/16/2024 | Press release | Distributed by Public on 10/16/2024 04:15

Deep-sea mining: è corsa ai “forzieri” sottomarini

Lo scorso agosto l'International Seabed Authority (ISA) - organizzazione creata nel 1982 nel quadro normativo della Convenzione ONU sul diritto del mare (UNCLOS) e a seguito dell'accordo sull'implementazione della Sezione XI della UNCLOS (1994) - ha eletto la brasiliana Leticia Carvalhonuovo Segretario generale, con 79 voti a favore contro i 34 dell'uscente Michael Lodge. L'elezione di Carvalho, scienziata e oceanografa con precedenti incarichi al Ministero dell'Ambiente brasiliano e al programma delle Nazioni Unite sull'ambiente (UNEP), rappresenta una svolta ambientalista - oltre a certificare, seppur in via informale, l'influenza di un Paese BRICS su un tema rilevante - per la gestione di un incarico che nei prossimi anni e decenni sarà sempre più al centro della contesa geopolitica globale.

L'ISA, infatti, che comprende 169 Paesi e l'Unione europea con sede a Kingston, in Giamaica, è responsabile della supervisione del 54% dei fondali marini del mondo e della concessione di particolari licenze esplorative (rilasciate solo dopo approfonditi iter autorizzativi) a entità pubbliche, o private, che vogliano sondare le ricchezze minerarie nelle profondità degli abissi oceanici. La sfida del cosiddetto deep-sea mining, infatti, è quella di individuare dapprima le risorse minerarie contenute nei cosiddetti noduli polimetallici (a migliaia di metri di profondità e distribuiti su un'area complessiva di 34 milioni di chilometri quadrati) e in seguito quella di sviluppare tecnologie di estrazione per raggiungere questi depositi, che conterrebbero significative quantità di nichel, cobalto, rame e altri minerali critici per la transizione green-tech. La corsa all'approvvigionamento di questi minerali è diventata una questione centrale nella competizione geoeconomica, che vede principalmente USA, UE, Giappone e Corea del Sud provare a districarsi dall'attuale dipendenza nei confronti della Cina che controlla buona parte delle filiere legate alle tecnologie low-carbon.

La transizione energetica, processo intensivo da un punto di vista dei materiali impiegati per ogni gigawattora di energia potenziale dalle rinnovabili (fotovoltaico, eolico) e stoccata (batterie elettriche), e la competizione geopolitica spingeranno ulteriormente la domanda di minerali da qui al raggiungimento del net-zero al 2050. Da qui l'interesse a esplorare alternative alle risorse terrestri, oltre a decennali dispute "marittime" che si giocano tra le grandi potenze interessate a controllare questi giacimenti e ad avanzare pretese su di essi.

Un nuovo Eldorado sottomarino

Secondo uno studio del 2013 di alcuni ricercatori dello US Geological Survey, le risorse di minerali contenuti in questi "forzieri" sottomarini sono davvero significative se rapportate alle riserve terrestri ad oggi certificate: parliamo infatti di 206 volte più cobalto, 14 volte più nichel e 4 volte le risorse di terre rare (REE) conosciute sulla terraferma.

Un paragone molto grezzo ma indicativo: nel 2023 sono state estratte poco più di 200.000 tonnellate di cobalto a livello mondiale (il 76% nella Repubblica Democratica del Congo), mentre solo nella Clarion-Clipperton Zone (CCZ) - una delle aree esplorate e localizzata nell'Oceano Pacifico settentrionale - ne sarebbero custodite 44 milioni di tonnellate, quasi il doppio delle riserve terrestri. Un metallo meno conosciuto, come la manganese (essenziale per la produzione di catodi per le batterie al litio, ma anche per la produzione di acciaio) e la cui raffinazione è in mano alla Cina (90-94%), è tra i più diffusi nei fondali oceanini: i noduli di ferromanganese ospitanti (collocati tra 400 e 5.000 metri di profondità), a largo delle coste giapponesi e scoperti nel 2010 e a circa 300 km dall'isola di Marcus, insieme a quelli nella CCZ conterrebbero 5.992 milioni di tonnellate di manganese (una cifra quasi pari a quelle terrestri), associate ad altri metalli critici come platino, terre rare e nichel.

Nuovo Codice minerario cercasi

Tuttavia, vi sono alcuni limiti giuridici, inscritti nelle convenzioni internazionali sopra citate, che impediscono una vera e propria "corsa alle risorse" a favore di una gestione sovranazionale e multilaterale. Secondo l'UNCLOS, i fondali marini corrispondenti alle acque non soggette alla giurisdizione nazionale (la cosiddetta "Piattaforma Continentale" e le Zone Economiche Esclusive - ZEE) sono classificati come common good of the mankind, una definizione che sottrae legittimità alla rivendicazione di sovranità territoriale. Dunque, esplorazione e sfruttamento di questi depositi - a differenza di quanto avviene per le attività minerarie sul suolo terrestre - necessitano la negoziazione di un Codice minerario applicato e condiviso a livello internazionale come previsto dall'UNCLOS. Tale processo avviene sotto l'egida dell'ISA, che tuttavia essendo un organismo internazionale che raccoglie diversi portatori d'interessi (Stati membri, ONG e comunità civile) non può esimersi dall'introiettare un dibattito politico sulla concessione dei permessi. Da un paio di anni sono in corso negoziati per lo sviluppo di norme, regolamenti e procedure (RRP) relative allo sfruttamento commerciale dei noduli: nel luglio 2023 il Consiglio dell'ISA ha dichiarato che "intende" proseguire l'elaborazione delle RRP, in vista della loro adozione prevista per la 30esima sessione plenaria dell'autorità.

Difficoltà sono tuttavia emerse, per esempio, durante la 28esima sessione nel luglio del 2023. Differenti sensibilità dei singoli Stati hanno provocato lo slittamento dell'adozione di questo Codice minerario al 2025, principalmente legate alle preoccupazioni sul tema della protezione dei delicati ecosistemi marini che hanno scatenato critiche feroci soprattutto dalla comunità scientifica. Proprio su questo aspetto - che si rifà al principio giuridico di "precauzione del danno ambientale" - e su già solide evidenze scientifiche, 37 Stati membri dell'ISA (tra cui Regno Unito e Francia) e più di 880 scienziati hanno caldeggiato una moratoria globale per fermare il deep sea mining fino a quando non si avranno più certezze. All'ultima assemblea dell'ISA, Brasile, Cile, Costa Rica, Francia, Germania, Irlanda, Palau, Svizzera e Vanuato hanno chiesto l'adozione di una policyper la "protezione e la preservazione dell'ambiente marino", al fine di una implementazione trasparente, da parte del Consiglio e dell'Assemblea dell'ISA, dell'Art. 145 dell'UNCLOS a tutela dei beni comuni dell'umanità.

In un'intervista rilasciata a Bloomberg, la Presidente Carvalho aveva dichiarato, in un'ottica di maggiore responsabilità verso la biodiversità marina, di voler posticipare la pubblicazione del Codice. Dunque, è possibile che le negoziazioni in corso possano raggiungere un binario morto e spingere gli Stati più interessati a proseguire con le attività di esplorazione - soprattutto Cina, Giappone, Corea e alcune isole del Pacifico - concedendo licenze nelle aree sotto la propria giurisdizione (le rispettive ZEE), innescando una frammentazione in un regime giuridico (quello marittimo) molto delicato. La Norvegia è diventato il primo Paese, lo scorso gennaio, ad autorizzare l'estrazione di metalli dai fondali compresi nella sua Piattaforma continentale (circa 280.000 chilometri quadrati), puntando sulle sue conoscenze geologiche avanzate e sulle tecnologie di drilling offshore, giustificando l'iniziativa con il supporto alla "transizione energetica". In questo scenario, la governance globale di queste attività potrebbe cedere il passo agli interessi sovrani, con un chiaro punto interrogativo a lungo termine sulla protezione dei fondali oceanici.

Attori di frontiera: Cina, Giappone, India, Sud Corea

Come per lo spazio, anche per questa nuova frontiera le partnership pubblico-private e la sponsorizzazione degli Stati delle aziende (oltre che per le rivendicazioni nelle ZEE) saranno fondamentali. Ad oggi, l'ISA ha rilasciato 30 concessioni esplorative (ciascuna della durata massima di circa 15 anni), di cui 5 alla Cina, 3 alla Corea del Sud, 2 al Giappone e all'India per un totale di 22 contractor pubblici e privati attivi nello studio di noduli e solfuri polimetallici e croste di ferromanganese ricche di cobalto. I Paesi asiatici sono particolarmente attivi in questa direzione, considerando che le loro industrie sono tra le più voraci di metalli critici per le tecnologie low-carbon e quelle digitali.

Lo scorso novembre la Corea del Sud ha avuto un colloquio a Seul con il precedente Segretario generale dell'ISA, Michael Lodge, durante il quale si è parlato di ampliare la cooperazione per la definizione di standard per l'estrazione commerciale dai noduli e di sostenere lo sviluppo minerario per i Paesi in via di sviluppo (tra cui figurano alcuni Stati insulari che vedono nel deep-sea mining una frontiera di grandi opportunità economiche). La repubblica coreana ha espresso il suo grande interesse per l'estrazione in acque profonde sin dall'adozione dell'UNCLOS, senza tuttavia aver previsto una legge nazionale specifica applicabile all'estrazione dei fondali marini nella sua Piattaforma fino agli anni '90. Con il passaggio di una legge sulla gestione e il sostegno delle attività dei fondali marini, è stato così previsto un framework per la gestione di tali attività, compresi gli attori privati interessati, in conformità con il diritto internazionale. Storicamente, le attività di esplorazione offshore si sono concentrate per gli idrocarburi sin dall'istituzione della Korea National Oil Corporation nel 1979, con le ricerche che proseguono per il gas attraverso le nuove concessioni da parte del Presidente Yoon Suk-yeol. Ciò nonostante, le licenze assegnate dall'ISA al Ministero degli Oceani e della Pesca coreano prevedono attività di cinque anni per studiare i noduli polimetallici nelle acque del Pacifico settentrionale, in un'area di circa 500 km2, a dimostrazione che anche la Corea guarda al futuro.

Nella stessa area opera pure la rivale Cina, che sembra essere un passo avanti. Attualmente due imprese statali cinesi si stanno preparando a sperimentare attrezzature per l'estrazione in acque profonde nell'Oceano Pacifico il prossimo anno. China Minmetals Corporation e BPHD (Beijing Pioneer Hi-Tech Development Corporation) presto condurranno prove tecniche per raggiungere le zone di esplorazione, assegnate a Pechino nel Pacifico dall'ISA. China Minmetals condurrà studi d'impatto ambientale (EIA), i primi di tale portata per profondità e ambizione in acque internazionali. La società statale - tra le prime 10 industrie manifatturiere in Cina per fatturato e attiva nell'estrazione e produzione di ferro, nichel, manganese, silicio e titanio - ha recentemente sviluppato un veicolo raccoglitore (Kunlong 500) di 9 metri di lunghezza, 5 metri di larghezza e 40 tonnellate di peso, dispiegato a diversi chilometri di profondità per raschiare il fondale marino e raccogliere i noduli ricchi di minerali.

Dal canto suo, BPHD, la cui licenza di esplorazione è in vigore dall'ottobre 2019 fino all'ottobre 2034, ha lanciato a giugno di quest'anno una consultazione pubblica per la conduzione del suo studio d'impatto ambientale per le attività nella zona assegnata. Si tratta di un test per la raccolta di campioni nel blocco M2 dell'area contrattuale, nel piedimonte meridionale del Guyot di Magoshichi. Probabilmente un'area scelta anche per il suo rilievo simbolico per i rivali giapponesi: fu scoperta dal vascello Takuyo nel 2000 e intitolata nel 2015, su proposta del Japanese Committee on Undersea Feature Names (JCUFN), al leggendario capitano ed esperto oceanografo giapponese Magoshichi Sato (1910-2006).

La Cina ha iniziato la ricerca sull'estrazione mineraria in acque profonde alla fine degli anni Ottanta. Negli anni '90 e 2000 si è concentrata principalmente sulla progettazione di sistemi di estrazione e sullo sviluppo di prototipi. Nel 2016 il governo cinese ha legiferato per la prima volta sui fondali marini profondi, al fine di incentivare la ricerca scientifica e tecnologica, proteggere l'oceano regolando le attività di esplorazione delle risorse sotto il patrocinio del Paese. Un anno più tardi, il governo ha pubblicato un piano nazionale per incrementare le attività di esplorazione e sfruttamento delle risorse, iniziative che hanno incominciato a seminare frutti. A distanza di pochi anni, i passi avanti della Cina sono stati considerevoli: nel 2021 l'Associazione cinese per la ricerca e lo sviluppo delle risorse minerarie oceaniche e diverse aziende statali (come China Minmetals) sono arrivate al collaudo di un sistema integrato, che riguarda l'intero meccanismo di estrazione, recuperando 1,2 tonnellate di noduli dal fondale marino a 1,3 km di profondità nel Mar Cinese Meridionale. A marzo di quest'anno, un articolo del quotidiano statale China Dailyha riferitoche la Cina avrebbe intensificato i suoi sforzi per l'estrazione in acque profonde, un'industria che aprirà "una nuova frontiera della competizione internazionale" secondo il vicedirettore del China Ship Scientific Research Center.

Contando su rapidi avanzamenti tecnologici, è probabile che la posizione cinese in sede all'ISA si faccia sentire sempre di più per l'adozione del Codice minerario e l'apertura di questo nuovo fronte estrattivo. Guardando le sedute annuali dell'ISA, Pechino invia squadre di rappresentanza a Kingston sempre più numerose e preparate, ma come anticipato il numero crescente di Paesi che si oppongono a queste attività - 32, tra cui una numerosa quota di Paesi europei, come Germania, Francia, Spagna, Svezia, Finlandia - renderà le negoziazioni particolarmente complesse. Durante il 28esimo incontro dell'ISA a luglio 2023 la Cina ha bloccato una mozione per discutere la moratoria, segnalando dunque la sua posizione intransigente.

Anche il Giappone sta guardando al deep-sea miningcome opportunità per liberarsi dalla dipendenza dalla Cina, divenuta particolarmente eclatante con il ban cinese all'export di terre rare (materiali critici controllati da Pechino, con il 58 e il 90% di estrazione e raffinazione a livello mondiale) verso le industrie nipponiche nel 2010, in seguito a una disputa diplomatica nelle Isole Senkaku. La nazione insulare sta esplorando tre tipologie di minerali in profondità nella sua ZEE (solfuri polimetallici presso le bocche idrotermali inattive, croste ricche di cobalto sulle "montagne" sottomarine e cumuli di terre rare sul fondo oceanico) oltre ad avere all'attivo due licenze di esplorazione dell'ISA nelle acque internazionali. In linea con Cina e Corea, è il governo - piuttosto che società private - a guidare la strategia giapponese per questa frontiera mineraria, attraverso il METI, il JOGMEC (l'Organizzazione giapponese per la sicurezza dei metalli e dell'energia) e l'Agenzia giapponese per la scienza e la tecnologia marino-terrestre (JAMSTEC).

Il Giappone è stato tra i primi a prendere sul serio il deep-sea mining con una legge dedicata già nel 2007; la sponsorizzazione di un progetto minerario sui fondali a partire dal 2014 come parte del Programma nazionale di promozione dell'innovazione strategica (SIP); più di recente, decretando a luglio 2023 con il quarto piano sulla politica oceanica la commercializzazione delle risorse minerarie (prevista entro la fine del 2030) nei fondali come una possibilità per "aumentare l'autosufficienza del Giappone" e così mitigare i rischi di approvvigionamento.

Anche l'India prevede di ricevere quest'anno dall'ISA altri due permessi di esplorazione nell'Oceano Indiano, incentrati sulle regioni di Carlsberg Ridge e Afanasy-Nikitin Seamount, note per i depositi di solfuri polimetallici e le croste di ferromanganese. Il Paese ha classificato 24 materiali come "critici" per la transizione energetica, tra cui cobalto, litio e nichel. Tuttavia, per via delle scarse conoscenze scientifiche e capacità tecnologica, il Paese è indietro nelle attività esplorative rispetto agli altri Stati asiatici.

Le società private e la sfida geoeconomica

Queste capacità passeranno principalmente dal know-howdelle società private. È il caso di The Metals Company (TMC), una compagnia fondata nel 2021 e con sede a Vancouver in Canada, impegnata in attività esplorative nell'Oceano Pacifico tra il Messico e le isole Hawaii. La società si concentra sulla raccolta, lavorazione e raffinazione di noduli polimetallici recuperati principalmente dai fondali oceanici della Clarion Clipperton Zone (CCZ) a sud-ovest di San Diego in California. La società, sponsorizzata dagli Stati insulari di Nauro, Tonga e Kiribati, attraverso le sue sussidiarie è in attività esplorative sin dal 2011, anno della prima licenza concessa dall'ISA. Con una capitalizzazione di mercato di circa 400 milioni di dollari, ha registrato una perdita di 171 milioni nell'ultimo esercizio finanziario del 2023, con perdite di 136 milioni di dollari nell'ultimo anno. A maggio di quest'anno TMC ha ricevuto 2 milioni di dollari dal Pentagono - gli Stati Uniti, ricordiamo, non avendo mai sottoscritto l'UNCLOS non hanno ufficialmente una rappresentanza all'ISA - attraverso i fondi del National Defense Authorization Act (NDAA) per l'anno fiscale 2025, al fine di studiare la fattibilità di raffinare i noduli polimetallici intermedi in nichel di purezza industriale. A giugno la società, in collaborazione con SGS Canada Inc, ha annunciato di aver prodotto con successo il primo solfato di cobalto al mondo estratto dai fondali, attraverso un test di processo idro-metallurgico. Le attività di TMC hanno attirato l'attenzione degli ambientalisti e degli scienziati, che hanno scoperto concentrazioni più elevate di ossigeno in alcune aree dei fondali in cui opera la società.

La zona di Clarion-Clipperton rimane una zona di grande potenziale per l'estrazione di manganese, nichel, cobalto e terre rare. Altre società con permessi di esplorazione sono la russa JSC Yuzhmorgeologiya, Blue Minerals Jamaica e Marawa Research and Exploration di Kiribati.

Il deep-sea mining rappresenta certamente una nuova frontiera non solo dell'estrazione, ma anche su cui si misurerà lo stato della governance globale con il crescente interesse di Paesi industrializzati alla sicurezza dei propri approvvigionamenti. Oltre a essere l'ennesimo banco di prova della tenuta della cooperazione internazionale sulla protezione dell'ambiente marino, chiamato in causa per le sue ricchezze geologiche essenziali per la decarbonizzazione, questa nuova attività dovrà misurarsi anche rispetto alle esigenze di mercato e all'innovazione che caratterizzerà la ricerca verso materiali più sostenibili e meno soggetti a pratiche ESG (environment, social and governance) controverse per i clienti industriali.