ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

10/16/2024 | Press release | Distributed by Public on 10/16/2024 04:15

Eurasia: la presa di Mosca sull’«estero vicino»

Tra le conseguenze dell'invasione su larga scala russa dell'Ucraina si annovera spesso la presunta perdita d'influenza della Russia nel Caucaso meridionale e in Asia centrale. Questi territori fanno parte del cosiddetto "estero vicino" (in russo blizhnee zarubezh'e), dove già dai tempi dell'Impero zarista Mosca detiene un ruolo di assoluto primo piano.

Gli ultimi sviluppi

Effettivamente la guerra in Ucraina ha prodotto alcuni smottamenti sia nel Caucaso meridionale che in Asia centrale. Nella prima area si pensi, ad esempio, agli ultimi sviluppi nelle relazioni tra Russia e Armenia: nel 2023 aveva sorpreso la passività russa di fronte all'ultima escalation del conflitto armeno-azero in Nagorno-Karabakh, quando il Cremlino era rimasto a guardare anche dopo l'uccisione di alcuni soldati del proprio contingente di pace. Non adempiendo al proprio tradizionale ruolo di security provider, Mosca ha spinto l'Armenia verso attori esterni e con lei in competizione - come Francia e USA. Inoltre, dopo aver sospeso la propria membership, Erevan minaccia di abbandonare l'Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (CSTO).

Sul versante centro-asiatico, invece, significative sono state le dichiarazioni del presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev durante il St. Petersburg International Economic Forum del giugno 2022. In quell'occasione - e nonostante in precedenza il Kazakistan si fosse astenuto dal condannare l'invasione russa in seno alle Nazioni Unite - Tokayev aveva etichettato le repubbliche ucraine filorusse di Donetsk e Luhansk dei "quasi-Stati", ritenendo improbabile un eventuale riconoscimento da parte kazaka. Astana ha ribadito il concetto nel settembre dello stesso anno, quando non ha riconosciuto la legittimità dei referendum per l'annessione russa degli oblast' ucraini di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhya. Fece molto scalpore, infine, il video dove Vladimir Putin - noto per farsi attendere da ospiti di primo piano per ribadire una gerarchia di potere - aspettava a sua volta con evidente nervosismo il presidente kirghizo Japarov per un incontro ai margini del vertice della Shanghai Cooperation Organisation (SCO) di Samarcanda.

Questi e altri esempi sembrano avvalorare la tesi a sostegno del declino della primazia di Mosca. Tuttavia, è affrettato affermare che l'influenza russa in queste regioni stia svanendo, almeno nel breve termine. La Russia, infatti, dispone ancora di leve con cui proiettarsi nel suo "estero vicino", essenzialmente di natura economico-energetica. Ad oggi Mosca resta un partner economico fondamentale per il Caucaso meridionale e l'Asia centrale, tanto che in alcuni casi si può parlare di vero e proprio neo-imperialismo economico.

Armenia in bilico: verso Occidente, ma ancorata alla Russia

Seppur a livello politico il primo ministro armeno Nikol Pashinyan stia cercando di imprimere una "svolta" occidentale al Paese, a livello economico Erevan soffre di una forte dipendenza da Mosca. Innanzitutto, la Russia rimane il primo partner commerciale della Repubblica armena: nel 2023 il Paese ha esportato in Russia beni per un valore intorno ai 3,4 miliardi di dollari, a fronte di circa 3,8 miliardi di dollari di prodotti made in Russia importati. Se il disavanzo commerciale non risulta eccessivamente a sfavore di Erevan, va specificato che l'export verso Mosca costituisce ben il 40% delle esportazioni totali armene e che la Russia assorbe oltre il 35% dell'interscambio commerciale totale dell'Armenia. Un'altra dimensione importante riguarda le rimesse di denaro. Sebbene l'importanza dei trasferimenti bancari individuali per l'economia di Erevan sia diminuita (10% del PIL nel 2022 contro il 6% nel 2023), secondo la Banca centrale armena, lo scorso anno quasi il 70% delle rimesse affluite nel Paese provenivano dalla Russia.

Il settore dove la dipendenza pesa maggiormente è però quello energetico. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2022 Erevan importava circa l'85% del gas naturale e circa la metà dei propri prodotti petroliferi dalla Russia. Inoltre, circa il 31% dell'energia elettrica armena viene prodotta dalla centrale atomica di Metsamor, con il colosso statale del nucleare russo Rosatom che gioca un ruolo chiave sia in termini di approvvigionamento - il combustibile nucleare viene fornito interamente dalla divisione TVEL di Rosatom - che di manutenzione. Infatti, il 15 dicembre scorso Erevan e Mosca hanno siglato un contratto per la modernizzazione dei reattori dell'impianto, estendendone le capacità operative fino al 2036. Pertanto, come ben riassume questo accordo - firmato mentre le relazioni tra Erevan e l'alleato di lunga data sono ai minimi storici - è difficile pronosticare una rottura tra Armenia e Russia: Mosca esercita un'influenza quasi totale sull'economia e sul settore energetico di Erevan.

Un risultato del raffreddamento dei rapporti con Erevan sembra essere un'intensificazione delle relazioni tra Russia e Azerbaigian. Esse erano già tutto sommato positive, nonostante il tradizionale ruolo di protezione che la Russia aveva nei confronti dell'Armenia. La cooperazione economica è in effetti cresciuta dalla seconda guerra del Nagorno-Karabakh del 2020 e, ancora di più, dall'inizio della guerra in Ucraina. Oltre a progetti infrastrutturali come il corridoio di trasporto internazionale Nord-Sud (INSTC), i due Paesi stanno cercando di espandere la produzione di vagoni ferroviari e aerei russi in Azerbaigian. Secondo alcuni osservatori, la Russia starebbe approfittando dell'Azerbaigian per trasferire le imprese industriali e diversi segmenti del business russo vittime delle sanzioni occidentali; la casa automobilistica russa AvtoVAZ, ad esempio, ha iniziato ad assemblare le mitiche Lada in Azerbaigian. Tuttavia per Baku, più ricca e indipendente di Erevan, non esiste il rischio di cadere vittima delle leve economiche di Mosca.

Georgia e Russia: inimicizie di convenienza

I rapporti tra Mosca e Tbilisi sono stati generalmente caratterizzati da tensioni e ostilità , soprattutto a seguito della cosiddetta "guerra dei cinque giorni" nel 2008: dopo il conflitto Mosca ha insediato una presenza militare e politica nelle due repubbliche separatiste dell'Ossezia del Sud e dell'Abkhazia, tanto che la Georgia la accusa di aver occupato quasi il 20% del proprio territorio. Nonostante gran parte della popolazione aspiri a un futuro nell'Unione europea, di recente il governo di Tbilisi - guidato dal partito Sogno Georgiano - ha adottato tuttavia un approccio ambiguo nei confronti del Cremlino.

Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina infatti, Sogno Georgiano, pur aderendo formalmente alle sanzioni occidentali, ha intensificato gli scambi commerciali con Mosca: se nel 2021 l'interscambio tra i due Paesi valeva circa 1,6 miliardi di dollari, nel 2022 la cifra è salita a circa 2,4 miliardi di dollari. Seppur nel 2023 tale valore sia diminuito del 3%, la Russia rimane attualmente il secondo trade partner della Georgia, dando adito ad accuse di presunto sostegno a Mosca nell'aggirare le sanzioni. Nel biennio 2022-2023, poi, le rimesse in entrata dalla Russia hanno visto un aumento esponenziale (circa il 40% sul totale). Questo può dipendere anche dalla forte presenza di russi in fuga dalla guerra in Ucraina: nel 2022 sarebbero intorno ai 62.000 i russi emigrati in Georgia - un numero sceso a circa 52.000 nel 2023. Sta di fatto che, se il PIL georgiano nel 2022 e nel 2023 è cresciuto rispettivamente dell'11% e del 7,5%, il merito è anche dei relokantyrussi che hanno trasferito business e attività imprenditoriali nel Paese. Nella fattispecie, a dicembre 2023 in Georgia erano circa 34.000 le società registrate di proprietà di cittadini e/o entità giuridiche della Federazione Russa (il 77% di queste aziende si sono registrate dopo marzo 2022).

Il vero responsabile di questo deciso dietrofront della Georgia verso la Russia sarebbe l'oligarca ultramiliardario Bidzina Ivanishvili - fondatore di Sogno Georgiano arricchitosi nella neonata Federazione Russa degli anni '90 e ritenuto da molti come la persona di fatto ancora a capo del partito. Non sorprende dunque che, nonostante la guerra in Ucraina e una storia fondamentalmente di inimicizia, Tbilisi si sia adoperata per ristabilire voli diretti con Mosca a maggio 2023 dopo che la rotta era stata unilateralmente cancellata dalla Russia nel 2019. Se Sogno Georgiano ha spesso giustificato la linea conciliante verso Mosca con il perseguimento dell'interesse nazionale, la presidente Salome Zourabichvili e l'opposizione hanno accusato il partito al potere di essere filorusso e hanno espresso preoccupazione per un'eccessiva dipendenza dalla Russia imperialista.

Nel frattempo, i dissidi interni e con Bruxelles - che ha sospeso il percorso verso l'adesione UE della Georgia dopo che a dicembre 2023 aveva concesso lo status di Paese candidato - si sono acuiti ulteriormente dopo l'adozione della cosiddetta "legge russa" sugli agenti stranieri (per cui tutte le organizzazioni che ricevono più del 20% dei propri fondi dall'estero devono registrarsi come "soggetti che perseguono gli interessi di una potenza straniera", sottostando a ulteriori e più severi controlli finanziari) e la successiva stretta sui diritti della comunità LGBTQ+. Decisive saranno le elezioni parlamentari del prossimo 26 ottobre, il cui esito potrebbe confermare o smentire il "pivot to Russia" intrapreso da Sogno Georgiano.

Asia centrale: in competizione con la Cina

Nel periodo post-2022 l'Asia centrale è stata caratterizzata da dinamiche analoghe a quelle del Caucaso, non solo per quanto concerne l'afflusso di russi emigrati nella regione (il Kazakistan, ad esempio, nel periodo 2022-2023 avrebbe accolto fino a 150.000 russi, nonché 6.100 nuove società di proprietà russa nel solo 2023), ma anche per l'aumento dei volumi commerciali con Mosca. Seppur in parte attribuibile alla presenza consolidata di cittadini russi e alla ridefinizione delle catene logistiche per l'aggiramento delle sanzioni occidentali, l'accrescimento dell'export degli "Stan" alla volta della Russia è stato notevole. Nel 2023, infatti, rispetto al 2021 il valore delle esportazioni verso Mosca di Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan è cresciuto rispettivamente del 45%, del 66%, del 42% e dell'85%.

In Asia centrale, però, è affrettato parlare di neo-imperialismo economico russo. Se non altro per la presenza di un altro gigante economico nella regione: la Cina. Pechino ha ormai sostituito Mosca come principale partner commerciale di tutti e cinque gli Stati dell'Asia centrale ed è coinvolta in oltre 90 progetti industriali in tutta la regione. Nonostante Cina e Russia abbiano negli anni intavolato una collaborazione in Asia centrale, le due potenze sembrano essere in competizione per quanto riguarda gli investimenti infrastrutturali, in particolare in ambito energetico. A Xi'an Xi Jinping si è offerto di costruire un gasdotto, il quarto del suo genere, per trasportare il gas dal Kazakistan, dal Turkmenistan e dall'Uzbekistan verso Est.

Tuttavia, la Russia mantiene un'enorme influenza in ambito energetico. Prima di tutto, perché Mosca controlla il transito del petrolio del Kazakistan verso il Mar Nero tramite l'oleodotto Caspian Pipeline Consortium (e potrebbe interrompere i flussi, se lo desiderasse). Ma più in generale, l'esistenza di legami storici, di un'infrastruttura energetica comune ereditata dall'URSS e di numerosi progetti di integrazione economica e politica avviati nel contesto dell'Unione economica eurasiatica (EAEU) facilitano la cooperazione energetica tra Russia e Paesi dell'Asia centrale. Gli Stati membri dell'EAEU stanno pianificando di creare un mercato comune per elettricità e Oil & Gas entro il 2025. La Russia sta inoltre aiutando i Paesi dell'Asia centrale a superare la loro crisi del settore dell'energia elettrica attraverso esportazioni di elettricità, modernizzazione delle centrali elettriche e, in particolare, costruzione di nuove capacità di generazione termica, idroelettrica e nucleare.

Proprio nel settore del nucleare, Rosatom risulta fondamentale nel consolidare il ruolo energetico russo nella regione. La compagnia russa è in pole-position per la realizzazione di un'eventuale centrale nucleare in Kazakistan, anche alla luce di legami particolarmente consolidati con Kazatomprom. Nonostante sia il primo Paese al mondo per produzione di uranio, dal 1999 il Kazakistan non dispone di nessuna centrale atomica funzionante. Questo potrebbe cambiare in seguito al referendum del 6 ottobre scorso, che ha visto il 71% dei votanti a favore del nucleare civile. Alcuni analisti hanno già espresso perplessità su un'eventuale delega a Mosca, che potrebbe sfruttare la sua centralità nella gestione e nella manutenzione delle tecnologie della centrale come ulteriore leva d'influenza su Astana. Intanto, a giugno Rosatom ha avviato la costruzione di un mini-reattore nucleare in Uzbekistan, ridando vigore alla cooperazione tra Mosca e Tashkent nella sfera dell'atomo.

Un futuro incerto

Nonostante le analisi sulla perdita d'influenza di Mosca nella sua regione, la presenza economica russa è ancora forte. Mentre nel Caucaso meridionale questa presenza assume spesso i contorni del neo-imperialismo economico - soprattutto nel caso dell'Armenia e, in minor misura, della Georgia - la situazione con i Paesi dell'Asia centrale è diversa, anche per via della presenza cinese. La Russia sta utilizzando l'energia per rafforzare la sua influenza nella regione centro-asiatica, ma è difficile che si torni a una situazione di dipendenza dal sapore neo-coloniale.

Sebbene sia lecito dubitare del futuro del neo-imperialismo economico russo, soprattutto nell'eventualità di una disfatta militare in Ucraina, nel breve-medio termine l'influenza di Mosca appare ben salda. Quanto questa tendenza si consoliderà dipenderà dalle alternative economiche e politiche a disposizione dei Paesi della regione post-sovietica, nonché dalla loro volontà di preservare relazioni economiche con il Cremlino nonostante le sanzioni.