ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

11/15/2024 | Press release | Distributed by Public on 11/15/2024 10:45

La guerra del futuro è già realtà

Con due guerre tuttora in corso - entrambe a ridosso dell'Europa ed entrambe senza una prospettiva ravvicinata di cessate il fuoco - è legittimo cominciare a interrogarsi sulle "lezioni" di questi conflitti non solo in termini strettamente politici (o morali) ma anche tattici e strategici. Se trarre conclusioni definitive è forse ancora prematuro, le guerre in Ucraina e Medio Oriente hanno già offerto, per la loro durata e intensità, una serie di indicazioni preliminari che meritano di essere analizzate. Molti esperti militari, del resto, lo stanno già facendo.

I due casi di oggi

La guerra russo-ucraina è iniziata come una "operazione militare speciale" - così l'aveva definita, appunto, Vladimir Putin - per poi evolvere gradualmente verso una guerra di logoramento che a molti ha ricordato non la Seconda ma addirittura la Prima guerra mondiale, con tanto di trincee e sbarramenti di artiglieria. Ma in entrambe le fasi la componente tecnologica è stata ben presente, anche se non sempre o immediatamente visibile: l'invasione del febbraio-marzo 2022, compreso l'invio di un commando nella capitale ucraina Kyiv, era stata preparata dai vertici militari di Mosca in stretta collaborazione con gli hackers russi, che avevano cercato di neutralizzare le comunicazioni (satellitari e non) dell'esercito nemico. A loro volta, le forze ucraine erano state assistite fin dall'inizio tanto da consiglieri occidentali quanto da compagnie come Microsoft (che ne aveva ospitato i servizi nella "nuvola") e Space-X (che aveva messo a sua disposizione i propri satelliti).

Quando il conflitto si è spostato del tutto sulla frontiera orientale e sud-orientale dell'Ucraina, gli attacchi cibernetici russi sono stati piuttosto ri-diretti contro gli alleati di Kyiv. Allo stesso tempo, il combattimento convenzionale ("cinetico", in gergo) ha messo in campo l'hardware militare rappresentato dai carri armati e dall'artiglieria (aerea e terrestre), con i Paesi occidentali impegnati a fornire a Kyiv, in misura via via crescente per quantità e intensità, l'equipaggiamento necessario per far fronte alla superiore "massa" dispiegata da Mosca. Anche in questa fase del conflitto, tuttavia, è presto saltato agli occhi come, accanto a carri armati, coscritti, batterie antiaeree e missili tattici, entrambe le parti abbiano fatto sistematicamente ricorso a droni di varia natura e manifattura (soprattutto turca per gli ucraini, iraniana per i russi), vuoi per fermare l'avanzata dei mezzi corazzati nemici, vuoi per colpire fortificazioni e centri abitati.

Pur con tutte le differenze del caso (a cominciare dall'enorme asimmetria di capacità militari e tecnologiche fra Israele e Hamas/Hezbollah), anche il conflitto in Medio Oriente ha combinato fin dall'inizio elementi "cinetici", dai bombardamenti alla guerriglia urbana, ed elementi high-tech, anche se molto più accentuati da parte di Israele: dallo scudo anti-missile Iron Dome alla sorveglianza satellitare per individuare possibili obiettivi fino alla spettacolare (ma essenzialmente dimostrativa) operazione di sabotaggio dei pagers condotta dal Mossad in Libano a fine settembre. Ma l'uso di droni di vario tipo è stato comune a entrambe le parti, con l'Iran che si è anzi trovato a fornirne molti - in particolare i cosiddetti droni "kamikaze", che funzionano come vere e proprie bombe telecomandate a distanza - sia a Hezbollah che a Putin. E droni sono stati impiegati anche dall'Azerbaijan nel conflitto del 2020 con l'Armenia in Nagorno-Karabakh, così come nelle guerre civili in Siria, Sudan e Myanmar. Che cosa sono dunque esattamente e che impatto hanno o potranno avere sul warfare contemporaneo?

Droni & Co.

In ambito militare il termine "drone" (tecnicamente remotely controlled uncrewed vehicles) sta a indicare un ventaglio ormai molto ampio di strumenti e sistemi, che vanno dalla semplice ricognizione e intelligence - funzione per la quale sono stati impiegati fin dall'inizio di questo millennio, ad esempio in Afghanistan e Iraq - alle missioni di combattimento vere e proprie. Il loro uso è prevalentemente aereo e comprende una gamma di mezzi che vanno dai gadgets modificabili che si possono acquistare a prezzi ragionevoli sul mercato (utilizzati soprattutto da attori non statali) a velivoli di taglia comparabile a piccoli aerei da combattimento, che hanno invece una gittata significativa e costano milioni. Possono essere impiegati individualmente o in formazione (come veri e propri "stormi").

Il loro uso si sta estendendo ormai non solo alle operazioni navali - l'Ucraina ne ha utilizzati, e con successo, contro la flotta russa in Crimea e nel Mar Nero e molti sospettano che la Russia possa servirsene per sabotare i cavi sottomarini che garantiscono la nostra connettività - ma anche a quelle terrestri (per deporre o trovare mine). Come categoria di armamento, si situano insomma fra le cosiddette ranged weapons (dall'arco al cannone) e le standoff weapons (come i missili di teatro) - le melée weapons coprono lo scontro corpo a corpo. Inoltre, vengono utilizzati anche per operazioni di assassinio mirato (per esempio in Medio Oriente) - con tutti i dilemmi anche etici che ne derivano, ben illustrati fra l'altro nel film "Il diritto di uccidere" (Eye in the Sky, 2015).

L'effetto più evidente dell'impiego militare dei droni è l'aver reso il campo di battaglia più trasparente, per così dire: è sempre più difficile per qualunque esercito effettuare manovre sul terreno senza essere "visto" dal nemico, il che contribuisce a spiegare la durata e la durezza della guerra di posizione in Ucraina. L'impatto e l'efficacia dei droni dipende peraltro anche dalle contromisure adottate contro di loro: i più grandi, ad esempio, possono essere facilmente intercettati e abbattuti dalle batterie contraeree o dalle flotte di pattugliamento e i più piccoli dall'artiglieria leggera a terra. E tutti sono vulnerabili alle interferenze magnetiche e al jamming nemico - un fattore che ha dato un impulso straordinario, in Ucraina come altrove, al cosiddetto electronic warfare. Dal 2022 a oggi, in effetti, Russia e Ucraina stanno combattendo una specie di guerra parallela centrata appunto sulla capacità di aggiornare e innovare in continuazione le rispettive tecnologie di attacco e difesa: Kyiv ha perfino istituito a questo fine una sezione ad hoc delle proprie forze armate (Unmanned Systems Forces), oltre ad aver mobilitato su base volontaria circa 200.000 hackers nel suo ormai famoso IT Army.

Insomma, è impossibile ignorare l'impatto tattico dei droni sulle tecniche di combattimento: la relazione fra software e hardware militare sta infatti cambiando rapidamente, imponendo un'integrazione sempre più stretta fra tecnologia e massa. Resta tuttavia difficile valutarne l'impatto strategico vero e proprio: decenni di attacchi di droni dal cielo in Afghanistan e Medio Oriente non hanno eliminato le minacce terroristiche e il loro uso massiccio sul fronte ucraino non ha di per sé modificato in modo determinante la situazione sul terreno, almeno finora. La massa, in termini di risorse umane ed equipaggiamento convenzionale, pare ancora essere determinante rispetto alla tecnologia. Ma il possibile futuro impiego di sistemi completamente "autonomi" (senza più, cioè, controllo remoto umano) potrebbe diventare un autentico game changer.

Quale complesso militare-industriale?

Dove invece l'impiego crescente dei droni sta avendo un impatto di portata strategica è il settore industriale della difesa, storicamente dominato da pochi grandi gruppi americani ed europei. I sistemi d'armamento convenzionali, infatti, venivano sviluppati e prodotti sulla base di programmi spesso pluri-decennali finanziati dai governi e allestiti in grandi strutture di ricerca e sperimentazione dei prototipi. Dal canto loro, i droni sono relativamente poco cari, possono essere fabbricati rapidamente e con risorse limitate, e hanno effetti rapidi e tangibili. Le principali innovazioni sono spesso opera di start-upche non hanno il tipo di relazioni che i giganti del settore hanno coltivato con le amministrazioni civili e militari nazionali e che sono ormai capaci di capitalizzarsi senza il loro supporto.

Questo passaggio da un sistema di ricerca e sviluppo top-down a uno spiccatamente bottom-upsta insomma influenzando le relazioni fra grandi e piccole imprese del settore - con le grandi che perseguono sempre più joint ventures con le piccole - così come il modo stesso in cui governi e militari finanziano e acquisiscono i nuovi sistemi d'arma. Seguendo un poco il modello dell'americana DARPA, alcuni Paesi europei hanno creato fondi ad hoc per incoraggiare la sperimentazione di tecnologie "dirompenti" (disruptive), mentre la NATO ha creato un'agenzia mirata (DIANA) e un proprio Defence Innovation Fund. Anche l'Unione europea, attraverso il suo European Defence Fund, si è impegnata a sviluppare l'"Eurodrone"e una serie di sistemi anti-drone.

Qui il rischio evidentemente è quello segnalato anche nel recente Rapporto di Mario Draghi sul futuro della competitività europea, ovvero di un'eccessiva frammentazione dei programmi e una dispersione di risorse di per sé già piuttosto limitate. Tuttavia, al momento della (seconda) invasione russa dell'Ucraina nel 2022, oltre il 40 % delle imprese produttrici di droni nel mondo avevano sede in Europa (Regno Unito e Turchia incluse). Esiste dunque una base tecnologica e industriale da cui partire, anche se la guerra in corso ha stimolato un'innovazione costante proprio in Ucraina, che costituisce oggi assieme alla Turchia il principale produttore continentale di droni. Le compagnie europee meglio posizionate in questo settore - la britannica BAE Systems, la francese Thales, la svedese Saab e l'italiana Leonardo - potrebbero dunque utilmente rafforzare la loro collaborazione con le imprese ucraine, passate dalle 6 del 2022 alle 200 di oggi, magari anche attraverso il Defence Innovation Office (EUDIO) appena aperto dall'UE a Kyiv.