11/11/2024 | Press release | Distributed by Public on 11/11/2024 07:06
I dubbi sollevati dall'importanza delle strategie per l'importazione di risorse energetiche sono ben noti da tempo, perlomeno sin dalla prima crisi energetica suscitata dall'embargo petrolifero imposto dagli Stati Arabi alle potenze occidentali. La scelta di un'appropriata politica di commercio estero che riguarda le materie energetiche è stata indicata come uno degli aspetti chiave, non solo per la risoluzione della crisi stessa. L'approvvigionamento di sufficienti volumi ed a costi ragionevoli è entrato a far parte delle decisioni strategiche che determinano il successo o il fallimento della sicurezza nazionale, ancor ché di quella energetica, così come la forza economica di un paese. Mentre la dottrina liberale ha più volte evidenziato i benefici di un libero interscambio commerciale, dallo studio pratico delle dinamiche politiche ed economiche intercorse nei decenni scorsi risulta evidente l'intervento diretto dei policymaker nei commerci, influenzando le strategie d'importazione energetica[1]. Altresì, gli stessi sono chiamati talvolta, in situazioni di crisi come quella del 1973 o del 1979, o come da quella che l'Europa sta vivendo dal 2020 in poi, a scegliere tra varie opzioni, soventemente sub-ottimali e lontane dalla piena realizzazione degli interessi nazionali.
In tempi più recenti, la crescita esponenziale dell'economia cinese e la necessità di importare volumi crescenti di petrolio e gas naturale, ha ricevuto molta attenzione, soprattutto per le ricadute geopolitiche che tale dipendenza ha creato. Come nel passato e ad altre latitudini, i policymaker cinesi hanno dovuto trovare dunque una risposta ai propri dilemmi strategici attraverso la combinazione di diverse iniziative[2]. Tra queste vanno sottolineate: la massimizzazione della produzione e raffinazione sul territorio nazionale, investimenti infrastrutturali nella rete di trasporto e stoccaggio interno, nonché in porti e vascelli, ma anche la ricerca di combustibili alternativi. I due dati maggiormente significativi che emergono sono il dispendio di capitale finanziario e politico in sostegno di tali misure e il fatto che Pechino ha concentrato i propri sforzi sul lato offerta, più che cercare di ridurre la domanda di tale risorsa.
La dipendenza da importazioni di materie prime e gli shock correlati ai prezzi delle stesse sui mercati globali possono incrementare le difficoltà economiche, soprattutto delle fasce meno abbienti della popolazione e i comparti industriali che più si riforniscono di input energetici dall'estero[3]. Una maggiore produzione da fonti rinnovabili e un efficientamento dei consumi possono certamente aiutare, così come una diversificazione sia degli importatori che delle fonti. Un complesso puzzle di variabili non semplicemente risolvibile, soprattutto dal momento in cui la dipendenza da alcune fonti specifiche può portare a effetti imprevisti. Con il crescere di tensioni internazionali e il perdurare di una politicizzazione marcata dei mercati energetici, il decisore politico deve tener conto non solo degli effetti economici delle scelte riguardanti l'importazione di risorse energetiche. Ad esempio, variabili di tipo ambientale, legate all'interruzione improvvisa degli approvvigionamenti, non sono da sottovalutare[4]. Infatti, è già stato dimostrato come la sostituzione nel breve periodo con fonti maggiormente inquinanti e impattanti per la salute umana, dettati dalla mancanza di alternative o risorse stoccate precedentemente, può avere ricadute di tipo sociale e politico da non sottovalutare.
Due elementi hanno accentuato l'emergere della discussione riguardante le strategie di importazione energetica. Da una parte vi è la ribalta della Cina a potenza economica globale. Sviluppatasi nell'ultimo ventennio, la dominanza cinese nei settori delle cosiddette energie pulite e delle supply chain delle materie prime critiche è oggi l'oggetto di particolari attenzioni. Dall'altro, i processi di transizione e la globalizzazione dei fenomeni economici e sociali ad essi legati pongono nuove questioni strategiche. La dipendenza da un mix di tecnologie molto differenti rispetto al passato è divenuta una questione rilevante, così come il manifestarsi di nuovi elementi strategici delle supply chain globali come elettrolizzatori (idrogeno) o componenti per le batterie (litio, cobalto).
Nel continente asiatico, il ruolo dominante assunto dalla Cina ha portato i paesi limitrofi ad affrontare problemi similari. Eppure, lo studio delle risposte ai dilemmi strategici suscitati dalla dipendenza da fonti energetiche importate ha dato prova di approcci assai diversi, riscontrati da paese a paese. Oggi, con un mercato e una supply chain in rapida crescita, vale la pena sondare come lo stesso fenomeno si dipana nell'idrogeno.
La transizione verso sistemi energetici maggiormente sostenibili non deve far pensare che, nel pieno di questo processo, le nuove tecnologie e i mercati delle energie a basso impatto carbonico (low carbon) siano estranei ai dilemmi strategici che coinvolgono le strategie di importazione. Anzi, le vulnerabilità di paesi e delle supply chain legate a queste tecnologie definiscono nuove strategie e approcci che oggi godono di una particolare attenzione a livello scientifico[5].
Approcci alle strategie di import sono generalmente influenzati da variabili economiche, come una riduzione dei prezzi, tanto quanto strategiche e geopolitiche, a loro volta determinate da obiettivi di sicurezza e transizione energetica[6]. Nel caso dell'idrogeno, la letteratura offre ancora pochi spunti. Quelli maggiormente rilevanti hanno guardato ad ogni modo le strategie per l'importazione e gli obiettivi connessi a esse[7]. Come avvenuto in passato in un modello sviluppato sugli idrocarburi, il commercio di materie prime crea nuove geografie di potere. L'affidabilità degli approvvigionamenti è così fortemente legata ai rapporti politici che intercorrono tra paesi produttori e consumatori. In quest'ottica, lo studio di Ansari e Pepe offre un primo spunto per determinare alcuni obiettivi chiave che definiscono le strategie di importazione di idrogeno e che faranno da guida nel delineare lo studio dei casi empirici europei.
Questi criteri sono:
1) Efficace e rapido aumento delle importazioni
2) Convenienza
3) Consistenza con i principi fondamentali dell'UE
4) Sviluppo sostenibile a livello globale
5) Autonomia strategica, rischio geopolitico e influenza diplomatica
In particolare, dall'analisi di Ansari e Pepe, emerge come le importazioni di idrogeno abbiano conseguenze ambigue. Queste, infatti, sfatano il mito della transizione come in grado di portare con sé solamente risultati positivi in tema di sicurezza, economicità e sostenibilità. A questa prospettiva maggiormente policy-oriented, l'analisi fa riferimento ad una più ampia letteratura scientifica che guarda ai processi di evoluzione e trasformazione delle economie avanzate in una forma graduale. Soltanto pochi studi hanno sinora adottato un approccio di questo tipo nell'affrontare la relazione esistente tra continuità e resilienza delle istituzioni nel settore dell'idrogeno, il che lascia ampi margini di indagine futura.
Il mutamento che avviene all'interno dei sistemi energetici sconta lo scenario istituzionale più generale del paese o del regime internazionale in cui avviene. Quest'ultimo pone condizioni limitate da parte delle stesse istituzioni che compongono il quadro. I cosiddetti feedback effects, a prescindere dall'agente istituzionale che ne ha supportato l'introduzione, giocano a favore del mantenimento di istituzioni preesistenti, creando nel tempo nuove constituencies e beneficiari che ne possono trarre vantaggio a dispetto di quale fosse l'agente che ha introdotto la trasformazione nel principio[8]. Allo stesso modo, gli studi riguardanti le transizioni energetiche hanno dimostrato come, oltre all'avanzamento tecnologico, la creazione delle condizioni socioeconomiche ed istituzionali rimangono aspetti chiave nell'introduzione di nuove fonti nel mix energetico. Da una parte, queste configurazioni istituzionali rendono possibili alcune alternative agli idrocarburi. Allo stesso modo, la stessa sopravvivenza di queste alternative, in ambienti dove la pressione politica è forte e particolarmente accesa nel difendere interessi e regimi preesistenti, dipende da queste configurazioni istituzionali[9]. Nel caso dell'idrogeno, la letteratura parla apertamente di "nicchie" di "institutional entrepreneurship" in specifiche tecnologie.
Gli attori già fortemente stabilizzati in specifici settori hanno solitamente capacità uniche di guidare la transizione di un particolare sistema energetico basandosi sull'allocazione di risorse, un network prestabilito di stakeholder del settore di riferimento, ma anche influenzando il discorso riguardante le politiche climatiche. Le motivazioni di ciò possono essere ritrovate internamente nelle strategie dei singoli attori che hanno interesse a guidare i processi di transizione[10]. L'abilità di queste nicchie o coalizioni di dominare il discorso pubblico, attraverso ad esempio l'influenza sui media, dà la capacità a questi attori di influenzare l'inizializzazione di particolari politiche, soprattutto negli stati embrionali di articolazione delle stesse. La creazione di così detti "discourse networks" tende a formare collegamenti diretti tra concetti e attori, i quali si consolidano nel tempo. La creazione di questi argomenti possono anche essere accelerati da eventi esterni, come la stessa crisi energetica o tensioni geopolitiche[11]. Altri esempi in letteratura hanno confermato come, anche a livello statale nell'Unione Europea Europa, esistano differenze tra i vari attori che possono maggiormente influire su queste strategie di importazione, indirizzando diplomazia e politiche industriali verso scelte dal carattere fortemente nazionale[12]. Ciò nonostante, non è stata sinora avanzata un'analisi comparata delle strategie volte all'importazione di idrogeno tra Stati membri. Visto l'indirizzo dato dalle autorità europee per un ruolo di assoluta importanza dell'idrogeno nel mix energetico europeo, l'indirizzo di questa ricerca appare particolarmente interessante, sia dal punto di vista pratico che teorico. La disamina di come questi discourse networks vengono formati a livello statale e sostengono specifiche strategie di importazione dell'idrogeno in Europa, declinando i cinque criteri chiave definiti da Ansari e Pepe, è volto quindi a colmare questo vuoto in letteratura. Lo studio si prefigge l'obiettivo di consentire una più profonda concettualizzazione di quali siano le caratteristiche principali delle strategie di importazione dell'idrogeno a livello europeo attraverso lo studio dei casi di Germania, Spagna e Italia.
Tra le grandi potenze economiche globali, l'Unione Europea è certamente quella che si è mossa prima di tutte le altre nel legittimare il ruolo nell'idrogeno come una fonte necessaria alla transizione energetica. Tre sono stati i momenti chiave che ne hanno definito la rilevanza strategica. Nel luglio del 2020 l'UE ha elaborato la prima Hydrogen Strategy for a Climate Neutral Europe con lo specifico intento di utilizzare l'idrogeno per trainare la decarbonizzazione dei settori industriali cosiddetti hard-to-abate come acciaio e fertilizzanti, tra i primi ad essere coinvolti da questa prospettiva di transizione. Nella Strategia erano già elencati alcuni obiettivi assai ambiziosi di medio periodo. Ad esempio, entro il 2030 veniva indicato il potenziale di una capacità installata di 40 GW di elettrolizzatori in tutta l'Unione Europea e una produzione attorno le 5.6 milioni di tonnellate entro il 2030[13]. L'anno successivo, il piano NextGenerationEU, il tentativo di rilancio delle economie europee seguito alla crisi pandemica, ha costituito un ulteriore impulso all'agenda europea per l'idrogeno. La transizione è stata infatti uno dei pilastri fondamentali di tale Piano, concepito nel luglio del 2021. Secondo l'ex Vicepresidente della Commissione Europea Franz Timmermans, attraverso il NextGenerationEU sono stati concessi circa 10 miliardi di euro di finanziamenti destinati all'industria dell'idrogeno. A questi vanno aggiunti altri 10,7 miliardi per due progetti specifici che, supportati da aiuti di stato, verranno finanziati dai fondi europei destinati ai cosiddetti Important Projects of Common European Interests (Ipcei)[14]. Inoltre, devono essere considerati i 17 miliardi di euro aggiuntivi autorizzati tramite la deroga agli aiuti di stato e indirizzati a 80 progetti nel settore. Inoltre, vi sono i 5,7 miliardi resi disponibili attraverso vari programmi di finanziamento europei, incluso l'Innovation Fund, e la possibilità di attingere ai finanziamenti della neocostituita European Hydrogen Bank[15]. Senza alcun dubbio, le autorità comunitarie hanno fornito mezzi finanziari molto cospicui per l'accelerazione della strategia europea dell'idrogeno.
Infine, nell'aprile del 2024 il Parlamento europeo ha infine approvato l'Hydrogen and gas decarbonisation package, una serie di misure atte a favorire la decarbonizzazione del settore gassifero europeo. L'idrogeno, è al centro dell'operato della Commissione che nel documento delinea la struttura del mercato europeo e le infrastrutture dedite al suo trasporto. Il network già esistente in Europa per la distribuzione di gas naturale, il più sviluppato al mondo, nonché i terminal per la ricezione di Gnl, sono descritti come asset in grado di favorire la nascita di un'economia europea dell'idrogeno e una sua commercializzazione all'interno del mercato unico[16]. In particolare, tali infrastrutture risultano ancor più strategiche in conseguenza degli investimenti di decine di miliardi di euro giustificati dagli obiettivi di diversificazione delle importazioni di gas in conseguenza delle perduranti tensioni tra Europa e Russia e dell'invasione dell'Ucraina
Oltre al fornire i mezzi economici e finanziari per sostenere lo sforzo industriale, l'attenzione delle istituzioni europee è però anche rivolta nel conferire all'idrogeno prodotto attraverso fonti rinnovabili una forte preferenza rispetto ad alternative. Un esempio su tutti è l'idrogeno prodotto attraverso la cattura e lo stoccaggio del carbonio (Ccs). Le condizioni di addizionalità, correlazione temporale e geografica sono quindi da considerare come centrali nello sviluppo della strategia dell'idrogeno verde europea[17]. Paradossalmente, oggi è però assente una definizione scrupolosa di cosa sia idrogeno verde nel quadro normativo europeo. Di conseguenza, incertezze continuano ad affliggere quindi gli investitori e il mercato fatica a decollare.
Un atto delegato che da Bruxelles chiarisca le varie tipologie di produzione di idrogeno compatibili con gli obiettivi europei, e quindi giustifichi la bontà dell'investimento "verde", è atteso non prima della metà del 2025. Ritardi che hanno colpito duramente, e non solo in Europa, i produttori di elettrolizzatori, oggi davanti a ordini in ritirata rispetto allo scenario di soli 12 mesi fa[18]. Il confronto tra i progetti sin oggi annunciati da REPowerEU e quanti invece sono coinvolti direttamente da decisioni finali d'investimento è impietoso (Figura 1.1).
Fig. 1.1 - Stato dei progetti di idrogeno a basso impatto carbonico (maggio 2024)
Secondo stime di Bloomberg, in Europa meno di un decimo dei progetti necessari al raggiungimento dei target di decarbonizzazione al 2030 è passato a una fase concreta di realizzazione (Figura 1.1). La maggior parte dei progetti è, invece, in una fase embrionale oppure addirittura congelato, in attesa di maggior chiarezza da parte del legislatore.
Non vi è soltanto il ruolo dei decisori polititi a determinare una generale mancanza di fiducia verso l'industria dell'idrogeno, acuitasi in particolar modo nel corso degli ultimi mesi. A dire il vero, alcuni dati dell'industria sono confortanti e mostrano un interesse diffuso. Nel solo 2023, la coda di progetti annunciati continua a crescere, aumentando di circa il 40% nel corso di un anno, un terzo dei quali localizzati in Europa. Il volume totale di investimenti è addirittura stimato in 570 miliardi di dollari per circa 45 milioni di tonnellate annue di capacità prodotta a livello globale[19]. Eppure, l'industria dell'idrogeno verde sta affrontando una crisi nei costi di input, in salita dal 30% al 60% e determinati da una serie di variabili esogene ed endogene. Maggiori costi di capitale, spese aumentate per il lavoro e i costi dei materiali, ma anche per gli impianti con elettrolizzatori e per la produzione di energia da fonti rinnovabili stanno facendo arrancare l'intera filiera. La pressione viene così anche sentita sulla produzione attesa di idrogeno verde al 2025, calata del 10% in un solo anno per via di una messa a terra assai più lenta dei vari progetti. D'altronde, il costo dei progetti di idrogeno verde continua a essere maggiore di quelli di idrogeno blu in un range che va dal +100% al +400%. Numeri che spaventano gli investitori, mentre i tempi necessari per la costruzione di un impianto si aggirano, nelle aspettative più rosee, come minimo sui due-tre anni. Il finanziamento per realizzare questi impianti è basato, in larga parte, sulla sigla di accordi di acquisto dell'idrogeno che, al momento, latitano. Inoltre, rimane un fattore chiave la possibilità di utilizzare infrastrutture che, oggi, in larga parte, non esistono o sono dedicate al gas naturale.
Fig. 1.2 - Offerta annuale di idrogeno a basse emissioni in fase di discussione
con compratori europei per segmento
Una situazione che ha dato vita al classico dilemma "dell'uovo e della gallina" nell'intera filiera, soprattutto al persistere di una domanda che, pragmaticamente, mostra segnali sconfortanti (Figura 1.2). Continuando infatti sui ritmi che hanno sinora contraddistinto l'industria dell'idrogeno continentale, neppure i target stabiliti nella prima strategia del 2020 in termini di installazione di elettrolizzatori saranno raggiungibili[20].
Il terzo momento che segna una svolta storica per l'industria è, inevitabilmente, l'invasione russa dell'Ucraina, l'approfondirsi della crisi energetica europea, con gli indici a toccare record di prezzi e il sabotaggio a infrastrutture critiche come i gasdotti Nord Stream, e infine l'accrescere delle tensioni internazionali riguardanti la politicizzazione del commercio e dei mercati energetici. Nel marzo del 2023, il Consiglio Europeo reclama politiche climatiche ed energetiche come componenti fondamentali della politica estera europea. L'idrogeno entra formalmente a far parte delle questioni attenzionate dalle istituzioni europee nell'ambito della politica estera, auspicando la creazione di un mercato globale trasparente, basato su regole certe e standard internazionali condivisi[21].
REPowerEU, il piano disegnato a Bruxelles per spingere l'economia fuori sia dalla crisi che dalla propria dipendenza dai consumi e importazioni di idrocarburi, in particolare russi, eleva l'idrogeno a vettore energetico prediletto per risolvere il dilemma composito di sicurezza e transizione energetica[22]. Non solo REPowerEU pone obiettivi ancor più ambiziosi della Strategia del 2020, ma esso cerca di rendere l'idrogeno uno strumento di diplomazia e politica estera dell'UE nell'ordine energetico globale che viene a determinarsi con la caduta dell'interdipendenza energetica russo-europea. La crisi energetica è però un fenomeno planetario, il quale si lega, inestricabilmente, con quello della sfida multilivello tra le due potenze globali, Stati Uniti e Cina. Schiacciata nella morsa di una competizione che non è soltanto geopolitica, ma soprattutto commerciale, industriale ed energetica, l'Unione Europea vara così nel 2023 il Net-Zero Industry Act. Una strategia che pone la leadership industriale nella supply chain dell'idrogeno come uno dei vettori nodali dello sviluppo della manifattura relativa alle tecnologie verdi, nonché una nuova fonte di occupazione[23]. In quest'ottica, l'obiettivo in termini di capacità di elettrolizzatori installati è fissato a 100 GW entro il 2030, contro i 40 GW auspicati nel 2020. Un traguardo chiave per rendere fattibile la produzione, sul territorio europeo, di circa 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde entro il 2030, indicato sempre nella strategia di REPowerEU. Un ultimo passo rilevante della strategia di REPowerEU è il raddoppio delle cosiddette Hydrogen Valleys, in cui il traguardo prefissato è la decarbonizzazione della produzione industriale europea e la creazione di economie di scala nel settore, collegando tra loro i vari cluster produttivi.
Una strategia, dunque, dalla forte valenza politica e volta a consolidare la leadership tecnologica, trasformandola in un primato commerciale. Notevole, a riguardo, è il recente annuncio della compagnia cinese Envision dell'investimento di un miliardo di euro nella produzione di componenti industriali, tra cui gli stessi elettrolizzatori, proprio in Spagna.[24] Investimenti che, dall'industria dei fertilizzanti a quella dei biocarburanti, passando per le giga-factory di batterie per veicoli elettrici, evidenzia i paradossi di un mercato europeo altamente competitivo. Attraendo infatti diversi partner internazionali, il pericolo di dipendenza nelle tecnologie, di gestione dei processi industriali e dell'iniezione di capitali extra-europei si fa sempre più concreto. Riconoscendo, sin da principio, l'incapacità per l'Europa di soddisfare internamente i propri attesi fabbisogni, REPowerEU e Net-Zero Industry Act ribadiscono anche una quota, non vincolante, di importazioni di idrogeno verde di dieci milioni di tonnellate entro la fine del decennio.
Fig. 1.3 - European Hydrogen Backbone
Fonte: European Hydrogen Backbone
Le trentuno controparti europee, operatori di infrastrutture energetiche esistenti e organizzate nell'iniziativa European Hydrogen Backbone (Ehb) formano la controparte privata che intende realizzare pragmaticamente le ambizioni europee nel settore. Nel 2022 l'organizzazione ha presentato un piano infrastrutturale che, cristallizzando il ruolo dell'idrogeno nel mix europeo, ha proposto una rete di idrogenodotti della lunghezza di 28,000 km al 2030 ed espandibile a 53,000 km entro il 2040. (Figura 1.3) Cinque sono i principali corridoi designati per il trasporto di idrogeno, la quasi totalità incentrati proprio sull'importazione di idrogeno da Scandinavia, Ucraina, Mare del Nord, Nord Africa e Penisola Iberica[25]. L'investimento previsto per la costruzione di tali corridoi è stimato tra gli 80 e i 143 miliardi di euro. Esplicitamente, il piano si basa sul riutilizzo, al 2040, di circa il 60% della rete infrastrutturale dedita al trasporto di gas naturale oggi esistente in Europa.
La definizione di una strategia europea dell'importazione di idrogeno affronta i problemi classici nell'approcciare le politiche comunitarie in tale settore. Le competenze energetiche rimangono, infatti, saldamente nelle mani dei governi degli Stati membri. Tutto ciò crea forti discrasie a livello diplomatico e strategico che, in parte, sono già emerse nel paragrafo precedente. Vale comunque la pena sondare ulteriormente le stesse, anche in relazione alla crescente importanza dell'idrogeno come fonte che, a livello europeo, unisce ambizioni di decarbonizzazione a quelle di sicurezza. Non solo, l'ambiziosa agenda europea nel settore è infatti tale da avere influenza molto al di fuori dei confini comunitari, promuovendo una trasformazione delle economie dei paesi partner[26]. Nel caso di contraenti di interdipendenze nell'idrogeno, si riscontra la necessità di condivisione dei rischi, ma anche quella di compromessi di tipo regolatorio e il rischio di effetti di collo di bottiglia negli approvvigionamenti.Queste sfide, con un alto indice di rischio, impongono all'Europa e Stati membri di definire accordi vincolanti che guardino al raggiungimento degli obiettivi al 2030 e oltre a tale fatidica data[27]. Tutto ciò richiede, dunque, un approccio proattivo sia nello spingere investimenti nei paesi futuri produttori ed esportatori di idrogeno, sia nella realizzazione di quelle infrastrutture volte all'importazione.
Il caso Nordic-Baltic Hydrogen Corridor
Nel caso della Germania, ci troviamo certamente di fronte al paese che nell'UE definisce, con più chiarezza, una vera e propria strategia di importazione dell'idrogeno. La strategia nazionale dell'idrogeno, aggiornata al 2023, prevede infatti che tra il 50% e il 70% del totale della domanda al 2030 verrà importata dall'estero[28]. Le stime di Berlino a tal proposito si basano su una domanda totale di circa 95-130 TWh entro la fine del decennio, il che proietta importazioni totali di circa 45-90 TWh entro pochi anni. Fortemente orientato a una proiezione estera di interdipendenze, il governo ha messo a disposizione delle partnership con soggetti internazionali più del 20% delle risorse finanziarie disponibili per la strategia[29]. Nel luglio scorso, Berlino ha anche adottato una prima strategia volta specificatamente all'import di idrogeno, annunciando importazioni che potrebbero ulteriormente aumentare al 2045, con una domanda prevista addirittura di 500 TWh di idrogeno e circa 200 TWh di derivati. Il documento identifica una lista di derivati "verdi" come ammoniaca e metanolo, e formula un piano di sviluppo infrastrutturale per incoraggiare una cooperazione ancor più forte nel campo dell'idrogeno[30]. In merito, si evidenzia sia l'importanza di pipeline che del trasporto via nave dei derivati dell'idrogeno, richiedendo ad esempio a tutti i terminal di Gnl in costruzione di prevedere la possibilità di importare idrogeno nel prossimo futuro.
Il Ministro dell'economia e vicecancelliere tedesco Robert Habeck ha definito la strategia come un "chiaro segnale" inviato ai partner internazionali inteso a strutturare una collaborazione duratura nel settore e una "sicurezza dell'investimento" nei paesi produttori[31]. Il documento è stato accettato e al contempo criticato da attivisti ambientali e industria energetica. Un segnale che, anche nel paese con la strategia a livello più avanzato in Europa, i dubbi sulla fase di implementazione permangono[32]. Rispettivamente, sono state infatti segnalate le ambiguità riguardanti la possibilità di importare idrogeno blu inserita nella strategia e, dall'altra, un'insufficiente prova della domanda così alta di idrogeno nel mix energetico futuro del paese, tale da richiedere investimenti così cospicui per la sua importazione.
Fig. 1.4 - Nordic-Baltic Hydrogen Corridor
Il Nordic-Baltic Hydrogen Corridor (Nbhc) è il progetto che si promette di trasportare al 2040 sino a 2,7 milioni di tonnellate annue di idrogeno dalla Finlandia attraverso i paesi baltici, la Polonia, rifornendo infine la Germania. L'infrastruttura è stata nominata, nel novembre 2023, un Progetto di Interesse Comune (Pci) dalla Commissione e dunque potrà godere di condizioni burocratiche e finanziarie agevolate per la sua realizzazione[33]. Il corridoio, dalla lunghezza di 2,500 km e nel futuro estensibile anche alla Svezia, si pone l'obiettivo di coprire buona parte delle necessità di import della Germania, contribuendo anche alla decarbonizzazione dei settori hard-to-abate di un altro paese come la Polonia. Esso si basa sulle potenzialità di energia solare, eolica e idroelettrico localizzata nella Penisola Scandinava.Una regione dove gli investimenti in fonti rinnovabili continuano a non mostrare segni di particolare cedimento, neanche di fronte ad una congiuntura macroeconomica sfavorevole[34].
Non solo. I sei partner del progetto, tutti operatori delle rispettive reti gassifere nazionali ad eccezione di Ontras, la quale gestisce soltanto la rete della Germania orientale, prevedono l'utilizzo di idrogeno nella produzione di energia elettrica. Il vettore servirebbe dunque a stoccare energia nei periodi di eccessiva produttività delle fonti rinnovabili e, alternativamente, come fonte di generazione alternativa alle rinnovabili nei momenti di bassa operatività[35]. Uno studio di pre-fattibilità, uscito a settembre 2024, indica la potenzialità di produzione sino a 4 milioni di tonnellate annue (Mt/a) al 2040, pari a 128 TWh, ovvero il 25% del massimale di domanda previsto nella strategia nazionale per l'import tedesco.
Mentre lo studio suggerisce che Nbhc sia una soluzione efficiente e flessibile in termini di costi alle incertezze degli approvvigionamenti europei, esso non fornisce invece alcun dettaglio relativo ai rischi relativi alla sicurezza[36]. Da ricordare in questo caso vi è l'episodio del sospetto sabotaggio del gasdotto Balticconnector che collega Finlandia ed Estonia e avvenuto nell'ottobre del 2023. L'incidente, divenuto un contenzioso internazionale, è stato provocato con ogni dubbio da un vascello di origine cinese e un'indagine a riguardo è stata aperta delle autorità finniche ed estoni[37]. Pur non avendo evidenziato dati concreti, l'evento segnala quali rischi possano minacciare l'infrastruttura in un'epoca di crescenti tensioni internazionali. Al pari, i partner non forniscono dettagli specifici ai costi dell'infrastruttura. Rimane lecito pensare che il network per il trasporto si basi, in larga parte, su infrastrutture già esistenti. Il dubbio che i partner prevedano nuovi investimenti infrastrutturali è comunque possibile, viste le indicazioni visive contenute nella European Hydrogen Backbone (vedi Figura 1.3). A ogni modo, queste non sono sostenute da alcun tipo di affermazioni di natura strategica riguardante gli stessi investimenti infrastrutturali. Nell'incertezza che aleggia nel mercato, è lecito però pensare che il corridoio si appoggierà sull'utilizzo della rete gassifera che, già oggi, collega i sei paesi europei.
Agli opposti nello spettro europeo in termini di chiarezza, la strategia per le importazioni di idrogeno dell'Italia fa emergere fortissime ambiguità. Un vero e proprio documento che sostanzi una strategia per le importazioni dell'idrogeno paese è infatti, a oggi, assente. Sul finire del 2020, il governo Conte II decise di promuovere una "Strategia Nazionale Idrogeno Linee Guida Preliminari" che rimane allo stato attuale il documento più significativo di indirizzo sulla materia[38]. A ogni modo, nonostante l'assenza di riferimenti ai piani europei che hanno spinto negli anni seguenti verso l'accelerazione di un'industria europea, la strategia evidenzia una volontà di penetrazione dell'idrogeno nella domanda energetica finale del 2% circa entro il 2030 (pari a 0,7 Mt/a) e sino al 20% entro il 2050. Il documento rimane, pur essendo scarno di dettagli, di notevole importanza. La questione delle importazioni, pur timidamente abbozzata, offre alcuni spunti sintetici ma rilevanti per definire le interdipendenze dell'Italia nel settore. La Strategia punta a evidenziare come la rete esistente di trasporto del gas "ben sviluppata e interconnessa" offre "opportunità di import e export" e già anticipa il ruolo del paese come "hub per il commercio dell'idrogeno"[39]. La Strategia contiene altresì riferimenti alla opportunità di integrare la produzione nazionale con l'importazione di idrogeno a basse emissioni, incluso l'idrogeno blu.
Il Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (Pniec) presentato da Roma a Bruxelles nel luglio del 2024 torna sul tema dell'idrogeno, fornendo ulteriori spunti di analisi. Mentre si richiama ad un approccio "realistico e tecnologicamente neutro" alla transizione, la promozione dell'idrogeno come misura di decarbonizzazione dei settori cosiddetti hard-to-abate e un suo blending con il gas naturale, si ribadisce anche il ruolo di questo vettore per ridisegnare il mix energetico italiano nell'epoca della transizione[40]. Il Pniec stesso sottolinea lo sviluppo di una "strategia dell'idrogeno" come indirizzo di rilievo per la cooperazione regionale. Peccato che, oltre ai ripetuti avvertimenti, nulla sia stato sostanziato sul lato strategico. Secondo Pniec 2024, il totale di consumi di idrogeno verde al 2030 sarebbe di 0,25 Mt/a, una quantità che risulta addirittura inferiore a quella di idrogeno prodotto da fonti fossili se comparato con i dati della strategia del 2020[41]. All'ambiguità in tal senso si aggiunge la stima che vede soltanto il 30% di questo valore rappresentato da idrogeno verde importato. Ciò significa, utilizzando gli stessi standard di conversione vigenti in Europa, che le importazioni previste dall'Italia di idrogeno verde si aggirano su circa 2,4 TWh contro i 45-90 TWh previsti dalla strategia di importazione tedesca (Figura 1.5).
Fig. 1.5 - Stima volume importazioni di idrogeno in Italia e Germania al 2030
N.B. mentre il Pniec fa una distinzione specifica tra idrogeno verde e di altre tipologie nei consumi finali, il governo tedesco non fornisce stime precise a tal merito e dunque il totale delle importazioni al 2030 include sia idrogeno verde che su base fossile, ma con la netta predilezione per la prima categoria.
Fig. 1.6 - North Africa and Southern Europe
Il SoutH2Corridor è senz'altro il progetto maggiormente ambizioso e di rilievo che delinea una strategia di importazione dell'idrogeno per l'Italia. L'infrastruttura, dalla lunghezza stimata di 3,300 km e dalla capacità di 4 Mt/a intende convogliare idrogeno verde dal Nord Africa ai mercati dell'Europa centrale, giungendo sino nel Lander tedesco della Baviera. La capacità prevista è cospicua, e rappresenta il 40% degli obiettivi europei di importazione di idrogeno verde al 2030[42]. In questo caso, sono quattro gli operatori di rete coinvolti nel progetto: l'italiana SNAM, le austriache GCA e TAG, e infine la tedesca Bayernets. A differenza di quanto annunciato per il Nbhc, in questo caso gli operatori di SoutH2 corridor forniscono dati maggiormente precisi rispetto alla proporzione di rete di gasdotti che si intendono riproporre per il trasporto di idrogeno, stimati in oltre il 70%. Un'opera, dunque, fortemente integrata con il network già esistente di gasdotti che collegano il Nord Africa (Algeria-Tunisia) con l'Italia. Anche in questo caso, l'UE ha inserito i quattro segmenti della rete gestiti da SNAM, GCA, TAGA e Bayernets all'interno della lista dei progetti Pci[43].
La forte caratterizzazione che contraddistingue il discourse network relativo a quest'opera coinvolge, oltre ad attori privati dalla forte connotazione territoriale, diverse autorità politiche nazionali ed europee. Nel 2022 la visita dell'ex presidente del Consiglio Mario Draghi ad Algeri già vagliava una possibile cooperazione nel settore dell'idrogeno e altre fonti rinnovabili nel futuro delle relazioni bilaterali tra i due paesi. In parallelo, anche Eni e Sonatrach hanno inserito l'idrogeno verde nel Memorandum d'Intesa siglato a maggio 2022. Alla presenza sia di Draghi che del presidente algerino Tebboune, le due compagnie hanno inserito nel documento anche una valutazione di un progetto pilota per la produzione di idrogeno verde a Bir Rebaa North, decarbonizzando la già attiva produzione di gas naturale[44]. I contenuti del Memorandum sono stati poi ribaditi nel gennaio del 2023, durante la visita di stato della presidente del Consiglio Giorgia Meloni in Algeria. Oltre al ruolo del paese come fornitore principale di gas dell'Italia, la premier ha anche ribadito la volontà di costruire un nuovo "gasdotto per l'idrogeno" all'interno di una cooperazione energetica che miri alla "soluzione della crisi [energetica] in atto"[45]. Nel maggio del 2024, i governi di Roma, Berlino e Vienna hanno infatti siglato una dichiarazione d'intenti che mira ad accelerare lo sviluppo del corridoio, sviluppando il potenziale di "energia pulita del continente africano" collegandolo all'Europa "nello spirito del Piano Mattei"[46]. Secondo il vicecancelliere Habeck, il Corridoio contribuirà in particolare "all'approvvigionamento di idrogeno verde nelle regioni meridionali della Germania" mentre per l'ex commissario europeo all'Energia Kadri Simson esso "rafforza l'interconnessione tra gli Stati membri e i nostri partner nel Nord Africa"[47]. L'intervento di autorità pubbliche di peso fa emergere quella che la teoria sul discorso e policymaking descrive come un'"egemonia discorsiva"[48], ovvero laddove la strutturazione della scelta politica giunge a una certa coerenza proprio per via della convergenza tra la strategia tedesca, italiana, austriaca ed europea. Fa ancor più impressione ritrovare questo tipo di convergenza in governi dall'approccio agli antipodi del contesto europeo sui temi sia della transizione che dell' import di idrogeno,. Ciò è ancor più vero se vengono confrontati gli obiettivi di importazione di idrogeno di Italia e Germania (Figura 1.5) e la predominanza assoluta delle fonti fossili nel mix elettrico ed energetico di Algeria e Tunisia, i due paesi sulla sponda settentrionale dell'Africa coinvolti nel progetto.
La strategia spagnola dell'idrogeno ha altresì caratteristiche peculiari che vale la pena vagliare nel più ampio contesto della transizione europea. Il paese si è già dotato di una Hydrogen Roadmap nel 2020, risultando uno dei paesi pionieri in Europa nel settore[49]. Come nel caso tedesco, la esplicita preferenza va verso l'idrogeno verde, anche per l'assenza di una produzione nazionale di idrocarburi che ponga alternative in loco. Nella revisione del Pniec spagnolo del 2023, gli obiettivi nel campo della capacità produttiva di idrogeno vengono ulteriormente innalzati rispetto il 2020, passando da 4 a 11 GW. Un aumento consistente che rivela un'accelerazione delle ambizioni spagnole, legate certamente allo scenario geopolitico dinamico e un carattere fortemente identitario della strategia dell'idrogeno spagnola, con una quota consistente dei consumi a livello industriale, un consumo localizzato vicino ai centri di produzione e il rifiuto di alcun tipo di blending tra idrogeno verde e gas naturale.[50] Inoltre, ai cluster di produzione e consumo, la strategia spagnola concede all'idrogeno il ruolo di fonte di backup per il sistema elettrico durante le stagioni non di picco dei consumi, ma anche quella di rilancio delle regioni con difficoltà economiche più marcate[51].
Fig. 1.7 - Southwest Europe and North Africa
La peculiarità principale del caso spagnolo è la sua quasi totale focalizzazione per la produzione interna e l'esportazione, con l'assenza di una vera e propria strategia di import. Oltre a ciò, alcuni elementi di antagonismo emergono verso la possibilità di accettare idrogeno da paesi situati al di fuori dell'UE e potenzialmente concorrenti nella filiera, come Marocco e Algeria[52]. Al momento mancano comunque accordi che definiscano una cooperazione tra Spagna e i paesi della sponda settentrionale africana. A differenza di quanto osservato dal caso italiano e gli accordi algerini, ma anche della Green Partnership tra UE e Marocco del 2022, la cooperazione bilaterale si ferma alla ricerca e sviluppo ma non menziona direttamente la possibilità di import di idrogeno[53]. Addirittura, la Spagna avrebbe silurato già nel 2023 la possibilità di importare idrogeno verde attraverso il gasdotto Medgaz che collega direttamente il mercato gassifero spagnolo a quello algerino. Pur essendo l'Algeria il maggior fornitore della Spagna, sulla scia delle tensioni bilaterali tra Algeri e Rabat e la volontà di dare priorità alla produzione interna, pare che Madrid abbia accantonato l'opzione algerina.
La definizione stessa di un altro progetto dedito all'import ed export come H2MED, il quale dovrebbe connettere la Penisola Iberica, e dunque anche il Portogallo oltre che la Spagna, con l'Europa centrale, emerge come tratto saliente della strategia nazionale. Nato sotto gli auspici di una più ampia collaborazione tra 5 operatori delle reti gassifere di Portogallo, Spagna, Francia e Germania, H2MED ha un budget proposto di 2,5 miliardi di euro, una lunghezza di circa 700 km e una capacità prevista di 2 Mt/a.[54]. Anche in questo caso, la Germania è coinvolta direttamente nel progetto, essendo l'operatore tedesco OGE tra i cinque partner. La stessa è parte integrante dell'accordo che prevede la realizzazione del tratto maggiormente discusso di H2MED, ovvero quello di BarMar tra le città di Barcellona e Marsiglia. Detto ciò, va anche considerato che saranno soltanto Enagás, Terega e GRTgaz gli shareholder dell'infrastruttura offshore che dovrà collegare le due città entro la fine del decennio[55]. Sul punto, sono chiari gli screzi nella definizione di standard europei che chiariscano con precisione cosa sia idrogeno verde. Anche in previsione di standard precisi entro il prossimo anno, la visione spagnola e quella francese collidono aspramente. Madrid ha già ripetuto che l'idrogeno rosa prodotto attraverso un possibile surplus di energia prodotta dagli impianti nucleari francesi non verrà importato in Spagna e che, anzi, questo surplus dovrebbe rispondere soltanto ai fabbisogni interni di Parigi[56]. Allo stesso modo, la Spagna non è intenzionata a fornire elettricità alla Francia nel caso in cui il paese dovesse registrare ammanchi dovuti proprio al ridotto apporto del nucleare che, invece, sarebbe destinato alla produzione di idrogeno.
È singolare come soltanto la controparte francese evidenzi l'opportunità di importazioni di idrogeno verde dal Nord Africa[57]. Su questo punto, invece, Enagás appare silente, almeno fino al 2030.Dal 2040 in poi, la compagnia è invece maggiormente possibilista. La visione spagnola, infatti, proietta il paese come un vero portale per l'ingresso di idrogeno prodotto dai propri vicini verso l'Europa[58]. Eppure, senza la costruzione di una rete di trasmissione che funga da spina dorsale, dice Enagás, sarà impossibile una sicurezza degli approvvigionamenti e, va da sé, una funzionante strategia di importazione della Spagna e dell'Europa intera.
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[14] F. Timmermans, Speech of EVP Timmermans at the World Hydrogen Summit 2023 in Rotterdam, 11 maggio 2023.
[15] European Commission, Opening speech by Commissioner Simson at the International Hydrogen Colloquium 'Creating a European & Worldwide Market', 16 febbraio 2024. Per un rimando alle numerose iniziative di finanziamento dell'industria: European Commission, EU funding programmes and funds 2021-2027; European Hydrogen Observatory, Financial Tools and Incentives.
[16] European Union, Eur Lex, Directive (EU) 2024/1788, 15 luglio 2024.
[17] Per idrogeno verde si intende la variante prodotta grazie all'utilizzo di energia elettrica proveniente da fonti di energia rinnovabile (solare, idrica, geotermica, eolica o da biomasse) e dunque a ridottissime emissioni di gas climalteranti. Per addizionalità si intende idrogeno verde prodotto da nuova capacità installata di rinnovabili nel sistema e non da impianti preesistenti. Con correlazione temporale si definisce il legame lineare tra disponibilità di energia prodotta da fonti immesse nella rete, imponendo, nella sua più stretta interpretazione, che l'idrogeno venga prodotto soltanto quando energie rinnovabili consentono le operazioni degli elettrolizzatori. Infine, con correlazione geografica si intende la localizzazione degli elettrolizzatori vicini agli stessi impianti di produzione energetica, massimizzando l'efficienza della produzione energetica.
[18] S. Hedreen and C. Naschert, "Sluggish green hydrogen sector tests patience of upstream vendors", S&P Global, 17 giugno 2024.
[19] Hydrogen Council/McKinsey & Company, Hydrogen Insights 2023, dicembre 2023
[20] M. Lambert e A. Patonia, "Europe's REPowerEU Hydrogen Plan Two Years On: A Progress Update", in OIES Energy Forum, Issue 141, settembre 2024, pp. 38-41.
[21] European Council, Bolstering EU climate and energy diplomacy in a critical decade, 9 marzo 2023.
[22] European Commission, REPowerEU Plan, SWD(2022) 230 final, 18 maggio 2022.
[23] European Commission, Net Zero Industry Act, 2023/0081(COD), 16 marzo 2023.
[24] "China's Envision to invest $1 bln in Spain to make green hydrogen machinery", Reuters, 10 settembre 2024.
[25] European Hydrogen Backbone EHB, 10 aprile 2022.
[26] Vedi nota 7
[27] Y. Zabanova, "The EU in the Global Hydrogen Race: Bringing Together Climate Action, Energy Security, and Industrial Policy", in R. Quitzow and Y. Zabanova (eds.), The Geopolitics of Hydrogen Volume 1: European Strategies in Global Perspective, Cham, Springer, 2004, pp. 15-47.
[28] BMWK (2023) National Hydrogen strategy update
[29] Bundesministerium für Wirtschaft und Klimatschutz (MWK),, The National Hydrogen Strategy, 2020.
[30] Bundesministerium für Wirtschaft und Klimatschutz (MWK), Importstrategie für Wasserstoff und Wasserstoff derivate, 2024.
[31] Bundesministerium für Wirtschaft und Klimatschutz (MWK), Bundeskabinett beschließt Importstrategie für Wasserstoff und Wasserstoffderivate, 24 luglio 2024.
[32] Clean Energy Wire, "German govt adopts import strategy for green hydrogen", 24 luglio 2024.
[33] Commission delegated regulation (EU) 2024/1041, 28 novembre 2023.
[34] Evli, Evli launches new green transition fund - focusing on energy, resource efficiency and the circular economy, 11 settembre 2024.
[35] Elering, Nordic-Baltic Hydrogen Corridor, Investments and construction projects
[36] Gasgrid, Nordic-Baltic Hydrogen Corridor: Gas transmission operators complete pre-feasibility study, 9 settembre 2024.
[37] "China Calls for 'Professional' Probe as Estonia Disputes Finding", Bloomberg, 14 agosto 2024.
[38] Ministero dello Sviluppo Economico, Strategia Nazionale Idrogeno Linee Guida Preliminari, novembre 2020.
[39] Ibid., pp.10-12.
[40] Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima, giugno 2024.
[41] Ibid., p. 113.
[42] SoutH2Corridor (https://www.south2corridor.net/).
[43] Vedi nota 32.
[44] Eni, "Nuova intesa tra Eni e SONATRACH per l'accelerazione dello sviluppo di progetti a gas e decarbonizzazione attraverso l'idrogeno verde", 26 maggio 2022; Il Sole 24 Ore, "Gas, Draghi: 'Algeria diventato il nostro primo fornitore'", 18 luglio 2022.
[45] Il Sole 24 Ore, "Meloni in Algeria: l'Italia può diventare un hub per la distribuzione di energia", 23 gennaio 2023; Eni, "Eni e Sonatrach firmano accordi strategici per accelerare la riduzione delle emissioni e rafforzare la sicurezza energetica", 23 gennaio 2023.
[46] Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), "Italia, Germania e Austria firmano dichiarazione per corridoio sud dell'idrogeno", 30 maggio 2024.
[47] EUNews, "Germany, Austria, Italy to develop the Southern Hydrogen Corridor. Simson: 'Key project for decarbonization'", 30 maggio 2024.
[48] H. Bulkeley, "Discourse Coalitions and the Australian Climate Change Policy Network. Environment and Planning C", Politics and Space, vol. 18, Issue 6, 2000.
[49] Ministerio Para la Transicion Ecologica Y El Reto Demografico, Hoja de Ruta del Hidrógeno: una apuesta por el hidrógeno renovable, 2020.
[50] Borrador de Actualizacion del Plan Nacional Integrado De Energìa y Clima, Pniec, Madrid, Ministerio para la Transición Ecológica y el Reto Demográfico, giugno 2023.
[51] O.J. Guerra et al., "The value of seasonal energy storage technologies for the integration of wind and solar power", Energy & Environmental Science, vol. 13, no. 7, 2020, pp.1909-22.
[52] I. Ubasos e G. Escribano, in R. Quitzow and Y. Zabanova (eds.), The Geopolitics of Hydrogen Volume 1: European Strategies in Global Perspective, Cham, Springer, 2004, pp.133-47.
[53] Gobierno de Espagna/Kingdom of Morocco, 4th Moroccan-Spanish Joint Call for Energy Technological Cooperation 2024, luglio 2024; Commission europèenne, Discours du Vice-Président Exécutif Timmermans lors de la cérémonie de signature du Partenariat Vert avec le Maroc, 18 ottobre 2022.
[54] H2med (https://h2medproject.com/the-h2med-project/).
[55] H2med, Agreement for the development of BarMar hydrogen infrastructure, 25 giugno 2024.
[56] P. Lombardi, "Spain says will not plug French energy gap left by 'pink hydrogen'", Reuters, 17 maggio 2023.
[57] GRTgaz, BarMar-H2med
[58] P. Martin, "Spain to become major green hydrogen exporter to Europe, with domestic production double that of local demand by 2030", Hydrogen Insight, 31 gennaio 2024.