12/11/2024 | Press release | Distributed by Public on 12/11/2024 11:07
"Non ci dovrebbero essere dubbi sul fatto che quanto accaduto in Siria sia il frutto di un piano congiunto americano e sionista": a tre giorni dalla caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria la guida suprema dell'Iran, Ayatollah Ali Khamenei, è intervenuto per la prima volta sugli eventi in corso nel paese, storico alleato della Repubblica islamica. "È vero - ha detto Khamenei in riferimento alla Turchia, pur senza nominarla - che un governo vicino alla Siria gioca, ha giocato e sta giocando un ruolo evidente in questo senso, tutti lo vedono, ma il principale cospiratore, la mente e il centro di comando si trovano in America e nel regime sionista". La guida suprema iraniana ha concluso il suo discorso avvertendo che ciascuno degli aggressori in Siria ha obiettivi diversi: "Alcuni cercano di occupare la terra. Gli Stati Uniti mirano a rafforzare la propria posizione nella regione. Il tempo mostrerà che nessuno di loro raggiungerà questi obiettivi" e ha concluso: " I territori che sono stati conquistati in Siria saranno liberati dai coraggiosi giovani siriani. Non ho dubbi che ciò accadrà". Nel paese, intanto, resta in bilico il futuro delle basi militari russe, quella navale di Tartus, l'aeroporto di Khmeimim vicino Latakia e gli altri avamposti. Le milizie al potere avrebbero garantito la sicurezza delle strutture, mentre Mosca ha affermato di essere pronta a parlare con i nuovi governanti della Siria.
Intanto da Damasco, il primo ministro del governo di transizione Mohammed al-Bashir elenca le priorità del nuovo esecutivo: "Dobbiamo ripristinare la sicurezza e la stabilità in tutte le città siriane, riportare indietro i milioni di rifugiati sparsi nel mondo" e "pianificare in modo strategico" per porre fine alla "precarietà dei servizi essenziali come elettricità, cibo e acqua". In un'intervista esclusiva al Corriere della Sera, al-Bashir ha dichiarato che "le persone sono sfinite dall'ingiustizia e dalla tirannia. L'autorità dello Stato deve essere ristabilita per consentire alle persone di tornare a lavoro e riprendere la loro vita normale". Il premier, già alla guida del governo 'di salvezza' istituito nella roccaforte di Idlib ha avvertito che la situazione finanziaria della Siria è disastrosa, e che "nelle casse dello Stato ci sono solo sterline siriane, che non valgono quasi niente". Interrogato sul futuro, alla luce del passato jihadista del suo gruppo HTS, al-Bashir si è espresso in modo rassicurante. "Le azioni illecite di certi gruppi islamisti - ha detto - hanno portato molte persone, soprattutto in Occidente, ad associare i musulmani al terrorismo e l'Islam all'estremismo". Proprio perché musulmani, "garantiremo i diritti di tutte le persone e di tutte le comunità in Siria" ha aggiunto, precisando che il nuovo governo di transizione, che resterà in carica fino a marzo 2025 è aperto al dialogo con qualsiasi stato straniero "che si sia tenuto lontano dal regime di Assad assetato di sangue". Dal canto loro, rappresentanti degli stati confinanti e delle nazioni arabe del Golfo hanno tenuto degli incontri con i responsabili del gruppo e si prevede che riconosceranno il governo di transizione nei prossimi giorni.
Mentre nella capitale si cerca di mettere ordine al caos evitando un pericoloso vuoto di potere, Israele non ha perso tempo per difendere i propri interessi e portare a casa vantaggi strategici: i suoi tank sono arrivati nella "zona cuscinetto" oltre le alture del Golan occupato dal 1967, poche ore dopo la caduta di Assad, dichiarando di voler creare una "zona di protezione difensiva" all'interno del confine meridionale della Siria. In particolare, le forze israeliane (Idf) hanno occupato il versante siriano del monte Hermon, altopiano strategico a circa 60 chilometri da Damasco e che domina dall'alto entrambi i paesi. La zona cuscinetto fu istituita in seguito all'accordo che pose fine alla guerra dello Yom Kippur del 1973, iniziata quando Egitto e Siria lanciarono un attacco a sorpresa contro Israele. Il Times of Israel riferisce che i funzionari israeliani ora considerano nullo quell'accordo e che le Idf potrebbero mantenere le loro nuove posizioni all'interno della Siria "per molto tempo, a seconda degli sviluppi". L'avanzata dei carri armati di Tel Aviv segue una serie di raid dell'aviazione che avrebbero preso di mira presunti siti di armi chimiche, sistemi radar e missilistici, depositi e gran parte della marina siriana. Egitto, Qatar e Arabia Saudita hanno condannato le incursioni accusando Israele di sfruttare la situazione di disordine in Siria e di violare il diritto internazionale.
Nella Siria settentrionale, intanto, le forze curdo-siriane (SDF) sostenute dagli Stati Uniti e l'Esercito nazionale siriano (Ens) sostenuto da Ankara hanno raggiunto un accordo di cessate il fuoco nella città settentrionale di Manbij attraverso una mediazione statunitense "per garantire la sicurezza e l'incolumità dei civili". Il comandante delle SDF Mazloum Abdi ha dichiarato che "i combattenti del Consiglio militare di Manbij, che resistono agli attacchi dal 27 novembre, si ritireranno dalla zona il prima possibile". Ancora oggi le formazioni a maggioranza curda - armate e sostenute dagli Stati Uniti e che respinsero sul campo l'avanzata dello Stato Islamico nel nord della Siria - gestiscono dei campi di prigionia in cui sono rinchiusi migliaia di combattenti dell'Isis. È lì - e precisamente nel governatorato di Homs dove gli Usa hanno ancora una base militare e circa 900 militari impegnati in operazioni di antiterrorismo - che si gioca un'altra cruciale partita per il futuro del paese. Mohammed al-Jolani, ha cercato di dissipare i timori dicendo che il paese "è esausto" della guerra e non ha intenzione di ritornarci, ma le notizie di esecuzioni sommarie di ex sostenitori del regime per le strade e della tomba di Assad padre, data alle fiamme, fanno temere il peggio. Sfide enormi attendono la Siria e se la storia di altri regimi arabi abbattuti dopo anni di tirannia mostra gli errori da non commettere, non fornisce tuttavia validi esempi da seguire.
Il commento
Di Ugo Tramballi, Senior Advisor ISPI
"La caduta di Bashar Assad, quasi 14 anni dopo l'inizio delle rivolte contro il regime, dimostra che quel processo politico chiamato 'primavere arabe' non è finito. I dittatori, gli emiri e i rais sopravvissuti a quella bufera contro i poteri immutabili del Medio Oriente, tendono a definirle un episodio. Invece sono un processo destinato a durare a lungo, anche decenni, fra alti e bassi". (Continua a leggere)