ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

10/09/2024 | Press release | Distributed by Public on 10/10/2024 02:05

Speciale guerra in Medio Oriente: una crisi tira l’altra

Nel Medio Oriente di queste settimane si congiungono molti tasselli di quella che papa Francesco, con una definizione tanto azzeccata quanto terribile, ha definito la "Terza guerra mondiale a pezzi". La guerra iniziata il 7 ottobre scorso con l'attacco di Hamas a Israele ha finito per coinvolgere paesi già alle prese con crisi in atto. È il caso del Libano, reduce da anni di collasso economico e tensioni politiche, ma anche della Siria. Il paese arabo, teatro dal 2011 di una guerra civile sfociata in un conflitto regionale, è in questi giorni nell'occhio del ciclone, anche se gran parte dell'attenzione è rivolta verso Iran e Israele, che non ha ancora risposto all'attacco missilistico del primo ottobre. C'è ancora dibattito, infatti, nel governo israeliano e con gli alleati statunitensi per concertare la risposta, in modo che sia efficace ma che, allo stesso tempo, non inneschi un'escalation regionale. Tuttavia, proprio in Siria, si combatte invece una parte consistente dello scontro a distanza tra lo Stato ebraico e la Repubblica islamica, che finisce per coinvolgere anche gli Stati Uniti.

Siria nel mirino?

La campagna israeliana contro Hezbollah e l'uccisione dello storico leader del gruppo, Hassan Nasrallah, hanno messo in grande difficoltà il cosiddetto Asse della resistenza, formato da governi, partiti e milizie filo-Iran nella regione mediorientale. Ne fa parte anche il regime siriano di Bashar Al-Assad, sopravvissuto alla guerra civile proprio grazie all'intervento del "Partito di Dio" libanese e dell'Iran stesso. Dall'inizio dell'escalation Hamas-Israele, il governo siriano è rimasto notevolmente defilato, soprattutto rispetto all'attivismo dimostrato da Hezbollah e altri gruppi filoiraniani come gli Houthi dello Yemen. La Siria, dunque, non è stata coinvolta direttamente nel conflitto, ma nello scontro a distanza Israele-Iran (e USA-Iran) è praticamente il teatro principale. Israele lancia periodicamente attacchi contro obiettivi all'interno della Siria, corridoio tramite il quale l'Iran rifornisce Hezbollah in Libano, ma il governo di Damasco si limita a condannare gli attacchi senza prendere alcuna iniziativa. Come evidenziano i dati raccolti da Charles Lister del Middle East Institute, negli ultimi giorni c'è stata un'escalation significativa. Nella giornata di ieri, 8 ottobre, si è chiusa la settimana con più raid aerei israeliani in Siria (17 in sette giorni) da 13 anni a questa parte. Non solo: nel giro di due settimane, milizie filo-iraniane hanno lanciato 7 attacchi (con droni, razzi e altro) contro obiettivi americani in Siria, come la base di Conoco nell'est del paese. Vale la pena notare che attacchi di questo tipo contro basi e obiettivi americani si erano interrotti bruscamente a febbraio scorso, per poi riprendere in queste settimane.

Un gioco pericoloso?

Il premier israeliano Netanyahu ha dichiarato apertamente di voler disegnare "un nuovo Medio Oriente", ma non è chiaro quale posto possano occuparvi la Siria e il suo autocrate. Gli attacchi hanno probabilmente il duplice obiettivo di spezzare la catena logistica iraniana e di inviare un messaggio a Damasco perché continui a starsene in disparte. Particolarmente chiaro, questo monito, se si considera che uno dei raid avrebbe preso di mira una villa collegata a Hezbollah e a Maher al-Assad, fratello del presidente e secondo uomo più potente del paese (la cui sorte è ancora ignota). Indiscrezioni di stampa, intanto, suggeriscono che Assad potrebbe approfittare delle difficoltà nell'Asse della resistenza per cercare di svincolarsi, anche in minima parte, dal controllo di Teheran e del Partito di Dio, preparandosi così a "un futuro post-Iran". D'altro canto, Assad sta lavorando da mesi per un riavvicinamento con la Turchia e con il consesso arabo (lo scorso anno è tornato alla Lega araba per la prima volta in 12 anni). Tuttavia, questo audace cambio di campo dipende in larga parte dall'esito della guerra in corso. Se Israele neutralizzasse in qualche modo Hezbollah, il bisogno dell'Iran di territorio siriano come corridoio potrebbe effettivamente diminuire. D'altro canto, scrive il sito libanese Al-Modon - l'Iran potrebbe fare l'esatto opposto, rafforzando la sua presa sulla Siria per timore di perdere una parte cruciale della sua influenza strategica nella regione.

Beirut come Gaza?

La partita tra Israele e Hezbollah, tuttavia, è tutt'altro che chiusa. Mentre le Forze di difesa israeliane (IDF) proseguono la loro campagna via terra nel sud del Libano, con video che mostrano il Magen David (la Stella di David) sventolare sulle colline libanesi di Maroun El-Ras, continuano i raid aerei anche in altre aree del paese. Va così a ingrossarsi il flusso di profughi che cercano rifugio proprio nella vicina Siria. Per molti di loro si tratta in realtà di un viaggio di ritorno: sono, infatti, siriani scappati in Libano negli anni passati per sfuggire ai massacri della 'loro' guerra, e che ora si ritrovano a fare lo stesso viaggio a ritroso tra mille difficoltà (comprese cospicue tangenti da pagare alle guardie di frontiera). In Libano, intanto, la situazione potrebbe ancora peggiorare. In modo simile a quanto già fatto con i cittadini iraniani la scorsa settimana, Netanyahu ha diffuso un video-messaggio rivolto ai libanesi, rivendicando l'uccisione - non confermata da Hezbollah - di Hashim Safieddine, successore designato del defunto Nasrallah. In un invito, neanche troppo velato, a sollevarsi contro il "Partito di Dio", il premier israeliano ha affermato: "Avete l'opportunità di salvare il Paese prima che cada nell'abisso di una lunga guerra che porterà alla distruzione e alla sofferenza, come si vede a Gaza". Un paragone, quello con l'enclave palestinese, che ha suscitato molte critiche e moltissime preoccupazioni.

Il commento

di Muriel Di Dio, ISPI MENA Centre

"Il silenzio di Assad non deve sorprenderci. Da un lato, l'Iran e gli alleati del cosiddetto Asse della Resistenza continuano a rappresentare dei partner fondamentali per Damasco; dall'altro, le crescenti difficoltà interne del regime e i colpi subiti dall'Asse, in particolare da Hezbollah, aumentano il rischio di un coinvolgimento diretto della Siria nel conflitto. Assad sembra orientarsi verso un 'distanziamento pragmatico' dalla consueta retorica anti-israeliana e dal sostegno alla 'resistenza'. La strategia del presidente mira a trovare un equilibrio complicato tra il non infastidire i suoi alleati, e il rischio di essere inghiottito nel conflitto, in una fase di costante instabilità interna per il regime su più fronti. Inoltre, le aperture mostrate da alcuni paesi europei negli ultimi mesi verso una possibile normalizzazione delle relazioni con Damasco e il riavvicinamento con la Turchia complicano ulteriormente i calcoli di Damasco: Assad per ora passa il turno sperando prima o poi di avere buone carte da giocare."

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