ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

07/19/2024 | Press release | Distributed by Public on 07/19/2024 07:19

India: i muscoli di Modi 3.0 nell’arena globale

Il risultato delle elezioni indiane annunciato lo scorso 4 giugno ha smentito l'aspettativa diffusa che il primo ministro uscente Narendra Modi e il suo Bharatiya Janata Party (BJP) fossero destinati a ottenere una vittoria schiacciante, tale da permettere loro di governare per altri cinque anni con una maggioranza assoluta e senza la necessità di stringere alleanze, proprio come nelle precedenti tornate elettorali del 2014 e del 2019. Questa volta, Modi e il BJP dovranno invece fare affidamento su una coalizione di governo, la National Democratic Alliance (NDA), e in particolare su due partiti minori i cui leader hanno più volte cambiato posizioni e schieramenti nel corso degli anni.

Per il primo ministro si tratta di una situazione inedita, poiché mai prima d'ora aveva dovuto affrontare le difficoltà e i compromessi necessari in un governo di coalizione. Inoltre, la sorpresa di un risultato più deludente del previsto espone lui e il suo partito a un senso di vulnerabilità politica e di incertezza che negli ultimi due mandati - costellati di successi elettorali e consensi apparentemente sempre in crescita - sarebbe stato impensabile.

Ma la preoccupazione che attanaglia molti osservatori dopo le elezioni riguarda soprattutto le conseguenze politiche ed economiche di questa situazione: un Modi indebolito e un governo di coalizione saranno in grado di implementare con prontezza le riforme necessarie a consolidare e dare nuovo slancio allo sviluppo del Paese oppure a stringere importanti accordi internazionali con altri Paesi, inclusi quelli occidentali?

Se è probabile che le conseguenze del risultato elettorale si ripercuoteranno fin da subito sull'agenda nazionale di Modi, è lecito pensare che la politica estera e di sicurezza non figurerà tra le priorità immediate del nuovo parlamento indiano. Eppure, l'inaspettata battuta d'arresto del BJP e i nuovi equilibri associati a un governo di coalizione, in cui attori con interessi e storie politiche eterogenee dovranno trovare un modus vivendi, non mancheranno di influenzare significativamente anche le relazioni internazionali dell'India.

Riforme e priorità economiche

I risultati elettorali non cambieranno le motivazioni fondamentali che hanno guidato la strategia economica dei governi Modi dell'ultimo decennio, indipendentemente da chi occuperà le posizioni chiave della nuova amministrazione.

Innanzitutto, l'India ha un disavanzo commerciale massiccio e in crescita, che in alcuni anni è arrivato a sfiorare il 10% del PIL e che getta il Subcontinente in una condizione di vulnerabilità e dipendenza nei confronti di alcuni Paesi, a partire dalla Cina, ma sempre di più anche della Russia, grazie soprattutto alle importazioni di idrocarburi a prezzi scontati.

In secondo luogo, in India, come in altri Paesi in via di sviluppo, la forza lavoro agricola, che rappresenta quasi la metà di tutta la forza lavoro nazionale, si sta spostando verso le città in cerca di impieghi a bassa specializzazione nell'economia formale. Con la specificità tutta indiana che nel Paese più popoloso e tra i più giovani al mondo - 28,4 anni l'età mediana laddove in Cina è di più di 38 anni - sono più di 10 milioni gli aspiranti lavoratori che entrano nel mercato ogni anno.

Qualsiasi esecutivo si trovi a governare l'India per i prossimi anni dovrà prodigarsi a implementare le riforme e le iniziative politiche necessarie ad affrontare queste preoccupazioni fondamentali. Prioritaria dovrebbe per esempio essere la semplificazione dell'imposta sul valore aggiunto (Goods and services tax, GST) introdotta a livello nazionale nel 2017 - con un BJP a maggioranza assoluta e non senza difficoltà - che fino ad ora esclude però beni fondamentali come gli idrocarburi e l'alcol, ma anche il settore immobiliare. È probabile, però, che per un governo di coalizione varare riforme complesse e potenzialmente impopolari come questa potrebbe risultare più difficile, soprattutto se dovessero richiedere dei cambiamenti legislativi importanti.

È probabile che il risultato elettorale di giugno rallenti la traiettoria complessiva dello sviluppo indiano anche in altri modi. Nei primi due mandati, per esempio, il governo Modi era riuscito a lanciare - o a intestarsi - una serie di programmi nazionali volti a favorire la diffusione a più ampie fasce della popolazione di servizi di base come i pagamenti digitali, l'accesso ai servizi igienici, all'acqua potabile o all'energia elettrica. Un governo più debole avrà maggiori difficoltà a portare avanti progetti ambiziosi e costosi come questi.

Anche quello che Modi ha definito come un progetto di "federalismo cooperativo-competitivo" - ovvero una centralizzazione di fatto di molte decisioni politiche, ma con l'incentivo agli Stati federati dell'India a competere tra loro per ottenere risorse e benefici - sarà più difficile da implementare in un contesto di coalizione. I partiti regionali da cui oggi dipende la sopravvivenza del governo di coalizione non vedono di buon occhio le iniziative che potrebbero erodere la loro indipendenza e il loro consenso sul piano locale. E anzi, forti del loro nuovo peso, potrebbero essere portati a intralciare alcune riforme o a pretendere concessioni e privilegi che non necessariamente rispondono a un interesse nazionale più ampio. Per esempio, i governi degli Stati indiani hanno l'ultima parola sui tipi e sulla provenienza dell'energia elettrica che alimenta le loro reti. Sul piano nazionale questo potrebbe rappresentare un freno ai grandi progetti di sviluppo senza un ritorno immediato, come quello di installare 450 gigawatt di energia elettrica rinnovabile entro il 2030.

Commercio e integrazione nelle catene globali del valore

A prescindere dalla coalizione di governo, l'India continuerà a trarre notevoli benefici dalla tendenza ormai globale a cercare di ridurre i rischi legati all'eccessiva dipendenza dalla Cina, in una dinamica di de-risking destinata a durare e che ha spinto governi e multinazionali a trasferire parti delle loro linee di produzione in Paesi alternativi alla Cina. Considerata l'abbondante manodopera di cui l'India dispone, la sua crescita economica particolarmente dinamica e l'aumento della domanda interna a cui contribuisce tra l'altro anche la rapida urbanizzazione, l'India è destinata a essere uno dei principali vincitori di queste evoluzioni dello scenario geoeconomico internazionale. Il prossimo governo dovrà continuare a impegnarsi a intercettare e far fruttare questo vantaggio competitivo dell'India, in un quadro geopolitico che per New Delhi si presenta però come tutto sommato positivo.

Nello specifico, il posizionamento favorevole dell'India nella riconfigurazione delle catene globali del valore dovrebbe indurre Modi 3.0 e i suoi alleati di governo a profondere maggiori sforzi e investimenti per consolidare lo sviluppo infrastrutturale del Paese, ma anche a impegnarsi a negoziare e siglare gli accordi commerciali di cui l'India ha bisogno per promuovere e finanziare la propria ambizione di diventare una nuova potenza manifatturiera alternativa alla Cina. Questa prospettiva avrebbe notevoli ricadute anche sul piano interno, proprio perché permetterebbe a New Delhi di sviluppare quei settori ad alta intensità lavorativa - a partire dal manifatturiero - necessari ad assorbire e valorizzare un dividendo demografico unico al mondo.

Nei suoi primi due mandati Modi ha lavorato alacremente per sviluppare le infrastrutture del Paese e, più timidamente, per agevolare gli investimenti dall'estero. Al prossimo governo spetterà innanzitutto il compito di ridurre i dazi sulle importazioni, soprattutto se l'India vuole attrarre investimenti e incrementare il suo contributo relativo alle catene del valore della manifattura globale. Nell'ultimo decennio la competitività dell'India è aumentata molto, e questo dovrebbe motivare il governo a superare il tradizionale approccio protezionistico in favore di una maggiore apertura al libero commercio e alla concorrenza, sicuramente più adeguati alla vivacità economica, scientifica e sociale dell'India del Ventunesimo secolo. Per l'India si tratterebbe di un cambio di paradigma complesso e non affatto scontato, ma alla luce dei benefici che un maggiore afflusso di investimenti potrebbe portare anche sul piano locale, non è detto che un governo di coalizione - in cui la voce degli Stati conterà più di prima - debba necessariamente rappresentare un ostacolo a intraprendere questa strada.

Sicurezza, difesa e rapporto con l'Occidente

Anche nel terzo mandato di Modi, il driver principale alla base della visione strategica regionale e delle partnership dell'India in materia di sicurezza rimarrà lo stesso: unaCina percepita come sempre più assertiva e minacciosa. E poiché, seppur con le dovute differenze, questa percezione è condivisa anche da altri Paesi, a partire da quelli occidentali - Stati Uniti in testa - losviluppo di partnership strategiche nell'Indo-Pacifico, la condivisione di sistemi d'arma avanzati, lo sviluppo di accordi e commercio nell'ambito dell'industria della difesa, così come la prospettiva di unire le forze se le tensioni con la Cina dovessero farsi più serie, offrono una base per le relazioni con l'India in ambito di sicurezza abbastanza solida da resistere ai cambiamenti politici che il Paese sta attraversando in questi mesi. Inoltre, i partner di coalizione del nuovo governo Modi non sono dei ferventi anti-occidentali ed è improbabile che abbiano interesse a compromettere l'approccio complessivamente pragmatico e multi-allineato perseguito sinora dal premier in politica estera con un notevole successo.

È possibile che le decisioni più impegnative in materia di bilancio o di approvvigionamento diventino l'occasione per una più dura contestazione politica - in passato è accaduto spesso, incentrandola su accuse di corruzione o cattiva gestione - che nei primi due mandati Modi era riuscito a evitare grazie all'ampio controllo del BJP sul Parlamento. È verosimile che la maggiore incertezza politica di oggi possa indurre i ministri e i funzionari indiani responsabili dell'approvazione di grandi accordi a una maggiore avversione al rischio. Ciò potrebbe rappresentare a sua volta un ostacolo agli investimenti più audaci, inclusi quelli nel settore della difesa, o all'avvio dei grandi accordi commerciali necessari a realizzare l'ambizione indiana di diventare una potenza sulla scena mondiale.

Eppure, è poco probabile che le questioni di politica estera e di sicurezza nazionale rappresentino delle vere e proprie priorità per i partner di coalizione del BJP, molto più preoccupati dalle molteplici questioni regionali, locali e pratiche che li coinvolgono. Lo stesso vale per il nuovo parlamento - rinvigorito nella sua eterogeneità e nel ruolo più centrale delle opposizioni - che sarà uno scrupoloso arbitro delle iniziative del governo sul piano della politica interna, ma meno su quello della politica estera. Tanto più che le principali questioni diplomatiche e relative alla sicurezza nazionale dell'India sono generalmente gestite dall'ufficio del primo ministro senza che sia necessario ricorrere a specifiche iniziative sul piano legislativo. Negli ultimi anni Modi ha inoltre fortemente centralizzato il controllo sul funzionamento dei ministeri e delle agenzie rilevanti, come i servizi di intelligence, che oggi fanno capo al primo ministro attraverso il suo consigliere per la sicurezza nazionale.

Cosa cambia per le relazioni tra India ed Europa?

Il risultato delle elezioni indiane potrebbe rappresentare un fattore di rallentamento nello sviluppo economico del Paese, ma allo stesso tempo ha dimostrato laresilienza e la vivacità della democrazia indiana, che a molti sembrava destinata a un inesorabile declino illiberale.Per l'Europa, quest'ultima è sicuramente una buona notizia. Inoltre, è vero che la prospettiva di un'economia indiana forte e dinamica - in cui l'Unione europea possa trovare uno sbocco alle sue esportazioni e un'alternativa credibile alla Cina per i suoi investimenti diretti esteri nel settore manifatturiero - potrebbe ora apparire più incerta. Ma proprio per questo, l'India potrebbe essere ora più incline a imprimere un'accelerazione ai negoziati per il tanto atteso accordo commerciale con l'UE, soprattutto in una fase di grande incertezza globale e di crescente competizione tra Stati Uniti e Cina.

Un accordo commerciale e di investimento tra Europa e India aprirebbe delle prospettive decisamente positive per entrambe, dal momento che offrirebbe alle aziende europee l'accesso a un mercato molto grande e in crescita e all'India la prospettiva di espandere il suo settore manifatturiero grazie agli investimenti europei. I membri della European Free Trade Association (EFTA) e l'India hanno già firmato unaccordo che prevede un impegno di investimento di 100 miliardi di dollari da parte dei membri dell'EFTA. Soprattutto adesso che - anche alla luce del risultato elettorale - il governo Modi avrà disperatamente bisogno di creare nuovi posti di lavoro, il prossimo passo potrebbe riguardare un accordo con l'Unione europea nella sua interezza.

Conclusione

Sul piano internazionale e della politica estera, gli orientamenti dell'India post-elettorale resteranno in buona sostanza immutati. Inoltre, le elezioni di quest'anno hanno rinvigorito la democrazia indiana anche sul piano reputazionale. Per il Paese ancora guidato da Modi - molto dipenderà infatti dalla sua capacità di gestire la nuova e più incerta congiuntura politica in cui si troverà a governare - potrebbe aprirsi la possibilità di agire sul palcoscenico globale con una maggiore autorità e legittimità . Questo vale soprattutto per le relazioni con il mondo occidentale, ma anche con i Paesi del Sud globale alla cui guida l'India sta cercando di accreditarsi al posto della Cina.

Naturalmente, un governo di coalizione e un'opposizione potenziata dai risultati elettorali potrebbero ostacolare la capacità di Modi di prendere decisioni importanti in autonomia, come per esempio quelle di siglare accordi, sia commerciali che di sicurezza, con altri Paesi. Tali accordi saranno infatti soggetti a un ulteriore esame da parte dei partner di governo, delle opposizioni e del parlamento nel suo complesso, molto più approfondito di quello a cui lo stesso Modi, o i suoi partner internazionali, sono abituati.

Eppure, il risultato elettorale potrebbe avere l'effetto di riportare in primo piano il riformismo economico del BJP e di smorzare l'insistenza del partito sull'agenda del nazionalismo induista, insieme alle retoriche e alle politiche che negli ultimi dieci anni hanno polarizzato il Paese e acuito le tensioni religiose. In termini elettorali l'ideologia dell'Hindutva su cui il partito di Modi ha puntato in campagna elettorale non ha pagato. Per di più, il BJP si trova oggi a governare insieme a partner di coalizione il cui elettorato è in parte rappresentato da cittadini musulmani e con cui Modi potrebbe scegliere di instaurare un corso politico più pragmatico e meno ideologico.

L'apparente paradosso è che in relazione alla politica estera dell'India, invece, un tipo di approccio muscolare e nazionalista alle relazioni con il mondo sembra oggi raccogliere un consenso ben più trasversale che nella sola base dei fedelissimi del BJP. Anzi, in molti casi è difficile discernere esattamente come e su quali questioni la visione del mondo di Modi si rifaccia a parametri riconducibili specificatamente al nazionalismo indù. Nell'ultimo decennio, infatti, le principali direttrici delle relazioni internazionali dell'India di Modi - dagli Stati Uniti alla Cina, alla Russia, al Pakistan e così via - non sembrano mai essere state dettate esclusivamente da attaccamenti ideologici dottrinari. È una tendenza che probabilmente è destinata a persistere. Eppure, alla luce del risultato elettorale e della necessità di governare con una coalizione, èprobabile che Modi e il BJP eserciteranno sulla politica internazionale dell'India un controllo maggiore rispetto a quello che potranno esercitare sulle questioni di politica interna. Questa situazione potrebbe spingerli a inquadrare le loro ambizioni e scelte di politica estera in termini sempre più ideologici, come concessione alla base estremista indù del partito. E in tal caso, le relazioni con l'Occidente sarebbero le prime a subirne le conseguenze.