ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

11/12/2024 | Press release | Distributed by Public on 11/13/2024 10:36

Il futuro della difesa e dell’integrazione europea

La netta vittoria di Trump alle elezioni del 5 novembre ripropone seriamente il problema della difesa europea. L'appartenenza dell'Europa al fronte occidentale è fuori discussione, ma cresce l'esigenza di rivedere i contenuti e la struttura dell'alleanza. Tale esercizio non potrà prescindere da una approfondita riflessione sul ruolo che l'Unione Europea intende svolgere nella trasformazione in corso nell'assetto geopolitico mondiale.

L'aggressione dell'Ucraina

L'attacco russo all'Ucraina, in corso ormai da quasi tre anni e causa di centinaia di migliaia di vittime e della distruzione del Paese, ha fatto cadere le ultime illusioni che la difesa dell'Europa possa essere assicurata dal suo soft power e dall'attuale assetto della NATO, rafforzata dall'assetto unipolare delle relazioni internazionali scaturito alla fine della guerra fredda.

L'Occidente aveva immediatamente condannato l'aggressione, adottato sanzioni economiche contro la Russia e garantito completo sostegno all'Ucraina, inclusi la fornitura di assistenza militare e armi nella misura necessaria e l'impegno ad accoglierla nella UE e nella NATO. Ma le sanzioni e l'azione diplomatica non hanno avuto l'adesione sperata e buona parte del resto del mondo è rimasta neutrale o si è schierata con il blocco antagonista (Cina, Russia, Iran, Nord Corea). Ciò ha consentito alla Russia di riprendersi dalle difficoltà iniziali e di disporre delle risorse necessarie per portare avanti l'aggressione. Per contro, l'assistenza militare all'Ucraina, prestata prevalentemente dagli USA con la partecipazione dei Paesi alleati, non è stata sempre adeguata alle esigenze di una difesa attiva, con conseguenti ripercussioni sul fronte, dove l'esercito russo ha ripreso l'iniziativa. Nonostante una sortita ucraina in terra russa, la possibilità di un tracollo della resistenza ucraina ha riproposto drammaticamente il problema di come l'Occidente possa difendere l'indipendenza del Paese. Nell'immediato, tale difesa non può che essere assicurata dall'adeguatezza delle forniture militari da parte degli USA e degli Europei, con revisione dei limiti di utilizzo in termini meno penalizzanti per l'Ucraina, come sembra essere stato concordato dalla maggior parte degli alleati. Ma in prospettiva il problema va affrontato alla radice.

Necessità e attuazione della difesa europea

E' ormai acquisito che gli USA, nel presente contesto geopolitico globale, non intendono, e probabilmente non possono, continuare a garantire la difesa dell'Ucraina e della stessa Europa con l'attuale struttura di supporto della NATO. Tanto più dopo il ritorno di Trump al potere. Il mantenimento del primato mondiale costringe gli USA a presidiare molteplici aree di tensione nel globo terrestre, a cominciare da Taiwan e dalle Filippine, mentre il minor consenso e le crescenti divisioni interne riducono la disponibilità all'arruolamento nelle forze armate e la proponibilità di ulteriori aumenti di un debito pubblico cresciuto a dismisura. Ne consegue che le risorse materiali e umane necessarie per la difesa dell'Ucraina e dell'Europa debbano essere fornite dai Paesi europei e si sono già delineate le due possibili soluzioni per realizzare tale obiettivo: l'Europa accresce il suo contributo di risorse (finanziamenti e uomini) al livello necessario per la sua difesa nell'ambito della governance attuale della NATO (governo di Washington) oppure si rivedono i ruoli complessivi, con l'assunzione diretta da parte dell'Europa, e in particolare della UE, della sua difesa, nel quadro di una ridefinizione dei compiti nell'ambito della NATO.

La differenza tra le due ipotesi è sostanziale: nella prima gli Stati membri dell'UE accrescerebbero il loro contributo alla difesa militare del territorio conferendo più uomini e finanziamenti, ma l'alto comando militare e la strategia di politica estera e di sviluppo dell'apparato militare-industriale, e quindi tutte le leve della politica di difesa (e non solo), resterebbero sotto il controllo di Washington.

Nella seconda ipotesi l'UE si doterebbe di proprie forze armate, che, oltre alla difesa del territorio, garantirebbero una maggiore indipendenza e un'adeguata capacità di deterrenza a sostegno di una propria politica estera e un importante supporto allo sviluppo economico e all'innovazione, rendendo l'UE un effettivo soggetto politico, dotato della sovranità necessaria per provvedere con tutti gli strumenti alla propria difesa e al proprio benessere, accrescendo in tal modo anche il suo contributo all'Alleanza Atlantica.

La prima soluzione manterrebbe l'Europa nella sua condizione di dipendenza strategica dagli Stati Uniti, pur senza garanzia della propria sicurezza, che dovrebbe essere garantita dall'adeguatezza delle risorse fornite e dalla fiducia nella guida americana. La continuità della governance renderebbe apparentemente più semplice l'attuazione del rafforzamento militare, che lascerebbe tuttavia l'UE priva degli strumenti di governo necessari alla sua sicurezza, a partire dalla difesa e dalla politica estera e industriale.

Dalla difesa Europea all'integrazione politica

Per dotarsi di tali strumenti l'Unione Europea deve necessariamente intraprendere la seconda soluzione e completare il progetto di integrazione europea, accentrando in un governo federale la gestione dell'economia, della difesa e della politica estera, adattando ed integrando a tal fine le proprie Istituzioni (Parlamento, Consiglio, Commissione). Operazione certamente non banale, ma fattibile in tempi compatibili se fondata su una adeguata volontà politica. In ogni caso, necessaria per fare dell'Unione un vero soggetto politico, in grado di garantire sicurezza e benessere ai suoi cittadini in condizioni di libertà e indipendenza, e di consentire, in particolare, la costituzione e una gestione efficiente e democratica delle sue Forze Armate.

La difesa europea non è dunque realizzabile se non nell'ambito di un governo federale, di cui costituisce una fondamentale ragion d'essere. Sono dunque due aspetti, strettamente interconnessi, di un unico progetto, di cui vanno valutate, in estrema sintesi, la necessità e la fattibilità, con particolare riferimento al suo possibile impatto sulla crisi ucraina.

La necessità del progetto, da sempre alla base del pensiero europeista, discende dall'impossibilità per gli Stati nazionali, data la loro dimensione, di svolgere tali politiche in termini efficaci e adeguati alla tutela dei propri cittadini. L'invasione dell'Ucraina ha platealmente confermato tale condizione, mettendo in evidenza sia le carenze del supporto militare da loro prestato all'Ucraina, sia la vulnerabilità degli stessi sistemi di difesa nazionali in presenza della possibile minore copertura americana, che solo l'integrazione delle forze armate europee potrebbe compensare. Ma anche nell'ambito della politica economica è evidente la necessità di completare il processo di integrazione iniziato con la BCE, dotando l'UE di un Ministero dell'Economia e delle Finanze e di un bilancio federale. Forze armate integrate ed efficienti e finanza federale consentirebbero ad un istituendo Ministero degli Esteri di fondare su poteri reali una politica di sicurezza europea, in linea con i valori fondanti dell'Alleanza Atlantica ma abbastanza autonoma da tutelare gli specifici interessi europei, non sempre coincidenti con quelli del potente alleato. Interagendo con la politica economica, la politica estera darebbe il suo indispensabile supporto anche allo sviluppo economico e delle imprese, sempre più interconnesso all'evoluzione dei mercati mondiali e alle politiche che li condizionano.

L'integrazione politica europea è dunque necessaria, ma è anche possibile? I presupposti ci sono: comune identità storico-culturale, condivisione dei valori di fondo, comuni interessi economici e geopolitici, progressi realizzati nell'integrazione sostanziale, anche se ancora scarsi in quella politico-istituzionale. Perché allora questo potenziale non si è tradotto in decisioni concrete? Perché la CED (Comunità Europea di Difesa) è stata bocciata dal Parlamento Francese nel 1954 (con gran sollievo degli altri Cinque, italiani in testa)? Perché la proposta di costituzione europea firmata a Roma nel 2004 è stata affossata dai referendum francese e olandese? Probabilmente perché la percezione della sua necessità (peraltro tuttora contestata da una parte dello schieramento politico) non era ancora abbastanza avvertita, in clima di guerra fredda prima e di supremazia USA poi. Prevalsero quindi gli interessi e i sentimenti contrari all'integrazione, quali la resistenza dei diretti interessati alla perdita dei poteri da trasferire a livello europeo e un persistente spirito nazionalistico, trasformatosi recentemente in un nazionalismo sovranista incapace di aprirsi alla patria europea, quale unica in grado di svolgere attualmente quel ruolo. Ma l'integrazione è, e resta, difficile; anche perché le strutture in cui si svolgono i processi decisionali restano ancora sostanzialmente nazionali, ostacolando la formazione di leadership europee in grado di promuovere un progresso condiviso del processo di integrazione politica.

Da qui tuttavia occorre partire. Un problema di tale rilevanza strategica non può essere ignorato dalla maggioranza parlamentare di Strasburgo che sostiene il nuovo governo europeo. Sono in gioco la struttura con la quale l'Europa intende partecipare al riassetto geopolitico mondiale e la capacità dei cittadini europei di riconoscersi, conservando ovviamente le proprie identità nazionali e locali, nell'unica grande patria che può garantire la loro sicurezza e benessere. Da dove cominciare? Una iniziativa di tale portata strategica non può provenire che dai principali paesi fondatori, i quali dovrebbero, con un colpo d'ala, presentare una proposta condivisa aperta a tutti gli stati membri interessati. La loro situazione politica non sembra oggi la più favorevole. Ma forse proprio ciò potrebbe indurre al salto di qualità.

Contributo alla soluzione della crisi ucraina

Quali effetti potrebbe avere questa decisione sull'aggressione russa all'Ucraina? La domanda è pertinente, perché la sua attuazione richiederebbe certamente tempo (che potrebbe essere peraltro minore di quanto usualmente ritenuto), ma l'effetto d'annuncio sarebbe immediato e incisivo. Un tale accordo, definito in termini essenziali e credibili, annuncerebbe al mondo che l'Europa si appresta a diventare un soggetto politico effettivo, dotato non solo di un poderoso sistema economico-finanziario, ma anche di una propria politica estera e di forze armate munite della necessaria capacità di difesa e deterrenza. Saldamente inserito nell'Occidente e nella NATO, ma autonomo nella tutela dei fondamentali interessi dei suoi cittadini. Sarebbe più credibile nella difesa dell'Ucraina, ma anche in grado di offrire alla Russia una via di uscita capace di risolvere durevolmente la crisi. Non un compromesso territoriale o di ridotta sovranità dell'Ucraina, utile ai russi per ricostituire le forze e riprendere l'attacco, ma una proposta che possa risolvere il problema alla radice inducendo Putin a rinunciare all'aggressivo imperialismo revisionista intrapreso dopo l'insuccesso del tentativo perseguito nel primo dopo guerra fredda di realizzare un unico sistema di sicurezza tra i due blocchi ex antagonisti.

Per gli Stati Uniti, la Russia è oggi un alleato della Cina da indebolire nella lotta per conservare il primato mondiale; per l'Unione Europea è un vicino con cui convivere valorizzando, dopo oltre settant'anni di barriera ideologica e geopolitica, la comune identità europea e le importanti sinergie economiche. L'aggressione all'Ucraina del 24 febbraio è stata un tragico errore, prima ancora che un crimine, indotto probabilmente da valutazioni errate, e ha causato una guerra devastante contraria all'interesse di tutti, Ucraina, ovviamente, ma anche Russia ed Europa, e, in prospettiva, gli stessi USA, dopo l'iniziale vantaggio ottenuto con il ricompattamento atlantico degli europei.

Il nuovo Stato europeo non avrebbe ambizioni imperialistiche e avrebbe l'autonomia necessaria per tutelare nelle relazioni internazionali, in coerenza con la solidarietà occidentale, gli interessi fondamentali dei suoi cittadini. Avrebbe quindi tutta la credibilità nel proporre al grande vicino orientale una politica di buon vicinato, conforme ai veri interessi di entrambi sia sul piano della difesa che dell'economia. L'Ucraina potrebbe rinunciare a rivendicare la Crimea, a fronte dell'immediata liberazione di tutti gli altri territori ucraini occupati o rivendicati dalla Russia e del risarcimento dei danni causati dell'invasione, e l'Unione Europea potrebbe proporre alla Russia, d'intesa con la NATO ma con l'autorità che le deriverebbe dalla maggiore responsabilità assunta nella propria difesa, un accordo sul dispiegamento delle reciproche infrastrutture di difesa delle frontiere (come avvenuto durante la guerra fredda e negli accordi Kohl-Gorbacev per la riunificazione della Germania) e la ripresa, nei limiti consentiti dalla sicurezza, delle relazioni economiche, finanziarie e culturali tra i due Stati. Che senso avrebbe per la Russia continuare la strategia di aggressione di fronte a questa proposta, tenendo conto della fermezza con cui l'aggressione sarebbe respinta?