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ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

31/10/2024 | Press release | Distributed by Public on 31/10/2024 17:03

Medio Oriente: missili sul cessate il fuoco

Stati Uniti e Israele discutono di tregua e ipotizzano un cessate il fuoco, ma intanto l'aviazione di Tel Aviv bombarda Baalbek, nella valle della Bekaa, in Libano. L'inizio del bombardamento è arrivato poche ore dopo che l'esercito dello Stato ebraico aveva intimato l'evacuazione della città, sede di un importante sito archeologico di epoca romana, patrimonio dell'Unesco, e di alcune aree vicine. Secondo L'Orient-Le Jour, l'esercito israeliano ha detto di "puntare alle attività di Hezbollah in città" ma non ha fornito ulteriori dettagli. Intanto, sono già decine di migliaia i residenti in fuga. Nei giorni scorsi, altri raid avevano ucciso almeno 60 persone nell'area intorno alla città, mentre proseguono senza sosta anche i bombardamenti sul sud e l'est del paese, lungo il confine con la Siria. Ancora nel mirino le città costiere di Tiro e Sidone e quella di Nabatieh, verso l'interno montuoso, mentre anche la periferia sud di Beirut continua ad essere martellata dall'aviazione israeliana. Difficile ipotizzare, in un contesto simile, spiragli per il dialogo. Ieri il nuovo segretario generale di Hezbollah, Naim Qassem, nominato a succedere di Hassan Nasrallah nella guida del Partito di Dio libanese, ha messo le mani avanti: "Non elemosineremo un cessate il fuoco - ha detto - Se Israele decide di fermare l'aggressione, noi approveremo, ma solo se troveremo le condizioni accettabili". Secondo quanto riportato dai media israeliani, il piano mediato dal team statunitense prevede che le forze di Hezbollah si ritirino a circa 30 chilometri dal confine, a nord del fiume Litani. Da parte loro, le forze israeliane si ritirerebbero dal Libano e l'esercito libanese prenderebbe in carico il confine, insieme alle forze di peacekeeping delle Nazioni Unite.

Una pulizia etnica in corso a Gaza?

Su un altro fronte del conflitto, quello di Gaza, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha intanto avvertito che Israele potrebbe portare avanti una "pulizia etnica" della popolazione palestinese "se la comunità internazionale non farà in modo di impedirlo". Ieri, un raid nel distretto di Beit Lahiya ha ucciso almeno 93 persone, tra cui molti bambini, in quello che l'Onu ha definito solo uno degli almeno sette "incidenti con vittime di massa" avvenuti la scorsa settimana. Allo stesso tempo, le Nazioni Unite segnalano che le consegne di aiuti nella Striscia sono scese al livello più basso dall'inizio della guerra, alimentando i timori di chi ritiene che la vera intenzione dello Stato ebraico sia di cacciare la popolazione palestinese da tutta la parte nord della Striscia. Lunedì, la Knesset israeliana ha approvato il divieto delle operazioni dell'Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) a Gaza e in Cisgiordania per i prossimi tre mesi, sfidando gli appelli internazionale quasi unanimi. Philippe Lazzarini, capo di Unrwa, ha dichiarato su X: "Oggi, mentre guardiamo i volti dei bambini di Gaza, alcuni dei quali sappiamo moriranno domani, l'ordine internazionale basato sulle regole sta crollando in una ripetizione degli orrori che hanno portato alla creazione delle Nazioni Unite e in violazione degli impegni per impedirne il ripetersi".

Tregua o parole vuote?

L'ipotesi di una sospensione delle ostilità contro il Libano sarebbe maturata in Israele in un crescendo di tensioni politiche. Lunedì sera il premier Benjamin Netanyahu si era incontrato con alcuni ministri per discutere di un eventuale cessate il fuoco sul fronte nord. In totale rotta di collisione con il ministro della difesa Yoav Gallant, dal quale è stato pubblicamente accusato qualche giorno fa di "non avere obiettivi chiari" in questa guerra, il premier israeliano starebbe cominciando a valutare opzioni diverse. In parte la motivazione sarebbe da cercare nelle perdite che l'esercito israeliano, nelle ridotte incursioni di terra contro Hezbollah, sta subendo. Ma Netanyahu sarebbe mosso anche dalla necessità di ottenere qualcosa sul fronte degli ostaggi le cui famiglie non smettono di protestare, accusando il premier di aver spregiudicatamente barattato le loro vite con il perpetuarsi del conflitto, per scopi personali. Le loro rimostranze hanno ripreso nuovo slancio dopo che l'uccisione Yahya Sinwar e Hassan Nasrallah avevano alimentato le speranze di una soluzione politica in vista. Proprio come accaduto in passato, tuttavia, anche stavolta non ci sono elementi che garantiscano che quelle sulla tregua non siano solo parole vuote. Fino ad ora, ricorda al Al-Jazeera "il primo ministro israeliano ha colto ogni opportunità per estendere i combattimenti e minare ogni possibile cessate il fuoco".

In attesa del voto USA?

Tra gli elementi di incertezza che aleggiano attorno alle ipotesi di sospensione delle ostilità l'imminente voto negli Stati Uniti occupa un posto centrale. L'impressione che Netanyahu stia aspettando la fine della campagna elettorale e l'elezione di un nuovo presidente alla Casa Bianca per calibrare la propria strategia è ormai un'opinione consolidata anche all'interno dell'amministrazione Biden. La Casa Bianca tuttavia non ha alternative se non quella di proseguire i tentativi di far avanzare il negoziato. Così, il direttore della CIA Bill Burns è volato al Cairo per discutere con il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi di Gaza e del Libano, mentre l'inviato Usa Amos Hochstein e il coordinatore della Casa Bianca per il Medio Oriente Brett McGurk sono in Israele per colloqui sulle questioni degli ostaggi e del cessate il fuoco. Tutti gli sforzi degli inviati Usa sono guidati dalla politica statunitense di "de-escalation sostenuta dalla deterrenza". Ma sotto il peso di un voto che si giocherà sul filo del rasoio, ci sono poche aspettative che il loro impegno si traduca in un successo immediato.

Il commento

di Luigi Toninelli, ISPI MENA Centre

"In questa fase un cessate il fuoco potrebbe soddisfare svariati interessi: Biden otterrebbe il suo primo successo di politica estera dall'inizio del conflitto, Hezbollah porrebbe fine ai violenti colpi israeliani ottenendo respiro per una riconfigurazione del gruppo mentre Israele potrebbe ottenere maggiori garanzie sul rispetto delle risoluzioni ONU - violate sia da Tel Aviv sia da Hezbollah nel corso degli anni. Questo accordo inoltre arriverebbe in una fase in cui l'avanzata israeliana incontra crescenti difficoltà: da giorni le forze israeliane e il Partito di Dio combattono per il controllo della cittadina di Khiam, uno snodo strategico per il proseguimento della campagna israeliana verso nord, e Tel Aviv sta incontrando una solida (e forse inaspettata) resistenza. Tuttavia, nonostante l'apertura di questa 'finestra strategica' a oggi permangono ancora molti dubbi. Infatti, non è chiaro se Netanyahu e il nuovo leader di Hezbollah, Naim Qassem, siano disposti a porre un freno alle ostilità e nemmeno se Qassem controlli realmente l'intera ala militare del suo partito".

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