ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

12/01/2023 | Press release | Distributed by Public on 12/01/2023 05:27

L’Ucraina, fra NATO e UE

La riunione dei ministri degli Esteri dell'Alleanza Atlantica, tenutasi nei giorni scorsi a Bruxelles, ha ribadito che "l'Ucraina non è mai stata così vicina alla NATO", dando anche ulteriore impulso a una serie di programmi bilaterali intesi ad accelerare le riforme politiche interne, la modernizzazione delle forze armate di Kyiv e la loro interoperabilità con gli alleati. Fra pochi giorni, inoltre, i capi di Stato e di governo dell'Unione Europea dovranno decidere se aprire formalmente i negoziati di adesione con l'Ucraina (e la Moldavia), come proposto di recente dalla Commissione. Ma questi sviluppi maturano in un contesto sempre più difficile per Kyiv: sul piano militare, l'offensiva lanciata ormai diversi mesi fa non ha portato i risultati sperati, e sono gli stessi comandanti ucraini a riconoscere la situazione di "stallo" che si è creata sul terreno. La crescente conflittualità partisan al Congresso americano e l'approssimarsi di una campagna presidenziale ad alto rischio, inoltre, stanno mettendo in dubbio l'entità e la stessa continuazione del supporto finanziario e militare di Washington. Sul fronte europeo, l'Ungheria sta bloccando un pacchetto di aiuti economici supplementari pari a 50 miliardi di euro, oltre a sollevare dubbi sull'opportunità stessa di ammettere Kyiv nell'Unione. La proposta di aggiungere 20 miliardi di euro (su un arco di 4 anni) alla European Peace Facility per la fornitura di equipaggiamenti militari è stata per il momento congelata; e le recenti elezioni in Slovacchia e Olanda hanno visto il successo di leaders che si sono impegnati a ridurre il sostegno all'Ucraina. Lo stesso conflitto scoppiato fra Israele e Hamas in Medio Oriente, infine, ha non solo distolto - almeno in parte - l'attenzione internazionale dalla guerra in corso in Europa orientale, ma ne ha perfino relativizzato l'eccezionalità e la gravità .

Nell'Alleanza?

Nella comunità strategica americana (e non solo) si sta del resto facendo strada l'idea che gli obiettivi di guerra di Kyiv - ristabilire il proprio controllo sull'intero territorio nazionale, Crimea compresa - siano irrealistici, almeno nel futuro immediato, e che un eventuale arresto dei combattimenti permetterebbe di ricostruire il paese ed integrarlo nell'Occidente, offrendogli garanzie di sicurezza ad hoc ma rinviando ad un futuro più lontano l'eventuale recupero delle regioni occupate e controllate da Mosca. I precedenti storici non mancherebbero: dopo l'armistizio del 1953, ad esempio, la Corea del Sud è via via diventata una potenza industriale e una democrazia liberale, contando sulla protezione di Washington anche senza un trattato di pace con Pyongyang. Ancor oggi, inoltre, gli accordi di difesa nippo-americani riguardano soltanto "i territori amministrati dal Giappone", non le isole Kurili occupate dall'URSS dopo il secondo conflitto mondiale e tuttora rivendicate da Tokyo. Nel 1955, soprattutto, la Germania occidentale entrò nella NATO dopo un'intesa in base alla quale la garanzia rappresentata dall'articolo 5 del trattato di Washington non sarebbe stata valida nel caso in cui Bonn avesse cercato di riunificare il paese con la forza (Berlino Ovest, per parte sua, era protetta dalla presenza delle guarnigioni americane, britanniche e francesi). In altre parole, sarebbe del tutto concepibile - una volta fermate le ostilità e fissata una linea di demarcazione fra le parti in conflitto - integrare gradualmente il territorio ucraino 'libero' nelle strutture occidentali (NATO e UE comprese), lasciando comunque aperta la possibilità di una futura riunificazione pacifica dell'intero paese.

Una prospettiva di questo tipo metterebbe evidentemente la leadership ucraina di fronte a scelte politiche difficili - con potenziali ripercussioni destabilizzanti all'interno - mentre la leadership russa potrebbe trovarvi ulteriori ragioni per prolungare (e perfino intensificare) il conflitto. Resta inoltre da valutare quali garanzie di sicurezza potrebbero essere offerte a Kyiv in questo contesto, ed esattamente quando: insomma, quanto è "vicina" ora alla NATO? Un invito diretto ad entrare nell'Alleanza non sembra tuttora raccogliere il consenso di tutti gli alleati, dato che la situazione di belligeranza attuale li trascinerebbe subito nel conflitto; anche nell'eventualità di un armistizio temporaneo, tuttavia, non è scontato che tutti siano d'accordo; e anche se lo fossero, l'intervallo fra l'invito stesso e la ratifica dell'adesione potrebbe diventare lungo - come sta accadendo appunto con la Svezia - e quindi potenzialmente rischioso, dato che l'articolo 5 non sarebbe (ancora) applicabile. Di qui le riflessioni in corso a bassa voce sulla possibilità di una garanzia bilaterale temporanea, ad esempio americana e britannica (sulla falsariga di quanto accaduto con Finlandia e Svezia all'indomani della decisione di accoglierle nella NATO): ma molto dipenderebbe, in questo caso, dalla volontà effettiva di Washington di rischiare un conflitto diretto con Mosca per difendere Kyiv.

Nell'Unione?

La questione della sicurezza dell'Ucraina, in realtà, resta sullo sfondo anche della discussione interna all'UE relativa all'allargamento. È vero che, per l'Unione, l'Ucraina rappresenta una potenziale 'massa critica' anche in termini di impatto sulle sue istituzioni (dalla maggioranza in Consiglio al numero di deputati in Parlamento) e, soprattutto, sulle sue politiche comuni (a cominciare da agricoltura e coesione): anche solo per questo, l'ipotesi di un fast track per Kyiv - qualcuno ha parlato addirittura del 2030 come data possibile per una sua adesione - appare allo stesso tempo irrealistica e (per le aspettative che creerebbe) irresponsabile. Più utile invece è il dibattito sulla revisione - non solo per l'Ucraina - del processo stesso di allargamento in modo da facilitare un graduale phasing-in dei candidati (sia pure condizionato e rivedibile) nelle istituzioni e nelle politiche comuni, che attenuerebbe le frustrazioni reciproche e le involuzioni politiche spesso create dall'attuale protrarsi dei negoziati per anni senza risultati tangibili e scadenze precise. La stessa riforma dei trattati UE, auspicata da alcuni ma opposta da altri, non dovrebbe peraltro rappresentare una condicio sine qua non per riaprire le porte dell'Unione, rimaste chiuse (a differenza di quelle dell'Alleanza) per oltre un decennio. E questo vale soprattutto per quei paesi che hanno già atteso diversi anni in anticamera e che non rappresentano un serio rischio funzionale - e tantomeno 'geopolitico' - per l'UE. È il caso di Montenegro, Albania e Macedonia del Nord, che contano in totale meno di 5 milioni di cittadini e che sono già membri della NATO (un rapido allargamento 'adriatico' sarebbe, fra l'altro, pure nell'interesse strategico dell'Italia).

Se si passa invece alle candidature di Serbia (e implicitamente Kosovo) e Bosnia-Erzegovina, la questione della sovranità territoriale e della sicurezza statuale torna inevitabilmente in primo piano: non solo il loro status e la loro stessa governance sono sotto tutela internazionale (Consiglio di Sicurezza dell'ONU), ma riesce difficile immaginare come l'Unione potrebbe accoglierli in assenza di solide intese multilaterali sui contenziosi ancora aperti. E questo vale ancor più per la Moldavia, la Georgia (in predicato di ottenere lo status di candidata) e ovviamente l'Ucraina - tutti paesi che hanno perduto il controllo di parti del loro territorio nazionale, in un passato più o meno recente, ma ne rivendicano tuttora la sovranità. Di nuovo, una loro piena adesione all'UE in assenza di un'intesa stabile su status e territorio e di una qualche garanzia di sicurezza (NATO o altra) appare difficilmente concepibile, oltre a porre la stessa Unione in una posizione di grande vulnerabilità nel caso in cui Mosca, ad esempio, volesse mettere alla prova la credibilità della clausola di assistenza reciproca inserita nell'articolo 42.7 del trattato di Lisbona. Non è un caso del resto che, dalla firma dei trattati di Roma (1957), tutti i nuovi membri entrati nella Comunità e poi nell'Unione avessero già prima aderito all'Alleanza - con l'eccezione, evidentemente, dei paesi neutrali (per loro scelta).

Ciò di cui l'Ucraina avrebbe ora bisogno, insomma, è una roadmap credibile per la sua integrazione nell'"Occidente politico" (come lo chiama Putin), economico e militare, nella quale il sostegno continuato e la solidarietà concreta dei partner NATO e UE si accompagnino ad una visione equilibrata e lungimirante degli interessi strategici del paese.