11/08/2024 | Press release | Distributed by Public on 11/08/2024 06:10
Kamala Harris ha perso la corsa presidenziale e ha perso in modo chiaro. Nonostante una campagna diligente, fatta spesso 'battendo' il territorio, il successo di Donald Trump è stato rapido e netto. Già intorno a mezzogiorno (ora italiana) del 6 novembre, Associated Press confermava la vittoria repubblicana in Wisconsin, portando a 277 il numero dei 'grandi elettori' a sostegno della candidatura Trump e consegnando a quest'ultimo la certezza matematica del ritorno alla Casa Bianca. Nelle ore successive, la posizione di Trump si è ulteriormente rafforzata. L'ex presidente ha superato l'avversaria nel voto popolare (cosa che non era accaduta nel 2016 con Hillary Clinton) ed è in predicato di aggiudicarsi tutti e sette gli Stati in bilico ('swing states'), compresi i tre del 'Blue Wall' (Pennsylvania, Michigan e Wisconsin in ordine decrescente di importanza) sui cui 44 'grandi elettori' totali Harris faceva affidamento per sostenere le proprie ambizioni.
Le ragioni di questo risultato (che ha sorpreso la maggior parte degli osservatori, che si attendevano una replica dal testa a testa del 2020) sono diverse e riguardano da una parte la resilienza dimostrata da Trump, dall'altra le fragilità oggettive della candidatura Harris. Se è chiaro, infatti, che queste fragilità ci siano state, altrettanto chiaro è che la rinascita politica dell'ex presidente (Fox News ha parlato del "più grande caso di fenice che rinasce dalle sue ceneri che si sia mai visto nella storia della politica") induce a varie riflessioni.
Donald Trump ha saputo farsi perdonare molto dai suoi elettori. Nonostante un linguaggio sempre sopra le righe, una piattaforma politica apertamente polarizzante, incentrata sulla demonizzazione dell'avversario, due impeachment, le condanne penali e la responsabilità (quantomeno morale) dell'assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, l'ex presidente è riuscito a consolidare il suo consenso, sia nei suoi tradizionali bacini di voto, sia (a quanto pare; ma l'impressione potrà essere confermata solo dalla disaggregazione, nei prossimi mesi, dei dati definitivi) facendo breccia in gruppi nuovi o precedentemente marginali. È la dimostrazione di una capacità di intercettare il malessere che oggi esiste negli Stati Uniti più e meglio di quanto non sembri in grado di fare il Partito democratico, il cui candidato - come già nel 2016 - non è sembrato sapere parlare alle paure di una middle class alla quale Harris si è rivolta spesso con poca credibilità.
Senza dubbio, la vicepresidente ha scontato una serie di difficoltà oggettive. La discesa in campo a fine luglio l'ha costretta a una campagna elettorale breve, per quanto sostenuta dalle (ingenti) risorse raccolte per quella del 'ticket' con Joe Biden. Ciò si è tradotto nella difficoltà di coprire in maniera capillare il paese, soprattutto dal punto di vista dell'incontro con gli elettori. Questa debolezza è stata aggravata dal fatto che la candidatura Harris non si emersa dal meccanismo tradizionale delle primarie, che, oltre a fornire una legittimazione 'forte' all'aspirante presidente, gli/le garantisce visibilità e impone da subito la necessità di quel contatto con l''America profonda' che Biden ha sfruttato efficacemente nel 2020 e che a Harris pare essere mancato. Anche il tentativo di compensare questi limiti attraverso i ripetuti endorsement potrebbe essere stato controproducente, rafforzando l'idea di una candidatura artificiosa e 'poco genuina'.
Il ruolo di Harris come vicepresidente è stato un altro aspetto problematico. I dubbi che avevano accompagnato la sua nomina non sono mai venuti meno, complici le difficoltà avute nel dare un'impronta personale a una posizione che resta comunque subalterna a quella del presidente. Come vicepresidente, Harris ha pagato, inoltre, il prezzo dell'impopolarità di un'amministrazione che - nonostante i risultati ottenuti in termini di crescita e occupazione - ha avuto sempre problemi di consenso. La fiammata inflazionistica del 2021-22, anche se rientrata in parte nel 2023 e attesa nel 2024 sui livelli dell''era Trump', è stato un fattore importante dietro a questa immagine negativa, così come lo sono stati i costi che ha comportato l'impegno nella lunga e apparentemente inconcludente guerra in Ucraina e le enormi ambiguità che hanno caratterizzato la politica mediorientale della Casa Bianca dopo gli attacchi terroristici dell'ottobre 2023.
A tutto ciò si sommano i limiti specifici che hanno caratterizzato il profilo della candidata e il suo messaggio politico. Le proposte di Harris sono apparse spesso poco chiare, quando non viziate da ambiguità di fondo su temi importanti le politiche energetiche o la posizione di Washington nel conflitto mediorientale. Questa ambiguità, se da una parte non sembra avere convinto del tutto l'elettorato moderato, dall'altra le è costata il sostegno di varie fette del mondo liberal, il cui atteggiamento nei suoi confronti era già critico. Tenendo sempre presente che servirà tempo per leggere i dati disaggregati, nemmeno la scelta di puntare sul voto femminile, ponendo un'attenzione particolare suoi temi dell'aborto e dei diritti riproduttivi, sembra avere pagato. Anche i consensi fra i giovani e le minoranze appaiono in calo, sebbene i risultati aggregati di queste due macrocategorie rischino di offuscare le notevoli differenze che esistono al loro interno.
Ovviamente, la sconfitta non potrà non avere ricadute sul partito dell'asinello. Da diverso tempo gli equilibri nella rappresentanza in Congresso sono cambiati a vantaggio delle componenti più progressiste, che la scorsa estate si sono espresse apertamente contro la candidatura della vicepresidente. Queste dinamiche, unite all'esito delle urne, lasciano presagire, per i prossimi mesi, l'avvio di una difficile resa dei conti, che le dure critiche lanciate dal 'socialista' Bernie Sanders ai vertici democratici hanno in qualche modo anticipato.
È una sfida complessa, che tocca rapporti di forza interni ma anche la cultura e la proposta politica 'dem' così come si sono venute a strutturare a partire dagli anni Ottanta. Tutto ciò sullo sfondo di una realtà plurale e talora litigiosa, che ha spesso avuto difficoltà a trovare un punto di equilibrio stabile fra le sue diverse anime. In questa prospettiva, la vittoria di Donald Trump pone al Partito democratico una duplice sfida: tornare a parlare ai propri elettori e - soprattutto - non imboccare la scorciatoia dell'antitrumpismo proprio collante. Questa scelta ha pagato nel 2020 perché - grazie anche alla capacità di Joe Biden di entrare più in sintonia con la sua base elettorale - ha saputo saldarsi alla domanda di rinnovamento che la pandemia aveva alimentato. Nel 2024, in un contesto sociale e politico diverso, l'appello identitario di Kamala Harris a fermare la 'marea rossa' in nome della difesa della democrazia si è invece dimostrato assai meno efficace.