ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

11/15/2024 | Press release | Distributed by Public on 11/15/2024 10:45

Stati Uniti: “America first” 2.0, le prime mosse di Trump

Gli elettori americani hanno riportato Donald Trump alla Casa Bianca. Inoltre, i Repubblicani hanno riconquistato il Senato e confermato di misura la maggioranza alla Camera dei rappresentanti. Un tale risultato permetterà al nuovo inquilino della Casa Bianca di realizzare una buona parte delle promesse contenute nel suo programma elettorale.

In questo frangente, in cui la transizione è appena cominciata e non sappiamo ancora chi occuperà i posti chiave, una delle sfide è cercare di comprendere come la nuova amministrazione Trump tradurrà in pratica le promesse fatte durante la campagna elettorale, quali avranno priorità immediata, quali saranno posticipate e quali invece potranno essere solo in parte realizzate a causa di vincoli di natura politica, economica o istituzionale che limitano comunque i margini di manovra di chi governa.

L'agenda economica e l'interrogativo Fed

Per quel che riguarda l'economia, è probabile che la nuova amministrazione repubblicana non cercherà di varare nei primi cento giorni le principali misure contenute nel programma elettorale di Trump, vale a dire l'estensione delle riduzioni d'imposta contenute nel Tax Cuts and Jobs Act del 2017 nonché ulteriori riduzioni d'imposta e l'imposizione di tariffe generalizzate sulle importazioni americane. E questo per tre ragioni.

  1. Il rinnovo delle misure contenute nel Tax Cuts and Jobs Act del 2017 che vengono a scadenza alla fine del 2025, nonché eventuali ulteriori tagli fiscali (tra cui la riduzione della tassazione sulle società dal 21% al 15%), richiedono l'approvazione del Congresso. La nuova amministrazione Trump, non disponendo di una maggioranza del 60% al Senato, per evitare il filibuster dovrà far passare la legislazione attraverso il cosiddetto "processo di riconciliazione" tra Camera e Senato. Tale processo necessita solo di una maggioranza semplice del Senato. Tuttavia, impone che la proposta di legge sia valutata dal Congressional Budget Office (CBO), un'agenzia federale non-partisan che fornisce informazioni economiche e fiscali al Congresso. Il CBO deve verificare che dopo un decennio la legislazione sia fiscalmente neutra così da evitare che si creino deficit permanenti. Di conseguenza, è molto probabile che diverse riduzioni d'imposta contenute nella proposta di legge dovranno di nuovo venire a scadenza entro un decennio. L'intera procedura è complessa, richiede tempo e deve essere preparata accuratamente per evitare blocchi istituzionali, tra cui quello del CBO. Sicuramente il Congresso a maggioranza repubblicana comincerà da subito a occuparsi della legislazione visto che il taglio delle tasse è un tratto unificante all'interno del GOP. Tuttavia, data la complessità della materia, è improbabile che il testo di legge vedrà la luce prima della seconda metà dell'anno, soprattutto se esso comprenderà anche una componente tariffaria.
  2. Nonostante la questione sia controversa e possa dar luogo a ricorsi giudiziari, Trump in linea di principio dispone del potere discrezionale di imporre tariffe (del 10% o del 20%) su tutte le importazioni americane già all'inizio della sua presidenza, anche senza la necessità di passare attraverso una decisione del Congresso. L'impatto di una tale misura universale finirebbe però per rivelarsi restrittivo e ridurrebbe attività economica e occupazione. È dunque probabile che l'aumento generalizzato dei dazi verrà spostato a ridosso delle riduzioni d'imposta, diventando eventualmente, ma non necessariamente, parte di un Tax Cuts, Trade and Growth Act inglobante le principali iniziative di politica economica annunciate da Trump durante la campagna elettorale. Una tale mossa gli consentirebbe di far diventare permanenti molte riduzioni d'imposta, che verrebbero finanziate dalle tariffe addizionali, e di rendere molto più difficile l'abrogazione delle suddette tariffe perché, rientrando in un pacchetto legislativo approvato dal Congresso, la loro rimozione richiederebbe un aumento della tassazione o riduzioni della spesa pubblica.
  3. L'economia statunitense sembra essere riuscita a effettuare un soft landing. Di conseguenza, i rischi di recessione nei prossimi mesi sono bassi. Le previsioni di crescita per il 2025 si situano attorno al 2% (nelle sue previsioni autunnali il Fondo monetario internazionale stima la crescita americana per l'anno prossimo al 2,1%), mentre l'inflazione potrebbe scendere al di sotto del 2% (sempre l'FMI prevede un'inflazione media dell'1,9% per il 2025, naturalmente senza dazi addizionali). Inoltre, ci si può attendere che nel periodo della transizione e nei primi mesi dell'amministrazione Trump vi sia un "feel-good factor"tra gli investitori, che, anticipando tagli di tasse e deregolamentazione, potrebbero decidere di aumentare i loro investimenti. Per le ragioni appena menzionate, è anche probabile che, così come avvenne all'inizio della prima presidenza Trump, la borsa statunitense abbia un'impennata, trainata innanzitutto dalle azioni delle imprese che producono e distribuiscono energie fossili (per le quali Trump ha promesso una forte deregolamentazione) e della difesa (dove il tycoon ha promesso aumenti di spesa, in particolare nei comparti high-tech, molti dei quali sono guidati da finanziatori della sua campagna). Con un robusto tasso di crescita e l'inflazione sotto controllo, c'è meno urgenza di prendere provvedimenti immediati di grandi dimensioni e vale invece la pena di preparare bene il terreno al fine di assicurare il passaggio delle misure sopracitate senza incorrere in intoppi maggiori.

Tra le questioni sul tavolo dell'amministrazione Trump vi è anche la possibile rimessa in discussione dell'indipendenza della Federal Reserve. Durante la campagna elettorale Trump ha indicato che il presidente degli Stati Uniti dovrebbe "avere una voce in capitolo" nella politica monetaria. Resta da vedere se queste intenzioni sono reali o sono invece un modo per esercitare una pressione indiretta sulle decisioni della stessa Fed. Anche per evitare un conflitto col Congresso, dove diversi repubblicani sono in favore dell'indipendenza della banca centrale, Trump potrebbe limitarsi a imporre alla sua guida qualcuno di cui si fida quando il termine di Jerome Powell verrà a scadenza nel 2026. A questo proposito i nomi di Kevin Warsh - ex membro del Consiglio della Fed vicino al Partito repubblicano - e Kevin Hassett - presidente del Council of Economic Advisers durante il primo mandato di Trump - sono stati menzionati. Tra l'altro una tale soluzione gli permetterebbe, come già nel primo mandato, di far ricadere sulla Fed eventuali risultati economici che considera non pienamente confacenti con gli obiettivi che si era fissato.

Tutto questo non implica che l'economia sarà la grande assente nell'agenda della nuova amministrazione nella prima parte dell'anno. La deregolamentazione potrà procedere in modo relativamente spedito. Molti degli ordini esecutivi introdotti da Biden volti a favorire la transizione climatica verranno rapidamente revocati e lo stesso dicasi per le normative volte a incentivare la diversità e l'inclusione nel posto di lavoro (i cosiddetti programmi DEI - Diversity, Equity, Inclusion). Inoltre, Trump, come già fece nel 2017, annuncerà nuovamente l'abbandono degli Accordi di Parigi per la lotta al cambiamento climatico. Da ultimo, tenterà di porre fine sicuramente ad alcuni meccanismi di sostegno per le filiere verdi nel quadro dell'Inflation Reduction Act come i crediti d'imposta per i veicoli elettrici, anche se una buona parte della legislazione potrebbe rimanere in vigore. Molti investimenti previsti dall'IRA sono infatti destinati a Stati repubblicani.

Tornando sul capitolo commerciale, anche se la maggior parte delle tariffe verrà probabilmente introdotta in congiunzione con le riduzioni d'imposta e i programmi di spesa della nuova presidenza, è possibile che alcuni dazi verranno imposti già nei primi mesi del 2025. Si tratterebbe di misure concentrate in alcuni settori ed essenzialmente focalizzati sulla Cina. La finalità di un tale strategia sarebbe doppia. Da una parte, segnalerebbe che con il nuovo corso la Casa Bianca è ben determinata a introdurre altri dazi. In questo modo costringerebbe i partner commerciali degli Stati Uniti ad aprire negoziati per ottenere eventuali esenzioni e riduzioni in cambio di concessioni su questioni di accesso ai loro mercati di esportazioni e investimenti americani. Dall'altra parte, invierebbe il messaggio alla Cina che l'amministrazione Trump è pronta al decoupling, a meno che i leader di Pechino non tornino al tavolo dei negoziati e si impegnino a ridurre drasticamente il surplus cinese nei confronti degli USA.

Le incognite nel breve termine

Questo è quel che si può dire al momento sull'agenda economica di Trump dopo le elezioni e alla luce dei nuovi equilibri politici nel Congresso. La grande incognita a questo stadio è fino a che punto Trump cercherà di far avanzare il proprio programma sapendo che una serie di fattori avranno un impatto su di esso. Per citare Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa di George W. Bush, vi sono diversi known unknowns che giocheranno un ruolo importante sul nuovo corso di politica economica nei mesi a venire e che potrebbero influenzarne significativamente la direzione.

Tra i known unknowns vi sono tre questioni.

  1. Chi ricoprirà i posti chiave nella nuova amministrazione. Per esempio, non sarà la stessa cosa se il posto di segretario al Tesoro verrà ricoperto dall'ex rappresentante per il Commercio internazionale Robert Lighthizer o, cosa che sembra più probabile, da un tycoon di Wall Street. Infatti, Lighthizer èfortemente convinto che le tariffe non sono solo uno strumento di politica commerciale ma anche di politica fiscale e si è espresso in favore di un nuovo Plaza Agreement che dovrebbe riallineare i tassi di cambio al fine di raggiungere un equilibrio nella bilancia commerciale tra i Paesi avanzati (il che richiederebbe un significativo apprezzamento dell'euro e dello yen). Nel secondo caso, una figura proveniente dalla grande finanza (i nomi di Scott Bessent e Howard Lutnick sono circolati) avrà invece probabilmente un approccio meno ambizioso e più tradizionale per quel che riguarda la politica fiscale e del tasso di cambio e sarà invece più focalizzato su questioni quali le riduzioni d'imposta, gli incentivi fiscali alle imprese e i tagli alla spesa pubblica.
  2. Il peso che avrà il vincolo di bilancio nel determinare le scelte di politica economica. Nell'attuale situazione di piena occupazione e di robusta crescita gli Stati Uniti hanno nondimeno un deficit federale superiore al 6% del PIL. I piani economici di Trump, così come annunciati nella campagna elettorale, rischiano di far aumentare ulteriormente tale disavanzo e con esso il debito pubblico. Tuttavia, una dinamica del genere rischia di ritorcersi contro l'amministrazione repubblicana, se non nel 2025 negli anni successivi. Durante la campagna elettorale il prossimo presidente ha annunciato una drastica riduzione della spesa federale. Tuttavia, senza intaccare le principali voci di tale spesa (la sicurezza sociale, le spese sanitarie e la difesa - e Trump ha assicurato che non lo farà) l'impatto di altri eventuali tagli, anche drastici, avrà un impatto macroeconomico molto limitato. Di conseguenza, se vuole riportare il bilancio sotto controllo, Trump dovrà rivedere al ribasso alcune delle sue promesse riguardanti le riduzioni d'imposta.
  3. Almeno alcuni dei partner commerciali degli Stati Uniti e tra questi sicuramente l'Unione europea e la Cina reagiranno alle tariffe di Trump introducendo a loro volta misure di ritorsione. Questo creerà il rischio di una guerra commerciale generalizzata. Poiché il repubblicano è un "transactional president", non si può escludere che apra a negoziati prima dell'introduzione dei dazi con l'obiettivo di negoziarne esenzioni e riduzioni in cambio di concessioni in favore degli interessi economici americani nei Paesi interessati da queste trattative. Mentre è certo che Trump introdurrà nuove tariffe perché ha bisogno di entrate addizionali per finanziare i propri programmi domestici, è possibile che alla fine i loro livelli risultino meno elevati di quelli minacciati negli scorsi mesi e vi siano più esenzioni per i Paesi con cui vengono raggiunti accordi commerciali.

L'imprevedibilità del fattore Trump

Nell'insieme lo scenario qui delineato è soggetto a un ampio margine di incertezza. Esso è basato sull'ipotesi che la nuova amministrazione agirà razionalmente nel perseguire i suoi obiettivi, imparando dalle lezioni del passato. Per esempio, nel 2017 Trump e la maggioranza repubblicana nel Congresso scelsero, come primo atto politico, di cercare di abolire Obamacare, senza però aver un piano concreto per la sua sostituzione. L'assalto si tradusse in una sconfitta politica maggiore e Obamacare rimase in vigore. Dall'altro lato, il Tax Cuts and Jobs Act del 2017 fu accuratamente preparato e richiese molti mesi di intenso lavoro da parte della Casa Bianca e del Congresso e arrivò a buon fine.

Per questo le principali decisioni di politica fiscale e commerciale dovrebbero arrivare nella seconda metà del 2025, anche perché la situazione economica è favorevole e non richiede interventi immediati. Tuttavia, Trump è imprevedibile e potrebbe agire d'istinto, per esempio anticipando l'introduzione generalizzata dei dazi in modo da negoziare da una posizione di forza, come fece con la Cina nel biennio 2018-2019, anche se i risultati di una tale strategia furono quanto mai modesti. Il tycoon è convinto che la misura presenti solo aspetti positivi ("tariff is the most beautiful word in the dictionary"), nonostante ci sia un consenso generale sul fatto che un tale rialzo dei livelli tariffari porterebbe da subito a una serie di guerre commerciali nonché a un forte rallentamento dell'attività economica negli Stati Uniti stessi. A livello internazionale, un deterioramento delle relazioni economiche sembra comunque inevitabile. Se esso prenderà forma e sarà rilevante già nei primi giorni della presidenza Trump o dopo alcuni mesi resta da vedere. Ma non bisogna farsi illusioni: come mostrato dalle analisi dell'FMI e di vari istituti di ricerca statunitensi e non, l'approccio America First di Trump farà danni notevoli, anche nel caso in cui venga realizzato solo in parte.