ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

06/07/2024 | Press release | Distributed by Public on 06/08/2024 05:23

Taiwan dopo le elezioni del 2024: dinamiche interne e internazionali

Il 20 maggio Lai Ching-te si è insediato a Taipei come nuovo presidente della Repubblica di Cina (Rdc), anche nota come Taiwan. L'ascesa al potere di Lai avviene in un contesto di tensione regionale particolarmente prolungato in Asia orientale, il cui picco è stato raggiunto nell'estate del 2022 ma che da allora è rimasta piuttosto alta negli ultimi due anni. Uno dei motivi al centro di queste tensioni è proprio Taiwan, un'isola contesa tra le rivendicazioni territoriali della Repubblica popolare cinese e la sua condizione di auto-governo democratico separato da quello di Pechino, sulla quale si condensa una parte importante del conflitto geopolitico che attualmente contrappone Cina e Stati Uniti.

La rilevanza dell'isola per la politica internazionale però non è limitata solamente al suo ruolo centrale nella rivalità tra le due potenze odierne. Le ragioni della sua importanza globale sono infatti almeno due: la prima ha a che fare con il potere geoeconomico di prim'ordine che i giganti tecnologici taiwanesi conferiscono all'isola, la seconda invece riguarda la sua identità profondamente democratica che determina l'appartenenza convinta della Rdc al novero delle democrazie asiatiche.[1] D'altronde queste due considerazioni (che riassumono ma non esauriscono le ragioni per cui l'isola conta negli affari internazionali) sono anche il motivo per cui proprio sulla questione taiwanese più forte si è manifestata la conflittualità tra Cina e Stati Uniti, che non è solo tecnologica e politica ma che è particolarmente intensa in questi due ambiti.

Dal punto di vista tecnologico la piccola Taiwan, nonostante i suoi appena 23 milioni di abitanti, è infatti una superpotenza grazie al predominio globale nel campo dei semiconduttori.[2] L'industria taiwanese eccelle infatti nella produzione di microchip, ossia quei circuiti integrati miniaturizzati ed estremamente sofisticati che consentono il funzionamento di ogni prodotto dell'elettronica, ed in particolare nella fabbricazione dei microchip più avanzati. Questo primato è dovuto principalmente alla Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc), che è il leader mondiale nella fabbricazione di microchip: a fine 2023 la società rappresentava da sola il 61% del segmento foundry del mercato, cioè quella nicchia dell'industria che si occupa di incidere i circuiti su wafer di silicio extra-puro con precisione nanometrica e che richiede competenze tecniche e manifatturiere molto elevate.[3] Tsmc però non è solo il più grosso attore in un segmento critico dell'industria del microchip ma è anche quello con le capacità tecnologicamente più avanzate, visto che la società possiede circa il 66% della capacità produttiva mondiale delle generazioni più avanzate di microchip.[4] Questo predominio tecnologico ha fatto sì che la gran parte delle società high-tech più importanti al mondo (come Apple o Nvidia) si appoggino proprio a Tsmc per far loro fabbricare i microchip da integrare nei dispositivi elettronici che poi metteranno sul mercato.

Dal punto di vista politico invece, la Rdc è un modello di democrazia per tutta la regione asiatica e non solo. I punteggi variano a seconda degli indici, ma invariabilmente Taiwan viene classificata come una democrazia completa o libera, sorpassando spesso anche molti paesi occidentali inclusa l'Italia. Non solo: negli ultimi anni, nonostante il diffuso fenomeno di regressione democratica nei paesi avanzati, gli indici che misurano lo stato della democrazia in tutto il mondo rivelano che il punteggio ottenuto da Taiwan segue la tendenza opposta verso il miglioramento.[5] In una regione caratterizzata da un forte contrasto tra regimi democratici e regimi autoritari, le istituzioni di Taipei sono quindi saldamente ancorate ai valori liberal-democratici e negli ultimi anni hanno assunto sfumature sempre più progressiste: basti infatti ricordare che Taiwan è l'unica zona di tutta l'Asia in cui sono stati legalizzati i matrimoni tra presone dello stesso sesso.[6]

Per inquadrare la questione di Taiwan e le prospettive dell'isola alla luce dell'elezione di Lai Ching-te è necessario tenere bene in considerazione tre elementi determinanti: il primo è la traiettoria storica delle istituzioni politiche che reggono il governo di Taipei, il secondo è lo status della Rdc nel diritto internazionale, mentre il terzo è l'evoluzione contemporanea dell'identità e della politica taiwanesi. Questi tre elementi influenzano profondamente gli sviluppi attuali, plasmando sia la percezione di Taiwan di sé stessa e del proprio posto nel sistema internazionale, sia il punto di vista di Cina e Stati Uniti sul problema della sicurezza e della stabilità nello stretto di Taiwan.

Il peso imprescindibile della storia

Taiwan ha avuto una vicenda storica complicata, che ne determina tuttora l'incerto collocamento nella comunità internazionale. Sottoposta a partire dal Seicento alla dominazione della dinastia imperiale dei Qing, l'isola divenne una meta per le migrazioni dalla terraferma di popolazioni di cultura e lingua cinese che vi si insediarono in modo spontaneo e massiccio tanto che alla fine dell'Ottocento le comunità aborigene (imparentate con le popolazioni dell'Oceania) erano state sovrastate numericamente fino a ridursi a una esigua minoranza. Nel 1895 però, con il trattato di Shimonoseki che metteva fine alla Prima guerra sino-giapponese, l'Impero dei Qing cedeva perpetuamente la propria sovranità sull'isola al Giappone che da quel momento l'amministrò come un proprio territorio. Per i successivi 50 anni, fino al 1945, Tokyo controllò de iure l'isola sviluppandone l'economia, la società e le infrastrutture e facendone una "colonia modello".[7]

Nel frattempo, nel 1912 l'Impero dei Qing era stato rovesciato e al suo posto era nata la Repubblica di Cina guidata dal Partito nazionalista anche noto come Kuomintang (Kmt). Debole e diviso al suo interno, il nuovo stato non era in grado di riprendere il controllo sui territori persi e anzi divenne presto preda dell'imperialismo giapponese prima nel 1931, quando fu invasa la Manciuria, e poi nel 1937, quando le continue infiltrazioni militari giapponesi sfociarono nella Seconda guerra sino-giapponese. Negli anni successivi però, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale in Europa e l'attacco giapponese a Pearl Harbor, il conflitto tra Cina e Giappone divenne uno dei molti fronti dello scontro globale tra forze dell'Asse e Alleati: il governo cinese guidato da Chiang Kai-shek si trovò quindi a essere alleato di Stati Uniti e Gran Bretagna e in tale posizione poté partecipare ai colloqui per la ristrutturazione delle istituzioni internazionali che gli Alleati intendevano mettere in atto dopo la fine della guerra.[8]

Durante la conferenza del Cairo tenutasi nel novembre 1943, Chiang ottenne da Franklin Roosevelt e Winston Churchill che i territori sottratti alla Cina come Taiwan e la Manciuria le fossero restituiti. La dichiarazione venne poi ripresa dalla dichiarazione di Potsdam del luglio 1945, in cui gli Alleati enunciavano i termini per la resa del Giappone: termini che l'imperatore Hirohito accettò pubblicamente quell'agosto annunciando la fine delle ostilità e che furono accolti nell'atto di resa firmato il successivo 2 settembre 1945. Poche settimane dopo, il 25 ottobre, il governatore generale giapponese a Taiwan consegnò il governo dell'isola alle autorità militari della Rdc, cui era stata affidata l'amministrazione militare dell'isola per conto degli Alleati, le quali procedettero immediatamente a reincorporare Taiwan come una provincia della Cina.

Nel resto del paese però era scoppiata la Guerra civile tra il governo del Kmt e il Partito comunista cinese (Pcc) guidato da Mao Zedong, che nel giro di qualche anno sconfisse le truppe nazionaliste e il 1° ottobre 1949 proclamò la nascita della Repubblica popolare cinese (Rpc) come legittimo stato successore della Rdc, considerata quindi dal neonato governo di Pechino come decaduta. Per evitare di soccombere ai comunisti, Chiang e il Kmt si ritirarono a Taiwan seguiti dall'esercito, dalle élite del paese ma anche da una massa di circa 1-2 milioni di profughi: nei piani di Chiang il ritiro sull'isola doveva essere solo una fase temporanea, necessaria a riordinare i ranghi e ricacciare indietro i comunisti dal resto del paese. Il piano di riconquista della Cina però non fu mai attuato e la guerra civile fu di fatto congelata dall'avvento della Guerra fredda, che d'altro canto impedì anche a Mao di sbarcare a Taiwan.

Così a partire dal 1949 nell'arena internazionale c'erano due governi, quello della Rdc e della Rpc, ognuno dei quali rivendicava per sé il diritto a esercitare la sovranità su tutta la Cina e riteneva l'altro un ente che occupava illegalmente una parte del territorio nazionale. L'esistenza di due governi concorrenti fu il motivo per cui la Cina non venne invitata alla conferenza di San Francisco del 1951, durante la quale gli Alleati firmarono il trattato di pace col Giappone. Con l'affermazione del confronto bipolare tra Stati Uniti e Unione Sovietica, i paesi socialisti riconobbero la Rpc come governo legittimo della Cina, mentre quelli democratici riconobbero inizialmente la Rdc: così, sotto pressione statunitense, il Giappone firmò nel 1952 una pace separata con le autorità cinesi rifugiatesi a Taipei e il seggio della Cina alle Nazioni Unite fu occupato dalle autorità della Rdc. Questa situazione durò fino a quando 1971 quando l'Assemblea generale dell'Onu non approvò la risoluzione 2758 che disconobbe il governo della Rdc e riconobbe invece quello della Rpc come unico rappresentante legittimo in campo internazionale della Cina.[9]

Nel mentre sull'isola il Kmt istituì un regime autoritario a partito unico e governò con la legge marziale, reprimendo il dissenso e perseguitando gli oppositori politici in una campagna di "terrore bianco". Il regime nazionalista si appoggiava sul predominio delle élite cinesi scappate sull'isola assieme a Chiang nel 1949: questo gruppo sociale oltre al potere politico, deteneva anche il potere economico venendo favorito nello sviluppo dei grandi gruppi industriali che nei decenni successivi guidarono il miracolo economico taiwanese basato sulle esportazioni. Rivendicando la "cinesità" dell'isola, il Kmt intraprese un'opera d'indottrinamento per "cinesizzare" la popolazione ed eradicare le identità locali dell'isola in favore della cultura cinese così come questa si era evoluta sul continente (ad esempio imponendo l'uso della lingua mandarina).

Con la progressiva marginalizzazione della Rdc nel contesto internazionale e l'abbandono da parte dei propri alleati occidentali, a partire dagli anni Ottanta il Kmt intraprese un percorso di riforme politiche che portarono lentamente alla caduta della dittatura e avviarono la transizione democratica: fu revocata la legge marziale così come i provvedimenti speciali che limitavano l'esercizio dei diritti civili, fu consentita la formazione di nuovi partiti politici, e infine fu rivista la costituzione per permettere le prime elezioni libere del presidente nel 1996. Parallelamente alla democratizzazione delle istituzioni politiche della Rdc, dopo quasi mezzo secolo di separazione de facto dalla Cina continentale il leader del Kmt Lee Teng-hui incoraggiò la "taiwanizzazione" della vita pubblica dell'isola avviando la riscoperta delle identità locali dell'isola che erano state lungamente soppresse e che con a transizione democratica trovavano finalmente uno spazio per esprimersi.

L'esito di questa contorta vicenda storica, dunque, è che quella che a inizio Novecento è nata come "Repubblica di Cina" oggi si sente sempre meno affine alla Cina (intesa come paese ancor prima che come Rpc) e negli ultimi decenni si è radicata sempre più decisamente nella sola isola di Taiwan, pur mantenendo formalmente quasi del tutto intatta l'architettura istituzionale importata dalla terraferma.

Lo status di Taiwan nel sistema internazionale

La definizione dello status di Taiwan nel sistema internazionale è complessa e sfugge a semplici classificazioni secondo i parametri del diritto internazionale. Questo fatto è evidenziato dal fatto che la Rdc pur essendo un paese sviluppato e democratico gode solo di un limitato riconoscimento internazionale, con soli 12 paesi al mondo (tra i quali anche il Vaticano) che intrattengono formali rapporti diplomatici col governo di Taipei invece che con quello di Pechino.[10] Il motivo di questa limitata partecipazione nel sistema internazionale è il cosiddetto concetto della "Unica Cina", sul quale per decenni dopo la proclamazione della Rpc si è fondata la diplomazia dei due governi di Taipei e Pechino: se un paese terzo riconosceva uno dei due governi come il legittimo rappresentante della Cina a livello internazionale, allora l'altro per protesta avrebbe rotto i rapporti con il suddetto paese terzo. Se però la Rpc continua ad adottare questa linea diplomatica,[11] il governo di Taipei ha ormai abbandonato questa posizione e si è mostrato aperto a mantenere relazioni anche con paesi che volessero simultaneamente mantenere rapporti con entrambi i governi.[12]

Da decenni infatti le autorità taiwanesi hanno riconosciuto la realtà fattuale per cui la riconquista della Cina continentale non fosse altro che un miraggio nutrito dalla dittatura di Chiang.[13] Questa presa di coscienza ha quindi spinto le autorità taiwanesi negli anni Novanta a riavvicinare la realtà legale della Rpc a quella fattuale: da un lato la riforma costituzionale ha riconosciuto l'esistenza di una zona della Rdc chiamata "area libera" (costituita dalle isole di Taiwan, Penghu, Kinmen e Matsu) all'interno della quale si svolge la propria vita democratica, e dall'altro sono stati revocati i provvedimenti temporanei per la soppressione della ribellione comunista con una decisione che ha comportato in un certo senso il riconoscimento implicito del controllo della Rpc sulla Cina continentale.

Alla base del complicato status internazionale dell'isola c'è una vistosa discrepanza tra la situazione de iure e la situazione de facto della Rdc, la cui costituzione sancisce che nessuna modifica al proprio territorio può essere decisa se non per mezzo di approvazione parlamentare e referendum popolare. Tuttavia a partire dal 1949 le autorità della Rdc controllano e governano solo una piccola parte del territorio entro quelli che il proprio governo riconosce come i confini nazionali: tradizionalmente questi confini comprendevano anche la Mongolia oltre alla Cina continentale ma di fatto le autorità taiwanesi in questo caso hanno lasciato cadere già da tempo la pretesa che il paese sia una provincia fuori dal proprio controllo e oggi la Mongolia è riconosciuta come uno stato indipendente senza che alcuna revisione legale sia stata attuata.[14] Come nel caso della Mongolia, il doppio binario tra realtà formale e sostanziale della Rdc attraversa ogni discussione su quale sia la posizione dell'isola nel sistema internazionale e la discussione si fa tanto più sensibile in quanto tocca da vicino il tema della sovranità di una potenza come la Rpc.

A complicare il quadro c'è poi il fatto che nel trattato di San Francisco del 1951, durante il quale venivano stabiliti i termini della pace con cui il Giappone riguadagnava la propria sovranità dopo l'occupazione degli Alleati, il governo di Tokyo rinuncia ai propri diritti su Taiwan senza però specificare esplicitamente a chi dovesse essere riconosciuto il legittimo governo sull'isola.

Complessivamente, si possono identificare tre punti di vista su quale sia la posizione di Taiwan secondo il diritto internazionale: uno per cui il territorio di Taiwan è parte della Cina, uno per cui Taiwan è di fatto già indipendente, e uno per cui lo status internazionale di Taiwan è tuttora indeterminato.

  1. Secondo alcune interpretazioni che ricadono nella prima corrente di pensiero, pur in assenza di uno specifico provvedimento nel trattato di pace firmato nel 1951, la restituzione di Taiwan alla Cina sarebbe stato un impegno legalmente vincolante per gli Alleati già dal momento della dichiarazione del Cairo nel 1943 in quanto accordo formale tra i capi di governo degli Alleati, successivamente recepito anche da altri documenti internazionali.[15] Questa ipotesi resta tuttavia controversa perché normalmente una dichiarazione politica non produce immediatamente effetti legali. Alcuni esperti di diritto internazionale ritengono invece che sarebbe una consuetudine quella secondo cui la cessione del territorio da un paese sconfitto a un paese vincitore occupante sarebbe legale anche in mancanza di una menzione esplicita del paese beneficiario nel trattato di pace (come in quello di San Francisco), per semplice effetto del possesso del suddetto territorio.[16] Tuttavia, secondo un altro filone di pensiero, l'omissione nel trattato di pace sarebbe comunque stata coperta dal trattato di pace di Taipei, firmato tra Rdc e Giappone nel 1952, nel quale veniva annullato il trattato di Shimonoseki di fine Ottocento che aveva trasferito la sovranità sull'isola dalla Cina al Giappone. Se effettivamente la cessione della sovranità su Taiwan è avvenuta nel 1952 però, questa riguarderebbe solo la Rdc e non la Rpc che non riconosce valore legale a nessuno degli accordi interazionali stipulati dal governo di Taipei dopo il 1949.
  2. Secondo altre interpretazioni invece, queste osservazioni si scontrano con la constatazione che Taiwan di fatto funziona già come uno stato indipendente ai sensi della convenzione di Montevideo, per la quale i requisiti che uno stato deve soddisfare per essere tale sono il possesso di una popolazione permanente, di un territorio definito, di un governo funzionante e della capacità di intrattenere rapporti con gli altri stati: essendo questi tutti criteri che Taiwan soddisfa, la sua statualità non avrebbe bisogno di essere dichiarata né del riconoscimento altrui per potersi affermare.[17] Tuttavia sarebbe problematica l'esistenza di uno stato indipendente che si presenti nella comunità internazionale con un nome che implichi la stessa titolarità territoriale di un altro stato indipendente pur essendone distinto.[18]
  3. L'ultimo punto di vista invece argomenta che quando la Rdc occupò Taiwan nel 1945 prendendone possesso per conto degli Alleati, la sovranità de iure sull'isola è rimasta comunque nelle mani del Giappone fino al trattato di pace del 1951: in quel contesto, i firmatari del trattato avrebbero inteso che lo status dell'isola sarebbe rimasto indeterminato per il momento e che la questione avrebbe dovuto essere risolta secondo i principi di auto-determinazione e non uso della forza come prestabilito dalla Carta delle nazioni dell'Onu.[19] Questa risoluzione, in seguito, non sarebbe mai avvenuta. Da un lato c'è chi argomenta che attraverso la costruzione e il regolare mantenimento delle istituzioni democratiche i cittadini taiwanesi avrebbero già espresso il proprio diritto all'auto-determinazione dotandosi quindi un proprio stato indipendente. D'altra parte, la teoria si scontra col fatto che su alcune parti del territorio controllato dalla Rdp non esiste ambiguità: i due gruppi di isole noti come Kinmen e Matsu, antistanti la costa cinese, non sono mai stati sotto sovranità giapponese e anzi sono sempre appartenute prima alle autorità della Cina imperiale e poi a quelle della Rdc.

La posizione di Taiwan nel sistema internazionale

La posizione ambigua di Taiwan nel sistema internazionale è al centro delle dinamiche geopolitiche tra le principali potenze della regione come Cina e Stati Uniti, che assumono posizioni contrastanti sulla questione della sovranità di Taiwan e che di conseguenza adottano politiche contrapposte nei confronti dell'isola.

La Rpc segue il cosiddetto "principio dell'Unica Cina", secondo il quale esiste un solo paese al mondo che si chiami Cina, di cui Taiwan è una parte inalienabile e il cui unico legittimo rappresentante nella comunità internazionale è la Rpc. Secondo il punto di vista di Pechino, dunque, non possono esistere due stati che rivendicano il diritto di rappresentare il paese Cina, né possono esistere due governi distinti a rappresentare Cina e Taiwan.

Benché la posizione del Pcc non sia sempre stata questa,[20] a partire dagli anni Quaranta la riunificazione (così definita nel linguaggio diplomatico cinese) di Taiwan è stata una delle priorità diplomatiche della Rpc. Falliti i tentativi di prendere il possesso dell'isola con la forza, a partire dagli anni Ottanta le autorità di Pechino hanno elaborato una strategia di "riunificazione pacifica" che avrebbe dovuto basarsi su colloqui bilaterali con Taipei e sull'integrazione economica dell'isola con la terraferma in modo tale da preparare la riunificazione pacifica.[21] Questo processo avrebbe poi dovuto concludersi con l'incorporazione di Taiwan nella Rpc secondo il principio di "un paese, due sistemi" (lo stesso tipo di architettura istituzionale applicato ad Hong Kong dopo il passaggio del territorio britannico sotto sovranità cinese nel 1997), che avrebbe dovuto garantire un certo grado di autonomia all'isola. L'impegno della Rpc a cercare una riunificazione pacifica però non esclude a priori che questa possa venir realizzata con la forza, qualora il governo di Pechino lo ritenga inevitabile. Secondo la prospettiva cinese, Taiwan è una provincia della Rpc su cui Pechino ha il diritto di esercitare la propria sovranità ma che tuttavia sfugge al controllo delle autorità cinesi. Nel momento in cui il governo di Taipei dichiarasse formalmente la propria indipendenza, dal punto di vista cinese questa equivarrebbe a una secessione, situazione in cui Pechino si sentirebbe legittimata ai sensi della legge anti-secessione (che nel 2005 ha codificato in legge una politica già in vigore) a utilizzare le proprie forze armate per impedire un tale sviluppo e portare a termine manu militari l'unificazione di Taiwan alla Cina. Secondo quanto risulta alle forze armate statunitensi, il presidente cinese Xi Jinping avrebbe chiesto alle forze armate della Rpc di essere pronte per una ipotetica invasione di Taiwan entro il 2027 qualora le circostanze lo richiedessero.

Da parte loro gli Stati Uniti invece non prendono una posizione sulla sovranità di Taiwan, ritenendo invece che lo status dell'isola nel diritto internazionale sia rimasto indeterminato anche dopo i trattati di pace e che la questione vada risolta pacificamente. Come detto nel comunicato di Shanghai del 1972, emesso durante la visita di Richard Nixon in Cina, gli Stati Uniti si limitano a "riconoscere che tutti i cinesi sulle due sponde dello stretto di Taiwan ritengono che esista un'unica Cina e che Taiwan sia parte della Cina".[22] La differenza con la posizione di Pechino sta nella sfumatura della parola inglese usata per "riconoscere", toacknowledge, che non necessariamente significa anche "accettare o concordare". Questa posizione è poi stata riaffermata con una formulazione più ristretta ma sostanzialmente uguale nel comunicato congiunto del gennaio 1979 (con cui Stati Uniti e Rpc hanno ufficializzato i propri rapporti diplomatici) per prendere atto e constatare che la Rpc, che Washington da quel momento riconosceva come governo legittimo della Cina, possiede la suddetta posizione riguardo Taiwan.[23] Dal punto di vista statunitense quindi, intrattenere rapporti informali col governo di Taipei, come avviene dal 1979, non contravviene ai propri impegni internazionali poiché gli impegni presi sarebbero limitati al riconoscimento della Rpc come unica Cina (e al conseguente disconoscimento della Rdc come stato sovrano) ma non al riconoscimento della sovranità cinese su Taiwan. Su queste basi si è fondata la "politica dell'Unica Cina" perseguita dagli Stati Uniti.[24]

Tuttavia, dopo il cambio di riconoscimento diplomatico del 1979 dalla Rdc alla Rpc, Washington ha rimodulato il proprio impegno militare nei confronti dell'isola terminando il trattato di difesa reciproca e adottando il Taiwan Relations Act, una legge che insiste sulla soluzione pacifica dello status di Taiwan e che obbliga il governo statunitense a fornire armamenti difensivi a Taipei e a mantenere capacità tali da resistere ad ogni forma di coercizione contro Taiwan. Per quanto predisponga gli Stati Uniti a tutelare lo status quo e la stabilità nello stretto, il Taiwan Relations Act non prevede un meccanismo che in caso di attacco cinese automaticamente spingerebbe Washington a intervenire in difesa di Taiwan. Benché non più formalizzato, l'impegno difensivo statunitense nei confronti di Taiwan ha però mantenuto una credibilità tale da non permettere di escludere la possibilità di un intervento militare di Washington in caso di conflitto, e tuttavia questo impegno non è mai stato concreto abbastanza da costituire una garanzia sulla difesa di Taiwan. Questa politica di incertezza riguardo a un possibile coinvolgimento militare statunitense è anche nota come "ambiguità strategica" e mira, da un lato, a dissuadere la Cina da invadere Taiwan dovendo fare i conti con l'ipotesi di un possibile intervento statunitense mentre, dall'altro, intende togliere la certezza alle forze indipendentiste di Taiwan che la difesa dell'isola sia garantita anche nel caso di una eventuale dichiarazione di indipendenza. Negli ultimi anni, tuttavia, le numerose "gaffes" in cui il presidente statunitense Joe Biden assicurava l'impegno a difesa di Taiwan in caso di attacco (cui sono sempre seguite smentite di rito da parte del suo staff) sembrano alludere a un non dichiarato riposizionamento di Washington che, attraverso queste gaffes e altre decisioni di carattere meno simbolico, starebbe ricalibrando in modo informale ma più esplicito l'approccio formalmente adottato da Washington.[25]

Le identità e il sistema politico di Taiwan

Le complesse vicende storiche dell'isola e il suo ambiguo posizionamento nel sistema internazionale hanno plasmato in profondo la vita democratica in Taiwan, rendendo centrale per i suoi abitanti la questione di chi essi siano e quale debba essere il loro rapporto con il territorio al di là dello stretto. In altre parole, l'identità nazionale e il rapporto con la Cina sono le due questioni su cui storicamente si è divisa la società taiwanese e su cui si è concentrato il dibattito politico interno. Da una parte il Kmt, pur avendo assorbito i principi democratici e radicato il proprio orizzonte politico a Taiwan, continua ad abbracciare contemporaneamente anche l'identità cinese dell'isola e a ritenere quelle della Rdc le uniche istituzioni legittimate a rappresentare la Cina, favorendo contestualmente rapporti amichevoli con la Rpc. Dall'altra parte invece il Partito progressista democratico (Ppd, emerso a fine anni Ottanta tra i dissidenti della società civile in lotta contro il regime autoritario del Kmt) rispecchia politicamente le identità taiwanesi locali in contrapposizione a quella cinese e interpreta le aspirazioni indipendentiste dell'isola a essere un paese distinto dalla Cina, nutrendo una certa diffidenza verso la Rpc.

Negli ultimi tre decenni sono stati condotti sondaggi regolari per vagliare l'opinione pubblica dell'isola sulle questioni che animano il dibattito politico taiwanese, i quali hanno rivelato profonde trasformazioni sociali. Confrontando i dati del primo sondaggio realizzato nel 1992 e quello del 2023, si può notare che:

  • la percentuale di abitanti che si identificano come "cinese" è scesa dal 25,5% della popolazione nella prima rilevazione al solo 2,5% dell'anno scorso;
  • la percentuale di abitanti che si identificano come "taiwanese" è cresciuta dal 17,6% della popolazione al 62,8%, costituendo quini oggi la maggioranza assoluta;
  • la percentuale di abitanti che si identificano come "sia cinese che taiwanese" è passata dal 46,4% della popolazione al 30,5%.

Oggi quindi, la quasi totalità della popolazione riconosce sé stessa come taiwanese o almeno in parte taiwanese.[26]

Di riflesso alle divergenze identitarie dei cittadini, storicamente l'opinione pubblica si è quindi divisa in un campo a favore dell'unificazione con la Cina continentale e in uno a favore dell'indipendenza dell'isola dalla terraferma. Dalla metà degli anni Novanta a oggi, tuttavia, i sondaggi sul tema hanno mostrato anche qui una notevole trasformazione della società:

  • la percentuale di abitanti che desiderano mantenere lo status quo per ora e muovere verso l'unificazione in un secondo momento è scesa dal 15,6% al 5,8%;
  • la percentuale di abitanti che desiderano mantenere lo status quo per ora e muovere verso l'indipendenza in un secondo momento è salita dall'8% al 21,4%;
  • i gruppi di abitanti che desiderano l'unificazione quanto prima o l'indipendenza quanto prima sono rimasti marginali e oggi entrambi sono sotto la soglia del 5%;
  • il gruppo di abitanti che desiderano mantenere lo status quo per ora e decidere in un secondo momento è rimasto maggioritario per la gran parte degli ultimi tre decenni, con percentuali che oscillavano tra il 25% e il 40%, e oggi costituisce il 28,6% della popolazione;
  • il gruppo di abitanti che è cresciuto maggiormente è quello di coloro che desiderano mantenere lo status quo indefinitamente, crescendo dal 9,8% al 32,1%.

In altre parole, la maggior parte dei cittadini taiwanesi si esprime a favore del mantenimento dello status quo senza esprimere per il momento alcun tipo di preferenza per il futuro a lungo termine.[27]

Questi spostamenti dell'opinione pubblica hanno avuto un effetto concreto sul posizionamento dei due principali partiti. Storicamente i due principali partiti hanno cercato di dare voce alle vedute contrapposte che dividevano la società di Taiwan e anzi proprio su queste divergenze si è strutturato il sistema partitico dominato da Kmt e Ppd. Tuttavia, con l'avvento di un largo consenso popolare riguardo un'identità nazionale più uniformemente taiwanese e con l'opinione pubblica sempre più fermamente favorevole al perdurare dello status quo, entrambi i partiti hanno finito per convergere verso il centro pur cercando di preservare in una certa misura i tratti originari del proprio credo politico.[28] Oggi infatti ad animare il dibattito politico non sono tanto i temi dell'identità e dei rapporti con l'altra parte dello stretto quanto invece quelli legati alle esigenze quotidiane e più immediate dei cittadini.

Lo scenario politico interno dopo le elezioni del 2024

Lo scorso 13 gennaio i cittadini taiwanesi sono andati al voto per rinnovare il parlamento e per eleggere un nuovo presidente. Questa tornata elettorale è stata particolarmente significativa rispetto alle precedenti per almeno due motivi: il primo è che Tsai Ing-wen (ex leader ed esponente estremamente popolare del Ppd) era alla fine del proprio secondo mandato presidenziale e, non potendo più ricandidarsi, dal voto sarebbe necessariamente emerso un nuovo presidente; il secondo invece riguarda l'anomalia di una competizione elettorale che quest'anno accanto ai tradizionali due principali partiti ha visto affiancarsene un terzo, il Partito popolare taiwanese (Ppt) guidato dall'ex sindaco di Taipei Ko Wen-je.[29]

Questa evoluzione tripartitica del sistema politico è stata possibile proprio grazie ai mutamenti nella società taiwanese, per la quale la questione dell'identità e dei rapporti con la Cina è diventata sempre meno divisiva dato il crescente consenso nazionale su questi temi. Ad animare il dibattito della campagna elettorale sono stati soprattutto le politiche energetiche, il problema dai bassi salari e dell'aumento dei costi immobiliari (in particolare tra i giovani), o le accuse di corruzione.[30] L'accesa polemica tra Kmt e Ppd ha permesso al Ppt di capitalizzare sulla sua estraneità all'establishment, incontrando il sostegno soprattutto dell'elettorato giovane.

Anche le politiche di difesa hanno assunto un ruolo importante nel dibattito, con il Kmt che puntava su una strategia di de-escalation fatta di deterrenza e dialogo con Pechino e il Ppd che premeva per continuare le politiche di Tsai centrate sul rafforzamento delle capacità difensive e del rapporto con gli Stati Uniti. La Cina è entrata nel dibattito più come uno spauracchio retorico, agitato dai due principali partiti per accusarsi l'un l'altro o di voler spingere Taiwan verso l'autoritarismo o verso la guerra. Sembra però improbabile che la Rpc sia stata un fattore tanto quanto invece lo era stata nelle scorse elezioni del gennaio 2020, quando le immagini delle proteste a Hong Kong hanno avuto un impatto reale sul voto degli elettori che in qual caso avevano confermato Tsai in maggioranza.

Dallo scrutinio del voto sono emersi due dati: la vittoria di Lai Ching-te, candidato del Ppd, alle presidenziali e contemporanea la sconfitta del Ppd alle parlamentari. Lai, ex-vicepresidente di Tsai, ha potuto beneficiare della popolarità della sua compagna di partito ottenendo il 40% dei consensi,[31] ma contrariamente a quanto avvenuto nel 2020 non è riuscito ad attrarre elettori al di fuori della pur ampia cerchia di coloro che già simpatizzavano per il suo partito o che apprezzavano l'operato di Tsai. Anzi, rispetto alla tornata del 2020 il candidato del Ppd ha perso più di 2,5 milioni di voti. Probabilmente per Lai è stato fondamentale il mancato accordo tra Hou Yu-ih e Ko Wen-je, i due candidati del Kmt e del Ppt, che non sono riusciti a unificare le loro candidature e nel conteggio finale sono entrambi finiti dietro.

Se però il Ppd vince le presidenziali, nel parlamento il governo perde la maggioranza. Il Kmt si afferma come primo partito con 52 seggi (ai quali si aggiungeranno i due eletti indipendenti ma molto vicini politicamente), mentre il Ppd si ferma a 51. L'ago della bilancia con 8 seggi diventa dunque Ko, il cui partito diventa essenziale per raggiungere la maggioranza.[32] I primi segnali hanno confermato una certa propensione verso il Kmt da parte di Ko, emerso come politico nell'area vicina al Ppd ma virato più recentemente dall'altra parte, e benché non esista un'alleanza formale i due partiti in pochi mesi hanno dimostrato di essere più che disposti a collaborare. Il connubio nell'opposizione sta però rapidamente inasprendo lo scontro politico col governo su molteplici dossier, dalla sorveglianza sui mezzi di comunicazione alla proposta di riforme istituzionali. Quest'ultima in particolare sta generando tensioni, soprattutto per il fatto che dovrebbe consentire al parlamento dominato dal Kmt il potere di avviare commissioni d'inchiesta e convocare funzionari pubblici così come privati cittadini a testimoniare obbligatoriamente in aula (criminalizzando chi vi si opponesse).[33]

Il risultato delle elezioni presidenziali a Taiwan

Prospettive interne e internazionali

Nonostante Lai appartenga alla fazione più radicale del Ppd, la sua posizione nel tempo si è moderata per accreditarsi come figura di continuità rispetto alla più moderata Tsai. Continuità che si attesta almeno su due fronti: uno riguarda la composizione del nuovo gabinetto di governo che ripropone diversi personaggi chiave della precedente amministrazione;[34] l'altro invece riguarda la posizione su una possibile dichiarazione d'indipendenza. Come riaffermato nel suo discorso d'inaugurazione il nuovo presidente si è impegnato a mantenere la stabilità e la pace nello stretto,[35] partendo dall'idea espressa da Tsai che una dichiarazione d'indipendenza sia ridondante poiché Taiwan sarebbe già una nazione indipendente e sovrana. Tuttavia, pur poggiandosi su concetti familiari anche alla presidenza di Tsai come l'impegno a mantenere lo status quo, il discorso d'insediamento di Lai è stato una svolta significativa a livello di linguaggio politico le cui sfumature lasciano intendere una posizione più radicale del nuovo presidente rispetto alla sua predecessora.[36]

La variabile che potrebbe complicare lo scenario è il rischio di una crescente disfunzionalità politica dovuta alla polarizzazione tra parlamento a guida Kmt e presidenza a guida Ppd. In quanto repubblica semi-presidenziale, la prassi costituzionale di Taiwan concede a Lai un'ampia discrezionalità per quanto riguarda la politica estera e la difesa, ma il rischio è che il parlamento possa ostacolare i piani di spesa del governo come avvenuto nel 2005, quando il parlamento a maggioranza Kmt aveva posto il veto al piano del governo a guida Ppd di acquistare sottomarini statunitensi. Il presidente del parlamento ha poi anche un ruolo centrale nella diplomazia non ufficiale condotta da Taiwan e l'opposizione potrebbe sfruttare il proprio dominio per condurre un'azione internazionale autonoma da quella del governo. Infine, come anche suggerito in campagna elettorale, il Kmt propone di riattivare una speciale divisione investigativa della magistratura per perseguire la corruzione e i reati che vengono imputati al Ppd.[37]

Infine, le posizioni delle due principali potenze riguardo a Taiwan non sembrano essere cambiate dopo il voto e dopo il discorso d'insediamento di Lai, a seguito del quale le forze armate della Rpc hanno condotto esercitazioni militari attorno all'isola. La Cina continua a ritenere il Ppd una forza secessionista e dunque una minaccia ai propri interessi nazionali ma è possibile che l'approccio possa venire leggermente rimodulato, spostando il fulcro dell'azione dalla contrapposizione apertamente ostile verso il governo di Taipei (come visto in anni recenti) a un approccio più multiforme e selettivo dei propri bersagli. Da un lato, Pechino continua a esercitare pressioni sul governo del Ppd, cercando di: 1) convincere le piccole nazioni che ancora intrattengono rapporti con Taiwan a interromperli,[38] 2) screditare la legittimità delle autorità taiwanesi sulla base della vittoria di misura da parte di Lai,[39] 3) tenere alta l'offensiva psicologica attraverso continue manovre militari attorno all'isola,[40] e 4) colpire determinati settori dell'economia taiwanese.[41] Dall'altro però, la Cina considera il nuovo panorama taiwanese come un'opportunità per sospingere le forze politiche più amichevoli, come dimostrato dalle concessioni sul fronte economico presentate alla delegazione in visita del Kmt o dall'incontro accordato da Xi Jinping all'ex presidente taiwanese Ma Ying-jeou.[42] Tuttavia, anche se per il momento la Cina non intende alzare esponenzialmente la tensione e ridare slancio alle voci anticinesi a Taipei, Pechino considera l'unificazione "inevitabile" e come detto più volte da Xi la questione di Taiwan non può "essere rimandata di generazione in generazione".[43]

Per quanto riguarda invece gli Stati Uniti, nonostante gli avvisi di rito che Washington non sostiene l'indipendenza taiwanese è chiaro che il rapporto con l'amministrazione Biden continuerà a essere tanto stretto sotto Lai quanto lo è stato sotto Tsai. Riprova ne è il fatto l'ex capo-delegazione della rappresentanza taiwanese a Washington, Hsiao Bi-khim, è stata scelta da Lai come propria vice-presidente.[44] Non mancano però preoccupazioni dal lato taiwanese che quello che ora è percepito dall'esterno come un impegno nel complesso credibile possa in futuro allentarsi, in particolare nel caso in cui Donald Trump torni alla presidenza degli Stati Uniti. Tanto più che già oggi il 60% della popolazione taiwanese non è del tutto certa che Washington interverrebbe a difesa dell'isola in caso di attacco cinese.[45] È quindi probabile che nei mesi da qui a novembre ci saranno nuovi movimenti tra Taipei e Washington.

La suddivisione dei seggi in parlamento tra i maggiori partiti e la rispettiva variazione in base alle ultime elezioni del 2020

[1] A. Amighini e G.A. Casanova, "Taiwan Up Close", ISPI, 11 gennaio 2024.

[2] G.A. Casanova, "Il futuro dei microchip", ISPI, 8 febbraio 2023.

[3] "Global Foundry Industry's Q4 2023 Revenue Rises QoQ Driven by Inventory Restocking, Strong AI Demand", Counterpoint Research, 2 aprile 2024.

[4] "Foundry Capacity Market Share of Advanced Process to Decline in Taiwan, Korea until 2027, While US on the Rise", TrendForce, 14 maggio 2024.

[5]Freedom House registra un continuo miglioramento dal 2017, mentre il Democracy Index dell'EIU nel 2023 registra per la prima volta un calo limitato del punteggio dopo l'ultimo verificatosi nel 2017.

[6] "Marriage Equality Around the World", Human Rights Campaign.

[7] O.A. Westad, Restless Empire, Londra, Vintage, 2013, pp.112-14.

[8] R. Mitter, China's war with Japan, 1937-1945, Londra, Allen Lane, 2013.

[9] K. Vogelsang, Cina, una storia millenaria, Torino, Einaudi, 2014.

[10] I 12 paesi che riconoscono la Rdc come legittimo governo rappresentante della Cina sono: isole Marshall, Palau, Tuvalu, eSwatini, Città del Vaticano, Belize, Guatemala, Haiti, Paraguay, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, e Saint Vincent e Grenadine.

[11] "China severs diplomatic ties with Kiribati", ABC News, 29 novembre 2003.

[12] J. Yeh, "Taiwan has no preconditions for foreign exchanges: MOFA", Focus Taiwan, 15 febbraio 2024.

[13] C. Han, "Taiwan in Time: The 'communist rebellion' finally ends", Taipei Times, 25 aprile 2021.

[14] "Onward to Mongolia", Taiwan Today, 1 gennaio 2003.

[15] Questa posizione è stata espressa in un comunicato del MOFA ("Ministry of Foreign Affairs clarifies legally binding status of Cairo Declaration") il 10 gennaio 2014, quando il governo era guidato dal presidente Ma Ying-jeou del Kmt.

[16] Si veda ad esempio il trattato di Losanna nell'ottobre 1912 tra Italia e Impero ottomano, nel quale le province di Tripoli e della Cirenaica non venivano esplicitamente cedute all'Italia. H. Chiu, "The International Status of Taiwan", in J.-M. Henckaerts (a cura di), The International Status of Taiwan in the New World Order: Legal and Political Considerations, London-The Hague-Boston, Kluwer Law International, 1996, pp. 5-8.

[17] F. Lin e C. Wu, "Is Taiwan a State?", Verfassungsblog, 18 ottobre 2022.

[18] M. Kuo, "Democracy and the (Non)Statehood of Taiwan", EJIL Talk, 3 novembre 2022.

[19] L. Chen, "Taiwan 's Current International Legal Status", New England Law Review, vol. 32, n. 3, 1998, pp.675-84.

[20] F.S.T. Hsiao e L.R. Sullivan, "The Chinese Communist Party and the Status of Taiwan, 1928-1943", Pacific Affairs, vol. 52, n. 3, pp. 446-467

[21] Nel 1981 Ye Jianying propose i "Nine Principles for the Peaceful Reunification with Taiwan".

[22] "Joint Statement Following Discussions With Leaders of the People's Republic of China", Public Papers: Nixon, 1972, 27 febbraio 1972.

[23] "Joint Communiqué on the Establishment of Diplomatic Relations Between the United States of America and the People's Republic of China", Public Papers: Carter, 1978, 1 gennaio 1979. Nel comunicato, si esprime che "[t]he Government of the United States of America acknowledges the Chinese position that there is but one China and Taiwan is part of China."

[24] M.J. Green e B.S. Glaser, "What Is the U.S. "One China" Policy, and Why Does it Matter?", CSIS, 13 gennaio 2027.

[25] G.A. Casanova, "A Taiwan la posta in gioco è altissima", Rolling Stones, 25 maggio 2022.

[26] "Taiwanese / Chinese Identity (1992/06~2023/12)", National Chengchi University, 22 febbraio 2024.

[27] "Taiwan Independence vs. Unification with the Mainland (1994/12~2023/12)", National Chengchi University, 22 febbraio 2024.

[28] Per quanto il consenso nazionale sull'identità e sui rapporti con la Cina si stia consolidando su queste posizioni, il dibattito tuttavia ancora molto vivo. Sul tema si veda: L. Lamperti, "Le identità nazionali e politiche di Taiwan alla prova del voto", ISPI, 6 gennaio 2024.

[29] B. Hioe, "Taiwan's Political System Is Transforming: Just How, It Is To Be Seen", ISPI, 11 gennaio 2024.

[30] B. Hioe, "Lai and Hou Focus on Cross-Strait Relations, Ko on Appeals to Youth in First Presidential Policy Presentation", New Bloom, 23 dicembre 2023.

[31] "Election shows approval of Tsai's 8 years in office: DPP official", Focus Taiwan, 14 gennaio 2024.

[32] L. Lamperti, "Han Kuo-Yu del Guomindang alla guida dello Yuan legislativo", Taiwan Files, 2 febbraio 2024.

[33] "Highlights of disputed 'parliamentary reform bills'", Focus Taiwan, 17 maggio 2024; H. Davidson e C. H. Lin, "Lai Ching-te's first day as Taiwan president marked by protests", The Guardian, 21 maggio 2024.

[34] L. Chung, "Taiwan's cabinet sworn in as new leader William Lai aims for continuity", South China Morning Post,20 maggio 2024.

[35] "Inaugural Address of ROC 16th-term President Lai Ching-te", Office of the President Republic of China (Taiwan), 20 maggio 2024.

[36] L. Lamperti, "Test militari e riforma del parlamento", China Files, 27 maggio 2024.

[37] B. Hioe, "KMT seeks to override executive authority through revival of special investigation division", New Bloom, 15 febbraio 2024.

[38] K. Xie, "Is Beijing planning further diplomatic isolation for Taiwan in wake of William Lai's win?", South China Morning Post,27 gennaio 2024.

[39] A. Chen, "DPP does not reflect mainstream Taiwan, Beijing's point man tells visiting industry group", South China Morning Post,2 febbraio 2024.

[40] W. Suzuki, "China cranks up pressure on Taiwan ahead of Lai's inauguration", Nikkei Asia,17 maggio 2024.

[41] M. Strong, "China slaps tariffs on polycarbonate imports from Taiwan", Taiwan News,19 aprile 2024.

[42] "KMT caucus whip touts tourism wins following China 'ice-breaker trip'", Focus Taiwan, 29 aprile 2024; L. Chung, "Ma Ying-jeou urges Taiwan's next president to respond 'pragmatically' to Xi Jinping's 'olive branch'", South China Morning Post,15 aprile 2024.

[43] "Speech at the Meeting Marking the 40th Anniversary of the Issuance of the Message to Compatriots in Taiwan", CSIS Interpret: China,2 gennaio 2019.

[44] M. Magnier, "Is incoming Taiwan vice-president Hsiao Bi-khim the island's new 'US whisperer'?", South China Morning Post,18 maggio 2024.

[45] T.S. Rich, "What Is Taiwan's New President Going to Do About China?", Foreign Policy,17 gennaio 2024.