ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

06/27/2024 | Press release | Distributed by Public on 06/27/2024 10:13

Elezioni in Francia: rischio cul de sac

Il voto delle europee in Francia non ha lasciato dubbi: con il 31% dei voti, il Rassemblement National di Marine Le Pen ha più che doppiato il partito di Macron. Con una mossa che ha sorpreso molti dei suoi stessi alleati e gettato scompiglio nell'Europa alle prese con il difficile puzzle delle nuove cariche Ue, il Presidente francese ha annunciato a tempo record elezioni anticipate. Perché lo ha fatto? Non aveva altre alternative? E soprattutto: quali le conseguenze dei possibili risultati dopo il voto del 30 giugno e 7 luglio?

Elezioni 'inevitabili'

Anzitutto il dato più importante: Macron ha perso la maggioranza in Parlamento nel 2022. Da allora il suo governo - guidato oggi dal primo ministro Gabriel Attal - è costretto a cercare (soprattutto tra i neogollisti Républicains) un appoggio esterno su ogni atto. Le grandi riforme promesse da Macron sono state fortemente ridimensionate anche a seguito di forti proteste di piazza. Quello che è riuscito a fare, l'ha fatto ricorrendo più volte (come nel caso della riforma delle pensioni) all'Art. 49 della Costituzione che permette di scavalcare il Parlamento cui viene lasciata la sola opzione di votare compatto (cosa che non è) una mozione di sfiducia. Non proprio il modo più efficace di governare e con il risultato di una ulteriore polarizzazione di una Francia stanca del decisionismo macronista. Che così non si potesse continuare a lungo era chiaro anche a Macron stesso che però temeva il possibile trionfo della Le Pen in una tornata elettorale. Ma non era in suo potere procrastinare le elezioni europee che hanno inesorabilmente consegnato una vittoria netta alla coppia Le Pen/Bardella. Macron si è così trovato quasi con le spalle al muro e le elezioni anticipate gli sono sembrate la migliore delle opzioni percorribili. Il motivo non va tanto ricercato nella tradizionale scommessa di Macron di riuscire ad arginare Le Pen contando sul doppio turno e quindi sull'ampio appoggio al candidato macronista al secondo turno per evitare la vittoria dei candidati del Rassemblement National (anche lui legge i sondaggi e sa che al secondo turno potrebbe non arrivare nessun suo candidato). La vera questione è quella della ingovernabilità della Francia. Macron sapeva che con l'avvio del nuovo Patto di Stabilità e Crescita la Francia sarebbe entrata in procedura di infrazione per deficit eccessivo (destino peraltro condiviso con l'Italia). Rientrare dal deficit - al 5,5%% del Pil nel 2023 - avrebbe richiesto l'approvazione di un bilancio fatto di tagli, oltre a riforme orientate al rigore. I partiti all'opposizione non si sarebbero presi la responsabilità politica di appoggiare i tagli e le riforme e avrebbero anzi potuto scendere in piazza e avanzare mozioni di sfiducia. La decisione di Macron di tornare alle urne sarebbe stata molto probabilmente solo posticipata al prossimo autunno in un clima di aumento dello spread (già ravvisabile oggi) e di revisioni ulteriormente al ribasso delle valutazioni delle agenzie di rating (il debito pubblico francese si avvia a toccare il 114% nel 2025). Nel frattempo, però, Macron e Attal si sarebbero dovuti imbarcare in un scontro contro tutti intestandosi l'impopolarissima paternità dei tagli al bilancio. La prospettiva sarebbe quindi stata quella di una sconfitta ancora più dura in autunno. Hanno forse contribuito alla decisione di Macron di anticipare l'inevitabile anche i risultati economici relativamente buoni nel primo trimestre dell'anno in termini di crescita e inflazione (crescita dello 0,7% e inflazione in discesa al 2,5%). Non è per nulla detto che questa traiettoria economica venga confermata nei trimestri successivi. Le elezioni anticipate sembravano dunque inevitabili agli occhi del Presidente. Renderle 'anticipatissime' a giugno rappresenta una strategia di contenimento del danno.

Dopo le elezioni: rischio cul-de-sac

Secondo tutti i sondaggi, le elezioni 'anticipatissime' di Macron decreteranno la vittoria del Rassemblement National. Se per i sondaggisti è relativamente facile calcolare le percentuali che riceveranno i vari partiti, ben più difficile è dire quanto queste percentuali si tradurranno in seggi stante l'aleatorietà del doppio turno. Su questo influisce anche una accesa e quasi drammatica campagna elettorale con passaggi ai limiti del farsesco e un paio di colpi di scena che avranno sorpreso lo stesso Macron. Il primo è quello di Eric Ciotti, presidente dei Républicains, che si barrica nella sede del partito per impedire ai suoi stessi parlamentari di destituirlo. Il risultato è la spaccatura dei Républicains: Ciotti ottiene in molte circoscrizioni l'appoggio di Rassemblement National non candidando nessun parlamentare uscente (tranne se stesso e la sua alleata Christelle D'Intorni); tutto il resto dei Républicains presenta candidature alternative, addirittura anche nella stessa circoscrizione di Ciotti. Rassemblement National, dal canto suo, serra i ranghi ricevendo a braccia aperte Marion Maréchal che torna dalla zia Marine Le Pen abbandonando un furioso Zemmour. Il secondo colpo di scena si verifica a sinistra. Pur divisa su tutto o quasi (tranne che sull'avversione a Le Pen e, in buona parte, a Macron), la sinistra si ricompatta nel Nouveau Front Populaire che spazia dai socialisti moderati à la Faure fino all'estrema sinistra della France Insoumise di Mélenchon. Nel frattempo, anche tra i macronisti, che mettono insieme tre diverse 'anime', i mal di pancia affiorano in vista della sconfitta.

In questo contesto confuso e del tutto inedito per la Francia, sono due gli esiti più probabili del dopo voto. Il primo è quello che i sondaggi ritengono al momento più verosimile: Le Pen/Bardella vincono ma non raggiungono i 289 seggi che gli garantirebbero la maggioranza in Parlamento. Bardella ha già fatto sapere che non intende governare se non avrà da subito una maggioranza (magari gratificando con posizioni di primo piano i Républicains, anche quelli contrari alla svolta di Ciotti). È una presa di posizione comprensibile perché senza una maggioranza Bardella soccomberebbe quasi subito dopo essersi insediato. Se Bardella non riuscisse a garantirsi una maggioranza, Macron potrebbe nominare un primo ministro (magari estraneo ai partiti) che opererebbe come una sorta di 'traghettatore' prima di tornare nuovamente alle urne. Potrebbe anche assegnare questo ruolo all'attuale primo ministro, ma in entrambi i casi si tratterebbe di un incarico debolissimo e probabilmente a scadenza (per la Costituzione francese Macron non potrebbe comunque indire nuove elezioni prima di giugno 2025).

Il secondo esito è quello di una vittoria schiacciante del Rassemblement National che gli permetta da subito di ottenere la maggioranza in Parlamento. Bardella sarebbe primo ministro avviando la coabitazione con Macron. Non sarebbe una novità (ce ne sono state tre nella Quinta Repubblica), ma mai con una contrapposizione ideologica così netta. La Costituzione francese è semplicemente inadatta per affrontare uno scenario del genere. È chiara nel definire i poteri del Presidente (su politica estera, Europa e sicurezza) e quelli del primo ministro (su politica interna). Ma non risolve il caso della netta contrapposizione tra i due. Basti pensare che al Consiglio europeo siede Macron, ma nelle compagini ministeriali del Consiglio siederebbero i Ministri di Bardella che si opporrebbero a molte posizioni di Macron. E lo stesso farebbe il Parlamento su quegli atti europei che richiedono il passaggio parlamentare.

A ben vedere ci sarebbe anche un terzo esito delle elezioni che al momento è dato come il più improbabile ma che non può essere per nulla escluso date le vicissitudini della campagna elettorale: la vittoria a sorpresa (senza maggioranza in Parlamento) del fronte delle sinistre. Uno scenario forse ancora più caotico dei precedenti che meriterebbe un articolo a parte.

Qualunque sia l'esito delle urne, la Francia ne verrà fuori ancora più polarizzata e dovrà affrontare le conseguenze della fine del macronismo come l'abbiamo conosciuto finora (con Édouard Philippe che sta già scaldando i motori in vista delle presidenziali del 2027). Sembra proprio un cul-de-sac che non potrà far bene né alla Francia né all'Europa.