Slow Food Editore S.r.l.

11/15/2024 | Press release | Distributed by Public on 11/15/2024 11:19

Un’alleanza nel nome del grano

Parte oggi, 15 novembre, la campagna Tutta farina del nostro sacco con cui le cuoche e i cuochi dell'Alleanza si uniscono alla rete Slow Grains per valorizzare la biodiversità dei cereali tradizionali e uno dei trasformati più comuni e amati d'Italia, il pane.

Abbiamo attraversato lo Stivale per raccogliere alcune testimonianze di ristoratori che aderiscono alla campagna e rappresentano un esempio di rete solida che fa bene al territorio e alle comunità locali.

Dalla Campania, la pizza della memoria di Francesca Gerbasio

Ti sblocco un ricordo: non è un trend social, ma il nome che la pizzaiola dell'Alleanza Francesca Gerbasio ha scelto di dare a una linea speciale di pizze nel menù de La Pietra Azzurra nel Vallo di Diano, in provincia di Salerno (la prima sede storica è a Caselle e la guida il suo maestro Michele Croccia).

Sono pizze particolari perché «non vengono cotte sulla pietra ma nel ruoto, come si faceva una volta a casa» racconta Francesca. L'impasto è a base di lievito madre, acqua e farina ottenuta da grani tradizionali cilentani, prevalentemente Carosella e Ianculidda, coltivati dalla cooperativa Monte Frumentario che ogni anno organizza il Palio del grano (ne scrivevamo qui). Il condimento è semplicissimo: sugo di pomodoro arricchito in uscita da alici, cacioricotta del cilento o caciocavallo podolico, «tutte cose che mangiavamo da piccoli» spiega la pizzaiola.

Il ricordo sbloccato è il suo, di quando da bambina accompagnava la nonna al mulino per prendere la farina ottenuta dal grano di famiglia.

«Sono farine più deboli quindi hanno meno forza, ma basta rispettare i tempi giusti, che poi sono i tempi della natura. Ci vuole attenzione, ma è la nostra storia: il pane è cura verso noi stessi. Questi grani e questa pizza sono una parte di me, mi sono sentita realizzata quando l'ho inserita in menù» racconta Francesca, che aderisce alla campagna Tutta farina del nostro sacco anche con un piatto di recupero semplice e genuino, le polpette dei poveri, fatte di pane raffermo fritte o cotte nel sugo.

E sul ruolo dei cuochi aggiunge: «non possiamo permetterci di perdere il rapporto con la natura, la nostra responsabilità è raccontare il lavoro dei produttori, sostenerli e motivarli: è una spinta contro l'abbandono».

A Trieste, il pane al centro della cucina schietta di Giovanna Abbondanza

Risalendo lo Stivale, approdiamo nel cuore di Trieste da Mimi e Cocotte, locale dell'Alleanza guidato dalla cuoca Giovanna Abbondanza. Origini toscane, un passato emiliano, da circa dieci anni si è stabilita nel capoluogo friulano dove propone una cucina schietta e sincera, proprio come lei: «il pane per me è il centro a cui ruota tutto attorno». Giovanna ha iniziato a sperimentare con il pane nel 2020, collaborando con un mulino locale. Da lì è cresciuto sempre più il desiderio di produrre da sé i lievitati per il ristorante e così, in società con altri tre ragazzi, ha rilevato un vecchio forno dei primi del Novecento a cento metri da Mimì e Cocotte. Spaccio Pani - questo il nome del forno - è una realtà dinamica che collabora con la rete dei Panificatori Agricoli Urbani e valorizza la filiera locale, utilizzando i grani tradizionali del Cividalese.

«Crediamo si debba fare rete e collaborare con le produzioni locali, una cosa non sempre facile, ma fondamentale e che ciascun cuoco nel suo piccolo dovrebbe applicare: essere onesti, concreti, e offrire delle soluzioni: sullo spreco, sulla riduzione della plastica» afferma la cuoca. Da Spaccio Pani ogni giorno vengono sfornati i dolci e il pane per Mimì e Cocotte, che accoglie i clienti dalla colazione alla cena.

In occasione della campagna Tutta farina del nostro sacco, Giovanna celebra proprio il pane, quello recuperato nella torta con gli amaretti e quello servito a fette con due oli extravergini diversi: «la mia più grande soddisfazione di quest'anno è essere riuscita a inserire pane e olio come pietanza nel menù. Lo spiego, lo faccio assaggiare, per ridare dignità a due alimenti che a partire dagli anni '80 abbiamo svilito».

E poi non può mancare la pasta al mattarello, come da tradizione emiliana, a cui nel ristorante dedicano numerosi corsi, e il farro con le verdure, per valorizzare tutta la biodiversità dei cereali: «Abbiamo tanti cereali tradizionali, facciamoli tornare di moda ed educhiamo anche i nostri clienti a riscoprirli!» chiude la cuoca.

Nel Modenese, il pane antico di Luca Gianferrari che parla del territorio

«Oggi è una bella giornata perché si panifica tutto il giorno!»esordisce Luca Gianferrari al telefono. Un po' agricoltore e un po' pizzaiolo, quasi trent'anni di esperienza nella ristorazione, oggi guida insieme a una vivace brigata La Vecchia Scuola, un locale a circa 800 metri di altitudine a Montalto di Montese (Mo) che durante la settimana sforna pane e prodotti da forno, e dal venerdì alla domenica apre le porte come ristorante e pizzeria.

«Qui in zona da sempre si coltivava grano, ma per aumentare le rendite a un certo punto si è passati alle varietà più tecniche»spiega Luca. Mentre apriva il suo locale, circa sette anni fa, conosce un agricoltore della zona che coltivava grano in biologico e insieme iniziano a studiare come poter recuperare i grani tradizionali locali.

Oggi coltivano una miscela di popolazione evolutiva bioadapt, una commistione di cinque varietà di grano autoctone (Gentilrosso, Verna, Inallettabile, Andriolo, Frassineto) che fanno molire a pietra in un mulino locale ottenendo la farina semintegrale che è alla base delle preparazioni de La Vecchia Scuola. Fra tutte spicca l'Antico, «un pane realizzato con questa miscela secondo le antiche ricette delle nonne che ho recuperato, rivisitato e che cuociamo nel forno a legna»racconta Luca.

Un prodotto più duraturo, che racconta il territorio, e se all'inizio non è stato facile farlo conoscere e apprezzare, oggi è il più richiesto nel loro forno, che ogni settimana rifornisce anche una rete di osti tra Modena e Bologna.

«Per me è molto importante che chi viene a mangiare da me la domenica si riporti un pezzo della mia valle, che dalla finestra del mio locale posso indicargli da dove viene quel cibo»dice il cuoco, che su un altro elemento non prescinde: «spostiamo il focus dalla tecnica alla filiera, su chi ha prodotto il grano, sulla dignità dei contadini. Un prodotto non è buono se non ha sostenibilità economica».

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