09/12/2024 | Press release | Distributed by Public on 09/12/2024 22:13
Dopo oltre mezzo secolo di oppressione legata alla brutale dinastia della famiglia Assad, il padre Hafez - il 'leone di Damasco' - prima e il figlio Bashar poi, la Siria vive oggi il suo primo giorno di libertà . L'offensiva dei ribelli antiregime ha colto tutti di sorpresa. Anche i siriani che si risvegliano oggi frastornati e increduli: la velocità con cui Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e altri gruppi sono arrivati nella capitale, al termine di un'offensiva durata dieci giorni, in effetti ha dell'incredibile. Come pure il tracollo di un apparato statale e militare che governava il paese con il pugno di ferro dal 1970 e che ha finito col farsi travolgere dalla sua stessa corruzione e dalla totale dipendenza da alleati esterni. Le immagini che in queste ore circolano sui social e televisioni del mondo arabo ricordano quelle dell'Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein. Statue abbattute, prigionieri delle carceri di regime che increduli tornano a rivedere la luce del sole, festeggiamenti per le strade. La speranza è che gli sviluppi che seguiranno non ricalchino quelli del paese vicino, preda per anni di violenze settarie e un terrorismo che non ha risparmiato nessuna delle comunità etniche e religiose che sono il vero patrimonio culturale di entrambi i paesi.
Se sul futuro della Siria persano molte incognite, sul recente passato e su quanto accaduto nelle ultime settimane, gli analisti sono più o meno concordi: la fulminea avanzata dei ribelli è il loro successo è stato almeno in parte conseguenza di due guerre: quella della Russia in Ucraina e quella di Israele Hezbollah in Libano e, per procura, contro l'Iran. Per l'immagine di Mosca - dove Assad e la sua famiglia si sono rifugiati - il crollo del regime di Damasco, suo principale alleato in Medio Oriente fin dai tempi dell'Unione sovietica, è un duro colpo in un momento in cui si apre una partita delicata con la futura amministrazione Trump sulla guerra in Ucraina. "Se non ci fosse stata la guerra in Ucraina - afferma Hanna Notte al Financial Times - non ci sarebbe stata la caduta di Assad. O almeno, i russi sarebbero stati disposti a fare di più". Come la Russia anche l'Iran - che da decenni finanzia il cosiddetto Asse della resistenza che va dallo Yemen alla Palestina - aveva pubblicamente promesso di sostenere il regime, ma indebolito da decenni di sanzioni e da un anno di guerra contro Israele non ha potuto fare molto di più che assistere alla sua caduta. Il regime di Bashar al Assad, che si era salvato nel 2015 grazie all'intervento della Russia, dell'Iran e di Hezbollah, si è sgretolato sotto i colpi dell'avanzata ribelle senza nemmeno combattere. L'ambasciata di Teheran a Damasco è stata saccheggiata e la Repubblica islamica è ora costretta a prendere atto della chiusura della sua rotta di approvvigionamento di armi attraverso la Siria.
Sul fronte opposto, la Turchia non fa mistero di aver parteggiato per le fazioni ribelli e diversi osservatori sostengono che Ankara abbia svolto un ruolo fondamentale nell'operazione che ha detronizzato Assad. "Ci aspettiamo che gli attori internazionali, soprattutto le Nazioni Unite, diano una mano al popolo siriano e sostengano la creazione di un'amministrazione inclusiva - ha affermato oggi il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan - In Siria è iniziata una nuova era, ora è necessario concentrarsi sul futuro. La Turchia, che ha teso la mano ai suoi fratelli siriani in tempi difficili, sarà con loro in questa nuova pagina che è stata aperta a Damasco". Ankara emerge, secondo molti, come il vero vincitore della nuova realtà siriana: per il presidente Recep Tayyep Erdogan, che non ha mai abbandonato l'opposizione siriana, anche quando gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali che inizialmente avevano sostenuto le rivolte si sono arresi, sarebbe stata una scommessa vincente. Nel corso della lunga guerra civile siriana, la Turchia ha accolto più di 3 milioni di rifugiati, ha provveduto con armi e addestramento ai gruppi ribelli. Più di recente, Erdogan ha fatto delle aperture ad Assad, ma è stato respinto. Pur trovandosi in una situazione di forza, però non è chiaro fino a che punto la Turchia abbia il controllo della situazione e quale influenza manterrà sul leader del gruppo HTS, Abu Mohammad al Jolani, ora che lui e i suoi alleati hanno preso l'intero paese.
Fin da ora è chiaro che tra le sfide proibitive che la Siria dovrà affrontare, c'è quella del difficile rapporto con le potenze circostanti: l'8 dicembre, poche ore dopo la caduta del governo di Damasco, Israele ha assunto il controllo delle postazioni siriane sul monte Hermon. La presa della zona cuscinetto lungo il confine è "limitata e temporanea" e motivata "da ragioni di sicurezza" ha assicurato il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Saar. Ma il movimento di carri armati e fanteria oltre una zona cuscinetto precedentemente smilitarizzata, è stato condannato nei termini più forti possibili dall'Egitto, che lo ha definito una "occupazione del territorio siriano" e una "grave violazione" dell'accordo di armistizio del 1974. Intanto a Damasco sarà Muhammad Bashir, già premier del governo "di salvezza" istituito nel nord-ovest siriano nelle aree sotto controllo di Hts, a guidare una delicatissima transizione politica. Non è chiaro per quanto tempo resterà in carica e come le milizie che oggi governano Damasco intendano guidare il paese verso un nuovo assetto politico. "A Damasco la gente sta ancora cercando di capire come gestire la nuova realtà. Il vecchio ordine è crollato e il nuovo sta arrivando, la domanda che tutti si fanno è se sarà tranquillo o caotico" riporta il corrispondente di Al Jazeera dalla capitale siriana, secondo cui l'obiettivo principale, in questo momento, è "la formazione di un nuovo governo, mantenere l'ordine e la sicurezza", ed evitare in sostanza che si crei un pericoloso vuoto di potere.
Il commento
Di Valeria Talbot, Head ISPI MENA Centre
"La caduta del regime di Bashar al-Assad segna la fine di un'era e apre una fase piena di incognite non solo per la Siria ma anche per i futuri assetti del Medio Oriente. Se la via che porta a Damasco è stata percorsa con sorprendente rapidità dai gruppi ribelli, non altrettanto rapido sarà il processo di ricostruzione politica ed economica di un paese devastato da quasi quattordici anni di conflitto civile trasformatosi ben presto in una guerra per procura tra i principali attori regionali. Mentre ci si interroga sulle reali capacità e la volontà di Hayat Tahrir al-Sham di guidare la transizione politica per la costruzione di una Siria inclusiva in cui i diritti di tutte le sue componenti etniche e religiose saranno garantiti, un dato appare evidente: l'accresciuto ruolo della Turchia e l'indebolimento dell'Iran e del suo Asse della resistenza negli equilibri di forza nel paese. Resta tuttavia da vedere se e come Ankara capitalizzerà questa inedita "posizione dominante".