ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

06/28/2024 | Press release | Distributed by Public on 06/28/2024 04:17

ITLOS: sentenza storica a difesa del mare

Il 21 maggio scorso l'International Tribunal for the Law of the Sea (ITLOS, che ha sede ad Amburgo) ha emesso il Parere consultivo n. 31, con il quale risponde alla richiesta avanzata nel dicembre 2022 dalla Commission of Small Island States on Climate Change and International Law (COSIS), sugli obblighi che la United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS), adottata a Montego Bay nel 1982, (im)pone alle sue 169 Parti in tema di protezione dell'ambiente marino da danni climatici.

La COSIS, istituita da Antigua e Barbuda e Tuvalu alla COP 26 di Glasgow nel 2021, annovera, quali ulteriori membri, Bahamas, Niue, Palau, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadine, e Vanuatu. Si tratta di una Commissione costituita da nove Paesi insulari del Pacifico e dei Caraibi altamente vulnerabili in quanto rientrano nel novero dei c.d. hotspot per i cambiamenti climatici antropogenici in atto. La Commissione rappresenta circa 700mila persone (il più piccolo di questi Stati, Niue, annovera solamente 1.681 abitanti), sicché si tratta di Stati che, pur contribuendo in misura minima alla crisi climatica, si trovano ad affrontare i suoi effetti peggiori, in particolare per l'innalzamento delle acque che rischia di sommergere il loro territorio.

I dettagli del Parere

La COSIS ha chiesto al Tribunale di Amburgo di pronunciarsi sugli obblighi giuridicamente vincolanti che derivano, ai sensi della Parte XII dell'UNCLOS, quanto al:

  • prevenire, ridurre e controllare l'inquinamento dell'ambiente marino in relazione agli effetti deleteri che derivano o possono derivare dai cambiamenti climatici, compresi il riscaldamento degli oceani e l'innalzamento del livello del mare e l'acidificazione degli oceani, causati dalle emissioni antropogeniche di gas a effetto serra nell'atmosfera;
  • proteggere e preservare l'ambiente marino in relazione agli impatti dei cambiamenti climatici, compresi il riscaldamento degli oceani, l'innalzamento del livello del mare e l'acidificazione degli oceani.

L'ITLOS ha risposto a tali quesiti affermando, all'unanimità, che:

  • le emissioni antropogeniche di gas serra nell'atmosfera costituiscono un inquinamento dell'ambiente marino, sicché le Parti dell'UNCLOS hanno l'obbligo specifico di adottare tutte le misure necessarie per prevenirlo, ridurlo e controllarlo, sforzandosi di armonizzare le proprie politiche in materia.
  • gli Stati Parti hanno l'obbligo specifico di proteggere e preservare l'ambiente marino dagli impatti dei cambiamenti climatici e dall'acidificazione degli oceani, sicché, laddove l'ambiente marino sia stato degradato, questo obbligo può tradursi concretamente nel dovere di adottare misure volte a ripristinare gli habitat e gli ecosistemi marini.

Poiché il Parere è alquanto corposo (conta infatti di più di 150 pagine), ci si limiterà a evidenziare i punti più salienti.

I dettagli del Parere

Innanzitutto, in via preliminare, va rilevato come il Tribunale di Amburgo, in questo scontro fra Davide e Golia in chiave marittima, abbia ritenuto di essere competente a fornire un parere consultivo ai sensi dell'art. 21 del suo Statuto e dell'art.138, par. 1, del suo Regolamento, sicché la richiesta era ammissibile e non esistevano motivi ostativi per declinare la propria giurisdizione in questo caso. In altri termini, l'ITLOS ha rigettato le posizioni di Cina e India, in base alle quali le questioni relative al cambiamento climatico dovrebbero essere gestite nell'àmbito del regime dello United Nation Framework on Climate Change (UNFCCC) e dell'Accordo di Parigi del 2015, sicché si contestava ab origine la giurisdizione del Tribunale. Inoltre, l'ITLOS ha rigettato la posizione, più moderata, di alcune delle Parti economicamente avanzate dell'UNCLOS, come Unione europea, Regno Unito, Giappone e Australia, secondo le quali, pur riconoscendo l'autorità del Tribunale a esprimere un parere sulla questione, l'Accordo di Parigi stabilisce le regole e le procedure necessarie (e sufficienti…) per affrontare il cambiamento climatico e per rispettare i parametri dell'UNCLOS.

Nel merito, il Tribunale di Amburgo ha, in primo luogo, affrontato la questione se le emissioni di gas serra di origine antropica nell'atmosfera rientrino o meno nella definizione di "inquinamento dell'ambiente marino" disciplinata dall'UNCLOS. In effetti, l'elaborazione della Convenzione di Montego Bay, chiamata spesso la "Costituzione" del mare, è antecedente all'emergere nel dibattito della comunità internazionale delle preoccupazioni derivanti dalla consapevolezza dell'impatto dei gas serra sul clima. Ebbene, proprio come le costituzioni nazionali, anche l'UNCLOS dev'essere interpretata dinamicamente affinché possa essere "a living instrument" [par. 130], sicché l'ITLOS, basandosi sulla formulazione dell'art.1, par.1, punto 4, UNCLOS, ha ritenuto che le emissioni di gas serra sono (a) una "sostanza o energia" (b) "introdotta dall'uomo, direttamente o indirettamente, nell'ambiente marino" che (c) provoca/è suscettibile di provocare molteplici "effetti deleteri", come il riscaldamento e l'acidificazione degli oceani, nonché danni alle risorse viventi e alla vita marina [par. 161].

Detto in altri termini, poiché l'UNCLOS, per identificare le "sostanze inquinanti", non ha seguito il canone delle liste (nelle quali i gas serra - plausibilmente - non sarebbero stati annoverati per ragioni 'cronologiche') bensì quello dei criteri, il fatto che i gas climalteranti di origine antropica presentino, cumulativamente, tutti e tre i fattori sopraindicati fa sì che il loro accumulo nell'ambiente marino attraverso l'atmosfera costituisca "inquinamento" ai sensi dell'UNCLOS. Da ciò deriva l'obbligo degli Stati Parti, previsto dall'art. 194 della Convenzione di Montego Bay, di adottare "all necessary measures" [par. 189] al fine di ridurre e controllare l'inquinamento marino esistente derivante dalle emissioni di gas serra nonché "preventing such pollution from occurring at all" [par. 199]. Ciò significa che tutte le emissioni di gas climalteranti, introdotte indirettamente negli oceani, siano esse provenienti da impianti industriali, aeroplani o navi che emettono CO2, e siano esse terrestri o oceaniche, sono una forma di inquinamento marino che deve essere mitigato, controllato ed eventualmente eliminato [par. 259-264].

In seconda battuta, l'ITLOS, pur riconoscendo che l'obbligo di adottare tutte le misure necessarie comporta un margine di discrezionalità, afferma che "this does not mean that such measures are whatever measures States deem necessary to that end … [in as much as] … necessary measures should be determined objectively" [par. 206]. In buona sostanza, posto che la valutazione della conformità all'art.194 dell'UNCLOS richieda un'analisi caso per caso basata su un esame obiettivo di tutti i criteri rilevanti, il margine di discrezionalità degli Stati è circoscritto in un perimetro i cui lati sono costituiti da una triade di elementi oggettivi quali parametri imprescindibili per determinare le 'misure necessarie'. Tali fattori sono: la migliore scienza disponibile; le regole e gli standard internazionali; i mezzi e le capacità disponibili.

Il primo elemento, ossia la migliore scienza disponibile, si traduce nella duplice dimensione di ciò che è già accertato al di là di ogni dubbio, come, in particolare, i risultati dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) che "reflect the scientific consensus" in questo settore [par. 208], e, in subordine, in assenza di certezza scientifica, nell'approccio precauzionale ed ecosistemico, come già affermato dal Tribunale di Amburgo nel suo precedente Parere n. 17 sulle Responsibilities and Obligations of States sponsoring persons and entities with respect to activities in the Area del 2011 in cui si sottolinea l'integrazione di questo approccio nel diritto internazionale consuetudinario.

Il secondo fattore è dato dalle regole e standard internazionali, quali quelli contenuti nei trattati sui cambiamenti climatici, specificamente (ma non solo) l'UNFCCC e l'Accordo di Parigi. Questi trattati dovrebbero guidare il processo decisionale degli Stati, avendo come soglia l'obiettivo stabilito di limitare l'aumento della temperatura globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, e la connessa tempistica per i percorsi di riduzione di emissioni di gas climalteranti per raggiungere tale obiettivo. Ebbene, secondo il Tribunale, posto che UNCLOS e Accordo di Parigi siano e rimangano due trattati separati, con serie distinte di obblighi, la tutela dell'ambiente marino, (uno degli) obiettivo chiave dell'UNCLOS, ben può andare oltre e al di là di quanto stabilito in quei trattati.

Infine, la terza componente, relativa ai mezzi e capacità disponibili, declina l'obbligo specifico delle Parti, ai sensi dell'art. 194 dell'UNCLOS, di adottare le misure necessarie utilizzando i migliori mezzi a loro disposizione, in conformità con le loro capacità, alla luce del "principle of common but differentiated responsibilities", sancito dall'UNFCCC e dall'Accordo di Parigi, sicché è in questa chiave che si applica al diritto del regime marittimo ai sensi dell'UNCLOS. L'ITLOS ha dunque ritenuto che se è vero, com'è vero, che i Paesi in via di sviluppo hanno gli stessi obblighi in materia di protezione ambientale degli Stati sviluppati e che "all States must make mitigation efforts" [par. 229], purtuttavia, gli Stati Parti "with greater means and capabilities must do more to reduce such emissions than States with less means and capabilities" [par. 227]. Da tale impostazione deriva altresì quale corollario, in conformità con gli artt. 202 e 203 dell'UNCLOS, che gli Stati più industrializzati hanno il dovere specifico di assistere i Paesi in via di sviluppo, "in particular those vulnerable to the adverse effects of climate change", nei loro sforzi per affrontare l'inquinamento marino derivante dalle emissioni di gas serra di origine antropica [par. 338], (anche) attraverso un'assistenza che può essere fornita "in terms of capacity-building, scientific expertise, technology transfer" e altri mezzi [par. 339].

Infine, il terzo profilo di assoluta rilevanza del Parere n. 31 riguarda il dovere di esercitare una due diligence "rigorosa". L'ITLOS, a questo riguardo, prende le mosse dall'osservare che il quadro sinottico degli obblighi delineati dall'art. 194, par. 1 e 2, nonché da altre disposizioni della Parte XII, "are formulated in such a way as to prescribe not only the required conduct of States but also the intended objective or result of such conduct" [par. 238]. In effetti, il Tribunale di Amburgo ha riconosciuto che la due diligence può imporre requisiti più rigorosi per le attività più rischiose [par. 239], poiché "the standard of this obligation is determined by, among other factors, an assessment of the risk and level of harm combined" [par. 397]. Da ciò deriva che la due diligence ai sensi dell'art.194 non richiede "a simple best effort standard" [par. 240] in quanto "should be substantially higher than best efforts, which has traditionally characterized pure conduct obligations; and the level of diligence must be set at its most severe in the case of climate change" [ibidem]. Se dunque lo standard di due diligence che gli Stati devono esercitare in relazione all'inquinamento marino derivante dalle emissioni di gas serra di origine antropica deve essere "stringent" [par. 241], tout se tient con il punto precedente in quanto la migliore scienza disponibile è uno dei fattori che (in)formano (di sé) la due diligence [par. 243].

Pragmaticamente ciò si traduce nell'obbligo (positivo) di adottare una normativa ad hoc sulla valutazione dell'impatto ambientale (VIA) a cui sottoporre "any planned activity, either public or private, which may cause substantial pollution to the marine environment or significant and harmful changes thereto through anthropogenic greenhouse gas emissions, including cumulative effects" [par. 367]. Va sottolineato come l'obbligo di due diligence e l'obbligo di eseguire una VIA siano strettamente intrecciati, sicché l'obbligo di due diligence non può essere considerato adempiuto se prima non viene condotta una VIA che consideri tanto gli impatti specifici, quanto quelli cumulativi delle attività pianificate sull'ambiente marino [par. 365]. Traducendo questo obbligo in un esempio pratico: se uno Stato commissionasse una centrale termoelettrica alimentata a carbone, potenzialmente foriera di emissioni di gas serra, i relativi dati sui gas climalteranti dovrebbero essere identificati, quantificati e valutati (anche) in termini di probabile impronta di CO2 sull'oceano, ossia dovrebbero costituire l'oggetto di una VIA, il cui esito dovrebbe essere reso noto ai sensi degli artt. 204-206 UNCLOS.

L'importanza dell'approccio olistico

In conclusione, il Parere n. 31 dell'ITLOS si caratterizza per un approccio olistico alle questioni, non più rinviabili, che il cambiamento climatico impone. In effetti, il Tribunale ritiene che, poiché oceano e clima sono indissolubilmente legati, siano applicabili a un tempo diversi strumentidi diritto internazionale in subiecta materia. Si tratta di una modalità messa in atto non più a compartimenti stagni, relegando la questione del cambiamento climatico ai soli trattati ad hoc, quali, oltre all'UNFCCC e all'Accordo di Parigi, il Protocollo di Montreal sulle sostanze che riducono lo strato di ozono, nonché, per ciò che concerne le responsabilità specifiche per le emissioni del trasporto aereo e marittimo internazionale, quanto disposto, rispettivamente, dall'Organizzazione per l'aviazione civile e dall'Organizzazione marittima internazionale (tutti strumenti, sia detto per inciso, che tacciono quanto al nesso fra oceano e clima). Viceversa, si integrano le prospettive (e, talvolta, le soluzioni) offerte da altri settori del diritto internazionale: dai diritti della persona umana al diritto umanitario, dal diritto del commercio internazionale a quello degli investimenti.

Detto in altri termini, un problema complesso e interconnesso come il cambiamento climatico impone una governance policentrica, anche al fine di scongiurare il rischio più che potenziale di una sorta di 'forum shopping' nella risoluzione di controversie relative a questioni ambientali che possa sfruttare, in modo manipolatorio, la c.d. frammentazione del diritto internazionale. In effetti, per quel che concerne il nodo gordiano, che non può essere risolto con una soluzione alessandrina, rappresentato dall'intreccio fra acque oceaniche e sistema climatico, basti pensare che attualmente gli oceani assorbono oltre il 90% del riscaldamento causato dai gas serra frutto di attività antropiche, nonché, dagli anni Ottanta a oggi, dal 20 al 30% delle emissioni di biossido di carbonio antropogeniche, da cui deriva una progressiva acidificazione delle acque come esito dell'abbassamento progressivo del ph, con danni esiziali, ad esempio, per i coralli e i molluschi dotati di gusci calcarei. Tale situazione è peraltro destinata a peggiorare, se non si inverte il trend, con effetti deleteri per le specie viventi - compresa quella umana - in quanto il riscaldamento delle acque oceaniche riduce la miscelazione fra gli strati e, di default, l'apporto di ossigeno e di sostanze nutritive presenti, secondo quanto affermato dall'IPCC nel suo Special Report on the Ocean and Cryosphere in a Changing Climate, al netto dell'innalzamento del livello del mare, fonte di assoluta preoccupazione per la COSIS.

A ogni buon conto, nell'ottica di ricostruire in modo armonico e sinfonico la (più che potenziale) cacofonia delle diverse branche del diritto internazionale, quanto al contrasto al cambiamento climatico, il Tribunale di Amburgo nel suo Parere n. 31 rivendica al diritto del mare un ruolo complementare - ma non per questo meramente ancillare - per irrobustire gli obiettivi globali di riduzione delle emissioni di gas climalteranti di origine antropica e di minimizzazione degli impatti del climate change. Di fatto, sebbene il Parere ITLOS non sia in sé vincolante, costituisce senz'altro un precedente decisivo, la cui rilevanza sprigionerà tutti i suoi effetti giuridici tanto nella definizione degli impegni climatici (Nationally determined contributions-NDC) che gli Stati Parti dell'Accordo di Parigi devono formulare ogni lustro, quanto nel quadro dei contenziosi climatici (a livello nazionale, regionale e internazionale), al netto dell'impatto che potrà avere sugli altri due pareri consultivi attualmente al vaglio, rispettivamente, della Corte interamericana dei diritti dell'uomo e della Corte internazionale di giustizia (CIG).

Più specificamente, il primo caso, c.d. Solicitud, avanzato a settembre del 2023 da Colombia e Cile, è finalizzato a qualificare nel dettaglio gli obblighi territoriali e trans-territoriali di tutela dei diritti della persona umana nello scenario dell'emergenza climatica.

Il secondo procedimento prende le mosse dalla c.d. Vanuatu ICJ Initiative, confluita nel marzo 2023 in una Risoluzione dell'Assemblea ONU che, con l'appoggio di oltre 100 Stati, ha chiesto alla Corte dell'Aja di esprimersi in merito agli obblighi degli Stati in materia di cambiamenti climatici. Segnatamente, la Corte è chiamata a dare una risposta alle seguenti due questioni:

(a) quali sono gli obblighi degli Stati in base al diritto internazionale al fine di proteggere il sistema climatico e le altre parti dell'ambiente dalle emissioni antropogeniche di gas a effetto serra per gli Stati e per le generazioni presenti e future?

(b) quali sono le conseguenze giuridiche di tali obblighi per gli Stati laddove questi, per azioni o omissioni, abbiano causato un significativo danno al sistema climatico e ad altre parti dell'ambiente, riguardanti:

(i) gli Stati, in particolare i piccoli Stati insulari in via di sviluppo che, a causa delle loro circostanze geografiche e del loro livello di sviluppo, sono danneggiati o particolarmente colpiti da o vulnerabili rispetto agli effetti avversi dei cambiamenti climatici?

(ii) i popoli e gli individui delle generazioni presenti e future colpiti?

La rilevanza di questo parere si può dedurre (anche) considerando, da un lato, che per la prima volta nella storia di questa tipologia di procedimenti l'Unione europea ha chiesto (e ottenuto) di poter intervenire exart. 66 dello Statuto CIG; dall'altro, che le osservazioni scritte dell'UE si aggiungono a quelle presentate - a oggi - da ben 91 Stati, nonché a quelle sottoposte dall'Unione africana, dal Gruppo di Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, dall'Organization of the Petroleum Exporting Countries, dall'International Union for Conservation of Nature, dalla Melanesian Spearhead Group, dalle Parties to the Nauru Agreement Office, dal Pacific Islands Forum, dalla Kiribati the Pacific Islands Forum Fisheries Agency, nonché last but not least - dato il Parere qui in commento - proprio dalla COSIS.