Università Cattolica del Sacro Cuore

08/22/2024 | News release | Distributed by Public on 08/22/2024 08:06

Non basta uno schermo per crescere smart

Quando pensiamo al mondo digitale, di solito, il primo pensiero va subito al mondo della Rete, agli smartphone, allo sterminato mondo delle app, alle serie da vedere in streaming e alla galassia dei videogiochi. Uno sguardo parziale, se non proprio limitato, perché tutte queste realtà sono solo una componente del digital, forse la più conosciuta, probabilmente non la più importante, che invece molto spesso viene dimenticata. Le applicazioni nella farmaceutica, i telai elettronici, il mondo dei droni con tutti i loro utilizzi in ambito civile sono solo alcuni esempi. Avere piena consapevolezza di ciò è fondamentale per comprendere al meglio le tecnologie che ci circondano. Un percorso indispensabile anche in chiave formativa per individuare il ruolo della società, dei genitori e della scuola nell'educare a vivere bene in un mondo digitalizzato.

Temi che sono stati affrontati, mercoledì 21 agosto, al Meeting di Rimini, in un incontro a cui hanno partecipato Luca Botturi, docente di Educazione ai media presso la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI) e lo psicoterapeuta, scrittore e saggista Alberto Pellai. Al dibattito ha contribuito, con un video intervento, Maryanne Wolf, professoressa della Ucla University, membro della Pontificia Accademia delle Scienze e autrice Vita e Pensiero.

«La vera sfida è saper "abitare" questi i luoghi - ha detto introducendo l'incontro Fabio Mercorio, docente di Data Science presso l'Università Milano Bicocca - spesso concentrandoci solo sull'esperienza dei consumatori, ci fermiamo sulla superficie di un modo decisamente più profondo. L'entertainment non è la cittadinanza digitale. Dobbiamo imparare a saper pensare in maniera sistemica».

Ma qual è l'impatto che le tecnologie hanno realmente sui processi di apprendimento dei più piccoli? Maryanne Wolf, nel suo video intervento, ha ricordato come «la convinzione che una maggiore esposizione al linguaggio digitale migliorasse l'apprendimento si è rivelata errata. Anzi, studi scientifici hanno dimostrato come la correlazione tra esposizione al digitale e sviluppo cerebrale ha prodotti risultati allarmanti dal punto di vista del rendimento scolastico. Con il tempo - ha aggiunto - c'è il rischio che le aree dell'attenzione diventino meno sviluppate e connesse del normale».


Un tema ripreso anche da Alberto Pellai: «Abbiamo messo in mano a bambini di 8-9 anni strumenti di enorme complessità che probabilmente neanche un 30enne sa usare in modo completamente corretto. Una deriva che si ripercuote sulla salute mentale. Dal 2012 in poi i numeri sono andati peggiorando dopo un trentennio in cui il disagio, era presente sì, ma stabile. Una curva di crescita che, da quel momento, non si è mai arrestata. I sintomi? Deprivazione di sonno (oltre 1-2 ore di sonno a settimana), deprivazione sociale (rimanere chiusi in stanza non è più una punizione, anzi), frammentazione dell'attenzione con tutto quel che ne consegue sull'apprendimento e le cosiddette "addiction" che altro non sono che dipendenze».

«Ma - ha aggiunto Pellai - cos'è successo in quel periodo? I telefoni cellulari si sono trasformati in smartphone, si è passati da strumento di comunicazione a strumento di connessione. E con l'avvento dell'iPhone, e possibilità di scattare foto e fare video, si è arrivati a costruire una vera e propria seconda identità. I nostri figli sono i primi a gestire due vite: umana e digitale. Sarebbe bello che si integrassero ma purtroppo non è così».

«Non si tratta solo di saper usare le tecnologie in modo corretto - ha detto Luca Botturi - ma avere anche quella distanza critica per essere in grado di capirle, interpretarle. Saper collegare la tecnologia a una visione del mondo magari positiva e costruttiva. In tal senso è fondamentale il ruolo della scuola ma è una battaglia che da sola non può vincere e il contributo delle famiglie è imprescindibile».

E, proprio in quest'ottica si colloca l'appello di Maryanne Wolf: «Quella che io definisco "lettura profonda" necessita di tempo. Un pc, uno smartphone, ci induce a una lettura sommaria, che non lascia al cervello il tempo necessario di attivare alcuni processi linguistici molto complicati. Tuttavia, non dobbiamo demonizzare lo strumento digitale, non è una situazione binaria. Ci può essere n approccio saggio sia al digitale che nella carta stampata. Voglio quindi lasciarvi con una nota di forte speranza. Genitori, leggete storie ai vostri figli, ma non dallo schermo, dal libro, dando il buon esempio. Solo così potete trasmettere amore e affetto e trasportarli ovunque con la loro immaginazione dove i vostri figli possono essere tanti personaggi diversi e scoprire chi sono gli altri».