ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

04/02/2024 | Press release | Distributed by Public on 04/03/2024 03:23

Oltre l’Afghanistan: cos’è e cosa vuole lo Stato Islamico nel Khorasan

In seguito all'attentato di venerdì 22 aprile alla Crocus City Hall di Mosca, l'attenzione mediatica è tornata rivolgersi allo Stato islamico, il gruppo jihadista che ha rivendicato l'operazione terroristica. E più in particolare alla "provincia del Khorasan", la branca del gruppoformalmente proclamata nelle province orientali afghane all'inizio del 2015, quando alcuni militanti dell'area annunciarono l'affiliazione allo Stato islamico, nel momento della sua massima espansione territoriale.

Da allora molte cose sono cambiate. In particolare, dopo la caduta nel marzo 2019 dell'ultimo bastione dell'edificio istituzionale-territoriale del "Califfato" in Siria e Iraq, i media hanno perso di vista le attività dello Stato islamico. Ciò non vuole però dire che siano cessate. Pur sconfitto militarmente da un'ampia coalizione guidata dagli Usa, lo Stato islamico ha infatti dimostrato una forte capacità di adattamento strategico, tanto da lanciare nel gennaio 2024, subito dopo l'attentato a Kerman del 3 gennaio, nel corso delle celebrazioni per l'anniversario della morte del generale iraniano Qassem Suleimani, una campagna globale annunciata dal portavoce, Abu Hudhaifah Al-Ansari.

Secondo i dati raccolti dal ricercatore Aaron Zelin nell'ambito di un progetto di monitoraggio e mappatura condotto per il Washington Institute, dal 2019 lo Stato islamico ha rivendicato 5.273 attacchi fuori da Iraq e Siria. Soltanto dal marzo 2023 al marzo 2024, l'amministrazione centrale dei media del gruppo ha rivendicato la responsabilità di 1.121 attacchi, che avrebbero ucciso o ferito 4.770 persone.

Hanno avuto poca risonanza perché la maggior parte delle rivendicazioni sono state fatte dalla provincia dell'Africa occidentale, che ha una presenza per lo più in Nigeria e nel sud-est del Niger, dalle province del gruppo in Siria e Iraq, in Africa centrale (perlopiù nella Repubblica Democratica del Congo) e in Mozambico. Proprio quelle province che giovedì 28 marzo 2023, in un discorso celebrativo dei 10 anni dalla nascita del Califfato, il portavoce Al-Ansari ha elogiato, come simbolo della resistenza e dell'espansione territoriale del gruppo.

Secondo i dati del Washington Institute, ad aver condotto le azioni più letali è stata però la provincia del Khorasan, su cui si sono appuntati gli sguardi di media e politica dopo l'attentato nei dintorni di Mosca. La Russia non è nuova alla violenza terroristica, anche prima che, da un parricidio nei confronti di al-Qaeda, nascesse lo Stato islamico. I jihadisti sono stati responsabili di importanti attacchi contro lo Stato russo, tra cui, per citare i più conosciuti, la crisi degli ostaggi del teatro di Mosca nel 2002, l'assedio della scuola di Beslan nel 2004, gli attentati alla metropolitana di Mosca nel 2010, l'attacco suicida all'aeroporto di Domodedovo nel 2011, l'abbattimento nell'ottobre 2015 dell'aereo Metrojet 9268 che, partito da Sharm El-Sheikh in Egitto, era diretto a San Pietroburgo. Anche più di recente, nella propaganda dello Stato islamico e di altri gruppi jihadisti, sono continuate le minacce alla Russia, a causa della lunga storia di repressione dei movimenti islamisti e jihadisti, dalla Siria all'Africa, così come costante è stata la preoccupazione per il rientro in patria dei militanti russi e centroasiatici che hanno militato nelle file del Califfato e che, per effetto di quell'onda lunga della militanza a cui si presta troppa poca attenzione, rappresentano un pericolo potenziale. L'attentato a Mosca rientra dunque in una parabola di lungo corso. La Russia è stata ed un obiettivo primario dei jihadisti: al di là dell'alto numero di vittime, l'ultima strage non dovrebbe sorprendere troppo.

La provincia del Khorasan

Più sorprendente, invece, è il fatto che i media abbiano data per acquisita la responsabilità diretta della provincia del Khorasan, sebbene nelle rivendicazioni dello Stato islamico finora non ci sia alcun elemento che le attribuisca esplicitamente la responsabilità. Anche nel discorso del portavoce reso pubblico il 28 marzo, la provincia del Khorasan viene elogiata per "gli attacchi che hanno colpito tutti i politeisti, i crociati americani e i russi, i comunisti cinesi", oltre alle minoranze hindu, sciite e sikh. Ma l'attentato a Mosca non è incluso nella lista degli obiettivi raggiunti dalla provincia del Khorasan, e viene menzionato a parte.

L'attribuzione diretta della responsabilità all'Isis-K dipende perlopiù dalla valutazione dell'intelligence statunitense, che sembra avere elementi sufficienti per dirlo. Conta anche una serie di altri fattori, tra cui la difficoltà a distinguere con chiarezza la linea di confine tra Stato islamico e "provincia del Khorasan", specie nell'ambito della comunicazione. Si prendano due attentati recenti: quello già citato a Kerman, in Iran, e quello compiuto in Turchia, contro una chiesa cattolica a Istanbul. Sono stati entrambi rivendicati dallo Stato islamico, ma attribuiti semplicemente a militanti dell'Iran e della "provincia turca". Le successive informazioni rese pubbliche dai governi iraniano e turco hanno però collegato le reti responsabili degli attacchi alla provincia del Khorasan. Attribuire la responsabilità diretta alla provincia del Khorasan è dunque uno sbaglio, commenta all'Ispi Antonio Giustozzi a dispetto della pubblicazione di 30 pagine successiva all'attentato in cui sembra assumersi almeno parte della titolarità della strage. La dinamica è più articolata. La dinamica è più articolata. "C'è stato un ruolo del Khorasan, che da qualche tempo ha preso la responsabilità per tutti i centroasiatici ovunque si trovino. La leadership centrale, che non ha più la capacità di gestire direttamente il rapporto con le varie cellule, chiede un certo tipo di azioni al Khorasan, che poi passa la richiesta alle cellule presenti sul territorio. Allo stesso tempo, gradualmente cresce l'appetito del Khorasan per un profilo più internazionale: recentemente la loro propaganda ha cominciato a menzionare l'intento di fare attacchi a lungo raggio".

Nel corso degli ultimi anni i segnali d'allarme si sono ripetuti. In un rapporto presentato a fine gennaio 2024 al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, si riconosce che la provincia del Khorasan è "la più grande minaccia all'interno dell'Afghanistan, con la capacità di proiettarla nella regione e oltre", nonostante "la diminuzione del numero di attacchi perpetrati dall'Isil-K [Iskp] e la sua recente perdita di territorio, le perdite e l'alto tasso di abbandono tra le figure dirigenziali di alto e medio livello". Viene riconosciuta, inoltre, la capacità di pianificare attacchi in Europa. "Gli Stati membri hanno rilevato l'esistenza di complotti operativi in Stati europei pianificati o condotti dall'Isil-K [Iskp]. Nei mesi di luglio e agosto, sette individui tagiki, turkmeni e kirghisi legati all'Isil-K [Iskp] sono stati arrestati in … Germania, mentre progettavano di condurre attacchi terroristici ad alto impatto per i quali stavano ottenendo armi e possibili obiettivi", si legge nel rapporto delle Nazioni Unite, che dà seguito e sintetizza una preoccupazione di più lungo corso.

Nel gennaio 2023, la direttrice del National Counterterrorism Centre dell'amministrazione Biden, Christine Abizaid, ha dichiarato al Congresso che la provincia del Khorasan è "l'attore che preoccupa di più. Abbiamo indicazioni preoccupanti sull'Isis-Khorasan in Afghanistan e sulle sue ambizioni che potrebbero andare oltre quel territorio". Appena prima dell'attentato a Mosca, il capo del Comando centrale Usa, Michael Kurilla, havalutato "in crescita il rischio di un attacco proveniente dall'Afghanistan", richiamandosi in modo specifico alla provincia del Khorasan: "Isis-Khorasan mantiene la capacità e la volontà di attaccare gli Usa e gli interessi occidentali all'estero in sei mesi con scarso o nessun preavviso".

Già negli anni precedenti la branca era ritenuta in collegamento con i responsabili di diversi attentati internazionali, tra cui quello del 2020, sventato, contro le basi statunitensi e della Nato in Germania. Senza contare gli attentati transfrontalieri rivendicati in Uzbekistan, Tagikistan, Iran e Pakistan e, ovviamente, in Afghanistan, dove però lo Stato islamico ha subito la repressione dei Talebani. Prima e dopo che, nell'agosto 2021, tornassero al governo restaurando l'Emirato islamico, ottenuto anche grazie al graduale allontanamento dalle sirene del jihadismo a trazione globale.

I Talebani e la provincia del Khorasan

Proclamata ufficialmente nel gennaio 2015, la provincia del Khorasan è stata fondata da un gruppo di militanti provenienti dalle "agenzie tribali" pachistane di Khyber, Orakzai e del Nord Waziristan, insieme ad afghani delle province orientali di Kunar, Laghman e Nangarhar. Tra quelli che provenivano dall'altro lato della Durand Line, c'erano diversi ex membri del Tehreek-e-Taliban-Pakistan, i "Talebani pachistani", militanti-mercenari che cercavano un nuovo sponsor, trovandolo nello Stato islamico. Ai militanti locali si sono presto aggiunti gli "stranieri". Sin da quando, nel 2014, è iniziata la campagna di espansione delle province globali dello Stato Islamico, la provincia del Khorasan è stata infatti tra quelle di maggior successo nel creare un vero e proprio nodo di connessione internazionale, accogliendo militanti provenienti da Azerbaigian, Bangladesh, Cina, Francia, India, Iran, Iraq, Kazakistan, Maldive, Filippine, Russia, Tagikistan, Turchia e Uzbekistan.

Nel novembre 2019, quando siamo andati nella valle di Mamand, nel distretto di Achin, a visitare la roccaforte dello Stato islamico appena smantellata con un'operazione congiunta delle forze afghane e degli americani e, su un altro fronte, dei Talebani, di fronte alla sede del governatore di Achin abbiamo incontrato, oltre ai militanti afghani e pachistani, jihadisti iraniani, usbechi, turkmeni, tagichi, ceceni, indiani e qualche arabo. Arrestati, sconfitti, ammanettati e feriti, erano in attesa di passare nelle mani dell'intelligence afghana. Le loro famiglie già erano state trasferite.

La sconfitta della roccaforte afghana, sulla quale due anni prima l'allora presidente Donald Trump aveva fatto sganciare la più potente bomba non atomica mai usata, poteva dare l'illusione che la provincia del Khorasan fosse sconfitta. Ma ha dimostrato longevità, cosa che ci dovrebbe interrogare sulla flessibilità strategica di un gruppo capace di incassare i colpi della Nato, dell'esercito afghano e, sempre più, dei Talebani, mantenendo un certo consenso, capacità di reclutamento, finanziamenti esterni. In un rapporto pubblicato nel giugno 2023, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sostiene che il numero dei militanti sia tra 4.000 e 6.000. Ma il totale comprende anche i famigliari dei jihadisti ed è considerato eccessivo da diversi studiosi. Al di là dei numeri, rimane la capacità di proiettare forza, pianificare e condurre attentati, fuori e dentro l'Afghanistan. Dove la perdita della roccaforte territoriale ha innescato nuove dinamiche.

Costretta ad abbandonare il territorio che deteneva nel nord e nell'est dell'Afghanistan nel 2019, la provincia del Khorasan ha infatti fatto ricorso a una campagna di guerra urbana e ad attacchi terroristici per dimostrare l'incapacità dei Talebani di garantire la sicurezza, erodere la loro legittimità nella popolazione e contestargli il monopolio della violenza. Così, la strategia del gruppo è passata dal controllo del territorio alla guerra urbana, con una decentralizzazione della struttura interna e l'adozione di un sistema organizzativo più "reticolare" e meno verticistico, che ne avrebbe reso più efficaci le azioni. La "provincia del Khorasan" in particolare avrebbe "acquisito nuova vita - e un nuovo modus operandi - nel 2020, dopo la nomina di un nuovo leader, Shahab al-Muhajir". Il quale ha puntato non più alla conquista territoriale, ma all'espansione e al reclutamento in Asia centrale e alla realizzazione di attacchi importanti a Kabul e contro obiettivi prevalentemente sciiti. Mentre la leadership centrale dello Stato islamico in Siria e Iraq era costretta a concentrarsi sulla sopravvivenza, sul raggruppamento e sulla ricostituzione delle sue capacità e delle sue reti, a seguito della sconfitta nel 2019 a opera della coalizione guidata dagli Stati Uniti, la provincia del Khorasan gettava le basi per diventare "la punta di diamante, il ramo principale dello Stato Islamico con una mentalità internazionale".

La provincia del Khorasan tra repressione interna e proiezione esterna

Per ridimensionare la minaccia del "Khorasan", i Talebani hanno adottato tattiche diverse. Dopo aver praticato una repressione quasi indiscriminata nei primi mesi di potere, per tutto il 2022 e il 2023 l'azione antiterrorismo è stata in gran parte guidata dall'intelligence, nota Giustozzi. Ma non sono mancati altri metodi, come il tentativo di interrompere i flussi finanziari e i trasferimenti di fondi tramite il sistema informale hawal e i processi di riconciliazione rivolti ai militanti di alcune aree orientali del Paese.

Lo Stato islamico continua l'opera di reclutamento, anche nelle università afghane, specialmente quelle di Nangarhar e del Badakhshan, ma militarmente i Talebani sono stati efficaci. Secondo i dati raccolti da Acled e rielaborati dall'International Crisis Group, si sarebbe infatti registrata una riduzione di più del 90% delle attività militari del Khorasan in Afghanistan, con rilevanti perdite di personale e territorio. Secondo altre fonti, gli attacchi rivendicati dal gruppo sarebbero scesi da una media di 23 al mese nel primo anno di governo talebano a soli quattro al mese tra settembre 2022 e giugno 2023.

La repressione dei Talebani, a cui tutte le capitali regionali chiedono di contenere la spinta centrifuga dei jihadisti che trovano rifugio, protezione o radicamento in Afghanistan e che hanno volontà di colpire i loro interessi, dentro il Paese e fuori, ha prodotto un risultato paradossale. Ha spinto ancora di più la provincia del Khorasan a orientare risorse e piani verso l'esterno, incentivando involontariamente l'espansione del gruppo in Asia meridionale e centrale. E la ricerca di un obiettivo che offrisse una cassa di risonanza mediatica superiore rispetto all'Afghanistan. L'attentato condotto dallo Stato islamico a Kandahar poche ore prima di quello di Mosca ha provocato decine tra morti e feriti, ma non ha conquistato le prime pagine. "Si stanno accorgendo che mentre di un attacco a Kabul non gliene importa niente a nessuno (anche se muoiono in tanti), per avere risonanza mediatica bisogna colpire in paesi con una cultura mediatica più spettacolaristica", commenta per l'Ispi Antonio Giustozzi.

Dalla presa del potere dei Talebani nell'agosto 2021, la provincia del Khorasan ha dunque ampliato e centralizzato la produzione di propaganda e adottato una strategia combinata di regionalizzazione e internazionalizzazione, con l'Asia centrale come obiettivo principale. Ciò ha portato un altro sviluppo strategico: la tendenza "a colpire i cittadini e i diplomatici di Paesi considerati cruciali per consentire il dominio talebano in Afghanistan. Esempi significativi sono l'attacco all'ambasciata russa a Kabul nel settembre 2022, e, tre mesi dopo, gli attacchi all'ambasciata pachistana e a un hotel di Kabul frequentato da cittadini cinesi nel dicembre 2022". Nella stessa cornice vanno considerati gli attacchi transfrontalieri in Pakistan, Iran, Tagikistan e Uzbekistan dal territorio afghano, tra cui quelli a Shiraz, in Iran nell'ottobre 2022, a una moschea sciita a Peshawar, in Pakistan nel marzo 2022, quello già citato a Kerman nel gennaio 2024.

Una campagna di attacchi transfrontalieri, contro obiettivi stranieri con interessi in Afghanistan, per consolidare ulteriormente la reputazione della provincia del Khorasan come forza purificatrice rispetto all'influenza straniera, in contrapposizione ai Talebani dipinti come "gli ultimi governanti fantoccio dell'Afghanistan". Sin dal ritiro degli Stati Uniti, la provincia del Khorasan ha infatti presentato i rapporti diplomatici dei Talebani con i governi stranieri, specie regionali, come un tradimento del jihad. Così come di tradimento si era già parlato, nei canali di comunicazione dello Stato islamico, per l'accordo firmato a Doha, capitale del Qatar, tra Talebani e americani nel febbraio 2020.

Il "tradimento" è stato però favorito proprio dalla provincia del Khorasan. Nel libro Il laboratorio senza fine. Il ruolo dell'Afghanistan tra passato e futuro, Antonio Giustozzi ricorda infatti come l'apparizione di Daesh Khorasan in Afghanistan abbia "contribuito ad allontanare i Taliban dalla jihad globale e dal salafismo jihadista". Già nel 2015, l'aspra lotta tra Talebani e Daesh Khorasan per il controllo di territorio, risorse, capitale simbolico, aveva spinto alcune capitali regionali, a partire da Mosca, a ritenere che i Talebani potessero essere divisi dall'abbraccio del jihad globale, riconoscendoli utile "strumento della politica antiterrorismo". Da quando, nell'agosto 2021, i Talebani sono tornati al potere, questa tendenza è aumentata, insieme all'antagonismo tra l'Emirato e lo Stato islamico.

L'antagonismo è stato rinfocolato dall'attentato di Mosca. Abdul Qahar Balkhi, portavoce del ministero degli Esteri, lo ha fortemente condannato, sostenendo che Daesh è "un gruppo nelle mani delle agenzie di intelligence" che intende diffamare l'Islam, un riferimento implicito alle convinzioni di Kabul secondo cui dietro il rafforzamento della provincia del Khorasan ci sarebbero i governi di Tajikistan e Pakistan, quelli che con più difficoltà fanno i conti con il ritorno al potere dei Talebani. E ha poi chiesto "una posizione coordinata, chiara e risoluta contro questi incidenti diretti alla destabilizzazione regionale". Di cui i Talebani non avrebbero responsabilità. "Daesh è stato significativamente indebolito rispetto a quando le forze americane erano qui, e le forze dell'Emirato islamico d'Afghanistan hanno usato tutti i mezzi per sopprimere Daesh. Anche se Daesh avesse una presenza qui dell'1 o del 2%, non potrebbe reclutare soldati qui né creare una vera minaccia", ha precisato il portavoce dell'Emirato pochi giorni fa.

Dopo la condanna dell'attentato di Mosca da parte di Kabul, sono arrivate le reazioni del Khorasan. affidate a un lungo testo in cui tornano a criticare i rapporti privilegiati tra i Talebani, gli americani, i governi regionali, inclusa Mosca, nemico dello Stato islamico e interlocutore diplomatico dei Talebani, tanto da aver accettato poche settimane fa le credenziali di un attachè militare dell'Emirato: "Le milizie talebane ormai fanno parte della nazione infedele. È quindi naturale che simpatizzino con loro e condividano le loro pene".