INAF - Istituto Nazionale di Astrofisica

06/13/2024 | News release | Distributed by Public on 06/13/2024 03:34

Phoenix si tiene ben stretta la sua atmosfera

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Rappresentazione artistica di "Phoenix". Crediti: Roberto Molar Candanosa/Johns Hopkins University

La mitologia e i racconti degli antichi offrono molti spunti all'astronomia, basti pensare a quanti nomi di personaggi mitologici sono stati dati alle costellazioni: Orione, Cassiopea e Andromeda, per citarne solo alcuni. Questa volta a offrire uno spunto è stata la Fenice, l'uccello sacro agli Egizi in grado di rinascere dalle ceneri e quindi sopportare le fiamme in cui bruciava. È a quest'ultima abilità dell'animale che gli scienziati hanno pensato quando hanno visto Tic 365102760 b, un raro pianeta extrasolare che sarebbe dovuto già essere stato ridotto a nuda roccia a causa dell'intensa radiazione della sua vicina stella ospite. Eppure, in barba al triste destino che gli era riservato, ha sviluppato un'atmosfera puffy - gonfia e a bassa densità. Ecco dunque che per la sua capacità di sopravvivere all'energia emanata della sua stella, una gigante rossa, è stato soprannominato dagli scienziati "Phoenix" - la Fenice, appunto.

Questa è solo l'ultima di una serie di scoperte che costringono gli scienziati a ripensare le teorie su come i pianeti invecchiano e muoiono in ambienti estremi. Tic 365102760 b testimonia la grande diversità dei sistemi planetari e la complessità della loro evoluzione, soprattutto alla fine della vita delle stelle. I risultati sono stati pubblicati la settimana scorsa su The Astronomical Journal.

«Questo pianeta non si sta evolvendo come pensavamo, sembra avere un'atmosfera molto più grande e meno densa di quanto ci aspettassimo per questi sistemi», osservaSam Grunblatt, astrofisico della Johns Hopkins University che ha guidato la ricerca. «La grande domanda è come sia riuscito a mantenere quell'atmosfera nonostante fosse così vicino a una stella ospite tanto grande».

Il nuovo pianeta appartiene alla categoria di mondi piuttosto rari chiamati nettuniani caldi (hot Neptunes), poiché condividono molte somiglianze con il gigante ghiacciato più esterno del Sistema solare, nonostante siano molto più vicini alla loro stella ospite e molto più caldi. Tic 365102760 b è sorprendentemente più piccolo, più vecchio e più caldo di quanto gli scienziati ritenessero possibile. È appena 6,2 volte più grande della Terra, completa un'orbita intorno alla sua stella - una gigante rossa - in 4,2 giorni ed è circa 6 volte più vicino alla sua stella di quanto Mercurio lo sia al Sole.

Un'altra rappresentazione artistica di Tic 365102760 b, soprannominato "Phoenix" per la sua capacità di sopravvivere vicino all'intensa radiazione di una gigante rossa. Crediti: Roberto Molar Candanosa/Johns Hopkins University

Tenendo conto dell'età di Phoenix e delle sue temperature torride, nonché della sua densità inaspettatamente bassa, gli scienziati hanno concluso che il processo di rimozione della sua atmosfera deve essere avvenuto a un ritmo più lento di quanto ritenessero possibile. Hanno anche stimato che il pianeta ha una densità 60 più bassa del più denso fra i nettuniani caldi scoperti finora, e che non sopravviverà più di 100 milioni di anni prima di iniziare a morire spiraleggiando verso la sua gigante.

«È il pianeta più piccolo che abbiamo mai trovato attorno a una di queste giganti rosse, e probabilmente il pianeta di massa più piccola in orbita attorno a una gigante [rossa] che abbiamo mai visto», spiega Grunblatt. «Ecco perché sembra davvero strano. Non sappiamo perché abbia ancora un'atmosfera mentre altri nettuniani caldi molto più piccoli e molto più densi sembrano perdere la loro atmosfera in ambienti assai meno estremi».

Grunblatt e il suo team sono stati in grado di ottenere tali informazioni ideando un nuovo metodo per mettere a punto i dati di Tess, il Transiting Exoplanet Survey Satellite della Nasa. Il telescopio del satellite può individuare pianeti a bassa densità osservando come attenuano la luminosità delle loro stelle ospiti quando vi transitano davanti. Il team di Grunblatt ha poi filtrato la luce indesiderata nelle immagini e le ha combinate con ulteriori misurazioni del W.M. Keck Observatory, una struttura sul vulcano Maunakea, alle Hawaii, che permette di tracciare le piccole oscillazioni delle stelle causate dai pianeti che orbitano loro attorno. Grunblatt ha spiegato che questi risultati possono aiutare gli scienziati a comprendere meglio come potrebbero evolversi atmosfere simili a quella terrestre. Gli scienziati prevedono che tra qualche miliardo di anni il Sole si espanderà in una gigante rossa, gonfiandosi e inghiottendo la Terra e gli altri pianeti interni. «Non comprendiamo molto bene lo stadio avanzato dell'evoluzione dei sistemi planetari», sottolinea a questo proposito Grunblatt. «Questo ci dice che forse l'atmosfera terrestre non si evolverà esattamente come pensavamo».

I pianeti puffy sono spesso composti da gas, ghiaccio o altri materiali più leggeri che li rendono complessivamente meno densi di qualsiasi pianeta del Sistema solare. Sono così rari che gli scienziati ritengono che solo circa l'un per cento delle stelle ne possieda. Grunblatt ha precisato che è difficile scoprire esopianeti come Phoenix perché le loro piccole dimensioni li rendono più difficili da individuare rispetto a quelli più grandi e più densi. Ecco perché la sua squadra sta cercando altri di questi mondi più piccoli, e grazie alla loro nuova tecnica hanno già trovato una dozzina di potenziali candidati. «Abbiamo ancora molta strada da fare per capire come le atmosfere planetarie si evolvono nel tempo», conclude Grunblatt.

Per saperne di più:

  • Leggi sul The Astronomical Journal l'articolo "TESS Giants Transiting Giants. IV. A Low-density Hot Neptune Orbiting a Red Giant Star " di Samuel K. Grunblatt, Nicholas Saunders, Daniel Huber, Daniel Thorngren, Shreyas Vissapragada, Stephanie Yoshida, Kevin C. Schlaufman, Steven Giacalone, Mason Macdougall, Ashley Chontos, Emma Turtelboom, Corey Beard, Joseph M. Akana Murphy, Malena Rice, Howard Isaacson, Ruth Angus e Andrew W. Howard