11/07/2024 | Press release | Distributed by Public on 11/07/2024 08:16
Dimentichiamo rapidamente, forse per progressiva assuefazione, la scia di scandali che periodicamente rimette il settore tessile sotto la luce dei riflettori dell'opinione pubblica.
Negli ultimi mesi, le vicende di alcuni marchi del lusso che addirittura in casa propria dimostravano la mancanza di controllo della filiera produttiva e dunque lo sfruttamento dei lavoratori su cui poggiava. Poi quella relativa alle analisi di alcuni prodotti di fast fashion che si sono rivelati contenere sostanze tossiche, pericolose e dannose per la salute di chi li avrebbe indossati (e probabilmente dei lavoratori che li avevano realizzati) e nel frattempo eventi climatici estremi (ondate di calore, siccità, alluvioni) che sono anche il risultato dell'impatto ambientale di cui le filiere tessili dei prodotti a basso costo sono responsabili, in termini di produzione, consumo e spreco.
Niente di nuovo sotto il sole: poco meno di trecento anni fa la prima industria globale al mondo, l'impero del cotone, si fondava su analoghi presupposti strutturali. Da un lato, lo schiavismo per la raccolta della fibra nei Paesi della fascia tropicale che lo coltivavano e nelle fabbriche inglesi dove bambini dagli 8 anni in su, spesso rastrellati negli orfanatrofi, ed ex lavoratori agricoli, tra cui numerosissime le donne, venivano trasformati in proletari, chiamati a lavorare in condizioni igieniche precarie e insalubri per il carbone che alimentava le macchine, l'umidità necessaria a manipolare le fibre e la loro volatilità (a Manchester a metà Ottocento l'età media di mortalità non superava i 17 anni!), con turni di 12 ore, inizialmente senza giorni di pausa. Dall'altro, imponendo ai Paesi colonizzati della fascia tropicale la monocoltura del cotone (oltre alle già radicate coltivazioni di canna da zucchero, tabacco, caffè, tè) a scapito della loro stessa sicurezza alimentare, in qualche decennio riducendo alla fame intere popolazioni.
Le dinamiche non sono cambiate, anzi si sono sensibilmente aggravate in virtù del progresso tecnologico che consente volumi sempre maggiori (quindi maggiore spreco: utilizziamo poco più della metà dei prodotti tessili realizzati ogni anno), fibre più inquinanti (si pensi al sintetico che in meno di un secolo è giunto a occupare oltre il 70% delle fibre prodotte globalmente ed è responsabile del rilascio di microplastiche in tutto il ciclo di vita degli esseri viventi) e una massa di rifiuti impossibili da riciclare
Ogni cittadino europeo produce 16 kg di rifiuti tessili ogni anno
e per la cui degradabilità sono necessari secoli: il Nord globale continua a sfruttare risorse naturali e lavoratori del Sud globale (meno del 2% dei lavoratori tessili nel mondo percepisce un salario dignitoso) per produrre e poi smaltirne l'invenduto e i relativi rifiuti tessili.
Come scrive Petrini nella prefazione del libro di Barbara Nappini,La natura bella delle cose, il tempo sembra essere trascorso inutilmente e il modello industriale che fonda i suoi presupposti esistenziali nello sfruttamento incondizionato di risorse naturali e persone, causando sofferenze, inquinamento e distruzione merita di essere sradicato definitivamente.
Abbiamo un bisogno sempre più urgente di avviare quella rivoluzione gentile che, come indica Barbara Nappini, ci rieduchi all'empatia verso l'altro e all'armonia con la natura che ci circonda per renderci nuovamente capaci di rifiutare una bellezza che distrugge e infligge sofferenza e di scegliere invece una bellezza fondata sui valori del buono, sano, pulito, giusto e durevole lungo tutta la filiera produttiva.
Esiste, ed è sempre esistito, un tessile che fa di questi valori i propri fondamenti produttivi e da qui è necessario ripartire, declinando l'innovazione non solo con riferimento alla tecnologia ma soprattutto ai modelli produttivi che devono costruire filiere radicate nel territorio e in armonia con le comunità che le ospitano (buone), costantemente impegnate a ridurre i propri impatti ambientali (pulite) e a garantire condizioni di lavoro salubri e sicure (giuste) per offrire prodotti che siano belli, salubri per chi li usa (sani), e di qualità, per ridurne lo spreco e l'impatto a fine vita come rifiuto (durevoli).
Nessuna tecnologia salvifica risolverà il problema per noi né abbiamo più il tempo di attenderla: la semplice verità è che siamo tutti chiamati a consumare meno, molto meno e molto meglio.
di Dario Casalini, fondatore di Slow Fiber
Slow Fiber è una rete tematica e anche un Sostenitore ufficiale di Slow Food Italia che nasce dall'incontro di Slow Food Italia e 22 realtà italiane della filiera tessile e dell'arredamento che, attraverso i loro processi produttivi, vogliono rappresentare un cambiamento positivo grazie alla creazione di prodotti belli, sani, puliti, giusti e durevoli.
Innovazione Gentile
Giovedì 14 novembre Slow Food Italia e Slow Fiber organizzano l'incontro Innovazione Gentile. Verso un futuro sostenibile nel settore tessile per scoprire che cosa lega agricoltura, tessuti naturali, inquinamento da microplastiche ed economia circolare. Insieme alla testimonianza di un'azienda produttrice ragioniamo su come trasformare il settore tessile attraverso modelli d'impresa responsabili e il rafforzamento della filiera.
Proagonisti dell'incontro sono:
Appuntamento alle ore 18 presso la Fondazione DIG421 a Roreto di Cherasco (Cn). L'incontro è visibile anche in streaming a questo link
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