ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

08/05/2024 | Press release | Distributed by Public on 08/05/2024 09:07

Israele attende la risposta iraniana

L'esercito statunitense invierà altre navi e aerei da guerra nella regione mediorientale in sostegno a Israele e a difesa da un attacco iraniano che sembra imminente. La promessa dell'ayatollah Ali Khamenei di punire lo stato si Israele per l'uccisione del leader di Hamas Ismail Haniyeh si potrebbe concretizzare nei prossimi giorni. Il clima è estremamente teso anche con il Libano, da dove potrebbe arrivare un'altra risposta a Tel Aviv, che la settimana scorsa ha ucciso Fuad Shukr, alto esponente di Hezbollah. Diversi paesi, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Turchia e Arabia Saudita hanno invitato i propri connazionali a lasciare il paese dei cedri il prima possibile. Dopo i raid israeliani su Beirut e Teheran, la regione sembra pronta all'estensione geografica del conflitto. Nel frattempo, continuano i massacri dell'esercito israeliano a Gaza, dove nelle ultime 24 ore sono stati uccisi almeno 30 palestinesi, per lo più donne e bambini, colpiti all'interno di due scuole, che per Israele ospitava alcune basi operative di Hamas. Sempre domenica, colpita anche una tendopoli presso un ospedale nella zona centrale della Striscia di Gaza. Attacchi che arrivavano l'indomani di negoziati falliti tenutisi al Cairo. L'impressione è che, uccidendo Haniyeh, Israele abbia ucciso ogni tentativo di trovare un accordo diplomatico.

Attacco imminente?

Da giorni Israele si prepara alla risposta iraniana per gli attacchi a Beirut e Teheran, sebbene non abbia mai rivendicato quest'ultimo. Secondo il sito di notizie Axios, il segretario di stato USA Antony Blinken avrebbe detto agli alleati del G7 che il contrattacco della Repubblica islamica potrebbe arrivare nella giornata di oggi, anche se rimangono sconosciute le modalità e le tempistiche. Sempre nella giornata di oggi, il presidente statunitense Joe Biden dovrebbe riunirsi con lo staff della sicurezza nazionale nella "situation room" per discutere dell'escalation. A margine dell'incontro, dovrebbe svolgersi anche un colloquio telefonico tra Biden e re Abdullah della Giordania. Secondo i consiglieri della Casa Bianca, diplomazia e nuovi mezzi di guerra nella regione si muovono col duplice obiettivo di fungere da deterrente e di farsi trovare pronti in caso di attacchi. Al momento, non è possibile speculare sull'entità degli eventuali attacchi a Israele. Fino ad oggi, gli scontri col Libano si erano concentrati lungo il confine, con l'apice della strage di Majdal Shams, che Israele attribuisce a Hezbollah, che invece nega ogni responsabilità. Mentre il momento di maggior rischio di conflitto aperto con l'Iran risale ad aprile, quando Israele attaccò gli uffici consolari iraniani a Damasco e due settimane dopo Teheran lanciò centinaia tra missili e droni verso Israele, che non subì danni in quella che parve più un'azione dimostrativa. Questa volta, l'Iran potrebbe invece voler rispondere in modo più significativo al raid che ha ucciso il leader di Hamas, interpretabile anche come un'umiliazione del sistema di sicurezza nazionale.

Diplomazia a un punto morto?

L'uccisione di Ismail Haniyeh con ogni probabilità non avrà una conseguenza diretta sul campo, dove continua la ritorsione israeliana. Né cambierà di molto la strategia militare di Hamas, la cui ala militare secondo gli osservatori sembrerebbe aver ordito e realizzato gli attacchi del 7 ottobre senza che tutti i rappresentanti dell'ala politica che Haniyeh rappresentava fosse informata. Quello che sicuramente cambierà è il destino dei negoziati, che in dieci mesi di guerra, ad eccezione della breve tregua di fine novembre durante la quale diversi ostaggi israeliani vennero liberati, hanno prodotto gran poco. L'ennesimo tavolo negoziale al Cairo non ha prodotto alcun passo avanti. D'altronde, uccidere il capo negoziatore significa, di fatto, mettere un freno alla diplomazia e alla possibilità di trovare un accordo per un cessate-il-fuoco e la liberazione degli ostaggi. Il governo Netanyahu sembra quindi più interessato a soddisfare i propri obiettivi strategici e militari, piuttosto che liberare gli ostaggi, che di fatto sono scomparsi dalla narrazione degli eventi di guerra: non se ne conosce il numero esatto, quanti di essi siano ancora vivi e in che condizioni. Contemporaneamente, chiudere ogni possibilità di accordo significa aumentare i rischi per tutta la regione. Gli attacchi a Beirut e Teheran sono infatti serviti soprattutto come dimostrazione di forza del governo israeliano, a tutto discapito del senso di sicurezza degli abitanti del Medio Oriente, sempre più in balia degli eventi anche al di fuori dei confini di Israele-Palestina.

Israele non si ferma?

È stata l'ennesima domenica di massacri israeliani nella Striscia di Gaza, dove sono state colpite due scuole uccidendo almeno 30 persone, quasi esclusivamente donne e bambiniche cercavano riparo dai bombardamenti. Senza fornirne prova, l'esercito israeliano ha detto che si trattava di un covo del battaglione Al Furqan di Hamas. Una retorica usata regolarmente negli oltre 300 giorni di ritorsione israeliana dopo gli attacchi del 7 ottobre e che, di fatto, rende ogni edificio nella Striscia un possibile bersaglio, anche laddove lo stesso esercito israeliano ha istituito zone sicure. Per i gazawi, nessun posto sembra più sicuro, nemmeno a fronte delle continue evacuazioni. Secondo il ministero della Salute locale, i palestinesi uccisi da Israele sono almeno 39.623, il 40% dei quali sono bambini, inclusi quelli morti di fame nel nord della Striscia dove l'esercito israeliano ha volontariamente negato l'accesso degli aiuti umanitari. Tuttavia, sono bilanci provvisori: senza tregue durature non è possibile scavare sotto le macerie ed estrarre i corpi dei tanti dispersi, mentre le conseguenze dell'assalto al territorio palestinese avranno effetti di lungo termine per le persone che vi vivranno, a causa della sistematica distruzione delle strutture mediche e delle infrastrutture che garantiscono l'approvvigionamento d'acqua, nonché per la diffusione di malattie dovuta alla prolungata permanenza in condizioni igieniche disumane.

Il commento

Di Luigi Toninelli, ISPI MENA Centre

L'escalation che sembra profilarsi tra Israele e Iran è tanto simile quanto diversa da quella di aprile. È simile perché, come in passato, è dettata dalla volontà delle parti di ristabilire la propria deterrenza regionale. Tuttavia, potrebbe essere diversa poiché in questo "gioco" controintuitivo - in cui la regola principale sembrava essere quella di aumentare la tensione per dimostrare forza e scoraggiare una risposta avversaria - qualcosa potrebbe essersi incrinato. Sebbene né Hezbollah né l'Iran desiderino trasformare il conflitto in una guerra regionale - e l'abbiano ampiamente dimostrato da ottobre a oggi - l'inevitabile "botta e risposta" con Israele potrebbe proseguire oltre le intenzioni degli attori. Infatti, mentre Netanyahu gioca con il fuoco alzando la posta e scommettendo su una risposta simbolica da parte del cosiddetto Asse della resistenza, il rischio maggiore per Iran e Hezbollah è ritrovarsi prigionieri della stessa trappola che in questi anni hanno contribuito a creare.

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