ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

11/04/2024 | Press release | Distributed by Public on 11/04/2024 12:09

Brasile, un voto amaro per Lula

Il presidente brasiliano Lula da Silva è uscito sconfitto dal test delle elezioni amministrative di ottobre ma le cose non sono andate bene nemmeno per il suo rivale Jair Bolsonaro. Il voto per i sindaci è tradizionalmente il banco di prova della tenuta del governo in carica, avvengono in simultanea in tutti i 5.500 comuni brasiliani alla metà esatta del mandato presidenziale, che dura quattro anni. Lo scenario più importante era a San Paolo, la maggior metropoli dell'America Latina con i suoi 12 milioni di abitanti. Il sindaco uscente Ricardo Nunes, di centrodestra, ha stracciato al ballottaggio lo sfidante di sinistra Guillerme Boulos, per il quale si era speso molto durante la campagna. La differenza tra i due è stata di quasi 20 punti, un vero cappotto che rappresenta un segnale di allarme importante per Lula in vista di un'eventuale sua candidatura per le presidenziali del 2026.

Il trionfo di Nunes è intimamente legato a quello del suo padrino politico, il governatore dello stato di San Paolo Tarcisio Freitas, ex ministro e delfino di Bolsonaro che ora sembra poter iniziare a volare con le proprie ali. Bolsonaro è stato molto titubante a San Paolo, ha flirtato a lungo con l'outsider di destra Pablo Marçal, un influencer da milioni di followers e toni decisamente sopra le righe, che per un soffio non si è infilato nella battaglia del secondo turno. Il partito liberale di Bolsonaro ha perso diversi ballottaggi, anche quando lo stesso ex presidente è sceso direttamente in campo.

Non sono andate meglio le cose al Partito dei lavoratori (PT) di Lula, che è riuscito a far eleggere un solo sindaco, quello di Fortaleza, nelle 26 capitali statali del Brasile. I veri vincitori sono stati i partiti del cosiddetto "centrão", il grande centro, che sono sempre di più l'ago della bilancia della politica brasiliana. Si tratta di una mezza dozzina di sigle scevre da forti condizionamenti ideologici e i cui leader transitano a secondo della convenienza o dello scenario elettorale a sinistra o a destra. Sono loro, oggi, a marcare la scena e saranno loro, con tutta probabilità, a determinare i giochi in vista delle presidenziali del 2026. Nel centrão, del resto, c'è di tutto, da esponenti delle chiese evangeliche neo pentecostali a capitani dell'esercito o della polizia passati alla politica, da vecchie volpi della politica di Brasilia a giovani influencer che costruiscono la loro carriera sui social. Lula sa che non può dominarli a meno di concedere loro ampiopotere all'interno del governo, con ministeri e sottosegretari o abbondanti doti economiche ai loro deputati e senatori.

Tutti i suoi possibili eredi sono stati sonoramente sconfitti alle urne, segnale di un forte ostilità alla sinistra in diverse regioni del Paese. Il presidente potrà essere costretto a presentarsi di nuovo alle urne per aspirare ad un quarto mandato e a quel punto tutto dipenderà dalla sua forza e carisma, che non è la stessa del passato considerando anche un'età ormai avanzata (77 anni). Se a sinistra si piange a destra non si può certo cantare vittoria. Jair Bolsonaro non può presentarsi alle elezioni perché la Corte Suprema ha cancellato i suoi diritti politici per otto anni, conserva ancora una base di appoggio significativa, ma da solo non riesce a "ungere" un erede competitivo a livello nazionale. L'ex presidente negazionista deve trattare con i vecchi alleati e rassegnarsi ad un ruolo da comprimario, se non vuole che il suo bacino elettorale si disperda. I grandi giochi della gattopardesca politica brasiliana sono iniziati, con gli analisti che prevedono uno scenario macroeconomico difficile per il prossimo anno, considerando soprattutto il disavanzo nei conti pubblici. Per vincere un'elezione in unPaese da 210 milioni di abitanti ci vogliono grandi risorse, il governo potrebbe aprire ancora di più il portafoglio per supportare la nuova avventura elettorale del presidente in carica.